[1] L. Perissinotto, Wittgenstein. Una guida, Feltrinelli, Milano 1997 p. 13 e p. 9; la stessa gestazione del Tractatus - scritto in trincea e ultimato durante una lunga licenza – e la sua redazione in forma di elenco di proposizioni - gerarchicamente ordinate in modo da segnalare il loro rilievo argomentativo- sembrano costituire autentiche peculiarità nell’intero panorama della storia della filosofia.   [indietro]

[2] Ibidem, p. 17 [indietro]

[3] Ibidem, p. 33 [indietro]

[4] Perissinotto fa riferimento ad una annotazione dello stesso Wittgenstein “Per essere vera una proposizione deve innanzitutto poter essere vera, e solo ciò concerne la logica” (29 ottobre 1914) per concludere che “mentre alla scienza interessa la verità della proposizione, la logica si interroga sul suo senso; su che cosa significhi per la proposizione, per una qualsiasi proposizione, aver senso”, Ibidem, p. 31 [indietro]

[5] Sulla concezione strumentalista del linguaggio si vedano poi le critiche dello stesso Wittgenstein e soprattutto, nella seconda parte del percorso, di Heidegger. [indietro]

[6] R. De Monticelli, Dottrine dell’intelligenza. Saggio su Frege e Wittgenstein, De Donato Editore, Bari 1982,  p. 166. La citazione dal Tractatus è richiamata dall’autrice stessa. [indietro]

[7] “Qualcosa deve essere identico alla realtà; questo è il problema del tautòn tra essere e pensare, tra il segno e il designato, le parole e le cose: questo è il problema della filosofia” C.Sini, Scrivere il silenzio, Egea, Milano 1999, p. 7. Secondo F. Rivetti Barbò la cifra della filosofia di Wittgenstein starebbe invece nel rapporto di insanabile alterità istituita tra il linguaggio raffigurante e l’oggetto raffigurato, “alterità che impone a quell’immagine del reale che è il pensiero-linguaggio di rappresentare il suo oggetto dal-di-fuori, e che non è eliminata nemmeno da quel ‘qualcosa di comune’ che collega l’immagine all’oggetto, ossia dalla loro comune forma di raffigurazione”, F.Rivetti Barbò, L’antinomia del mentitore nel pensiero contemporaneo da Peirce a Tarski, Vita e Pensiero, Milano 1961, p. 117. [indietro]

[8] P.Frascolla, Tractatus logico-philosophicus. Introduzione alla lettura, Carocci Editore, Roma 2000,  p.224. [indietro]

[9] C.Sini, Scrivere il silenzio, op.cit.,  p. 88. [indietro]

[10] Cfr. D.Zucchello, Dai fondamenti della logica all’essenza del mondo: alle origini del ‘Tractatus’, Il Giardino dei pensieri, Studi di Storia della Filosofia, http://www.ilgiardinodeipensieri.com/storiafil/zucchello.htm  [indietro]

[11] Si veda in proposito la lettera di Wittgenstein all’editore Von Ficker. [indietro]

[12] Per questa interpretazione, cfr. C.Sini, Scrivere il silenzio, op.cit. [indietro]

[13] G.Piana, Interpretazione del ‘Tractatus’ di Wittgenstein, In Saggiatore, 1973, p. 56. Sempre nell’ambito di una lettura del Tractatus legata prevalentemente all’impostazione logica, la declinazione ‘etica’ verrebbe vista come risposta a questo interrogativo: “Come agisce sul mondo la volontà, non psicologica, in cui risiedono i valori? Essa non incide sui fatti, non cambia l’effettiva combinazione del sussistere/non sussistere degli stati di cose, ma modifica i limiti del mondo […] Al variare dell’atteggiamento etico del soggetto metafisico, il mondo nel suo complesso acquista un nuovo aspetto, una nuova fisionomia (ad esempio se il soggetto si sente felice, il mondo apparirà ‘buono’, altrimenti apparirà ‘cattivo’) ”, P.Frascolla, Tractatus logico-philosophicus. Introduzione alla lettura, op. cit., p. 282. [indietro]

[14] “Il mondo è una mia rappresentazione”, A.Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, I Meridiani, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1989, p. 29 [indietro]

[15] D.Marconi, Wittgenstein, Laterza, Roma-Bari 2003, pp. 56-57 [indietro]

[16] Sulla continuità tra quello che è stato tradizionalmente definito “il primo” e “il secondo” Wittgenstein, si vedano - tra gli altri - il richiamo di Perissinotto alla presenza costante di alcuni elementi cardine di riflessione (come la differenza tra dire e mostrare) tanto nel Tractatus quanto nelle Ricerche (cfr. L.Perissinotto, Wittgenstein.Una guida, op. cit.,  pp. 57-58 e, per la citazione qui riportata, pp. 68-69). Lo stesso Wittgenstein, proprio nella prefazione all’omonimo testo, evidenzia come gli oggetti principali delle sue ricerche filosofiche negli ultimi anni siano stati “il concetto di significato, di comprendere, di proposizione, di logica, i fondamenti della matematica, gli stati di coscienza” ovvero “i medesimi argomenti o argomenti molto simili a quelli che lo avevano impegnato al tempo del Tractatus [tanto che i nuovi pensieri] sarebbero stati messi in giusta luce soltanto dalla contrapposizione con il vecchio modo di pensare e sullo sfondo di esso”, L.Perissinotto, pp. 68-69. Per un’interpretazione che sottolinea invece gli elementi di cesura si veda D.Marconi (Due Wittgenstein o uno solo?, in Wittgenstein, op.cit., pp. 95-103) [indietro]

[17] D.Marconi, Wittgenstein, op.cit., p. 91 [indietro]

[18] D.Marconi, Wittgenstein, op.cit., p. 90. Secondo Marconi, dietro il dichiarato ‘uso strumentale’ che si deve fare delle proposizioni del Tractatus vi sarebbe ancora sostanzialmente la forma dell’esposizione dogmatica della teoria. [indietro]

[19] Come sottolinea D.Voltolini, quello di gioco sarebbe un ‘concetto aperto’ che all’idea di nota caratteristica (o estensione di un concetto) sostituisce l’idea di somiglianza di famiglia. Di nuovo, questa non deve intendersi come una definizione che affermi che tutti i concetti sono aperti invece che chiusi, altrimenti si cadrebbe di nuovo in una concezione essenzialista del linguaggio (D.Voltolini, Guida alla lettura delle Ricerche Filosofiche di Wittgenstein, Editori Laterza, Roma-Bari 1998,  pp. 44-47). [indietro]

[20] Il gioco linguistico sarebbe strettamente connesso alle ‘reazioni’, ai ‘comportamenti’ messi in atto dalla comunità che lo condivide, “comportamenti che formano la base pre-linguistica del gioco stesso” e ne eliminano perciò il carattere di stipulazione meramente convenzionale (Ibidem, pp. 42-43) [indietro]

[21] M.Ferraris (a cura di), La svolta, Il Melangolo.  Sul carattere ‘oggettivo’ della svolta, ovvero sulla sua necessaria iscrizione nel perimetro stesso di Essere e Tempo, si veda anche Marini: “Il ‘rovescio’ non è in primo luogo un’avventura del suo pensiero, ma è implicito oggettivamente nel rapporto Essere e Tempo – Tempo e Essere” (A.Marini, Il senso dell’essere e la ‘svolta’, La Nuova Italia, Firenze 1982, p. LXXXIII). Questo delicato rapporto ‘Tempo ed Essere’ tornerà ancora nel titolo di una conferenza tenuta da Heidegger nel 1962. Sul significato squisitamente filosofico, appunto ‘ontologico’ e non filologico di questa indagine si veda infine anche P.Chiodi, Essere e linguaggio in Heidegger e nel Tractatus di Wittgenstein, in “Rivista di filosofia”, 1955, pp. 170-191. [indietro]

[22] M.Marassi, Ermeneutica della differenza, Vita e Pensiero, Milano 1990, p. 175. [indietro]

[23] “L’asserzione, il giudizio, i luoghi originari di manifestazione del linguaggio, derivano secondo Heidegger, da fenomeni ben più originari che costituiscono la loro condizione di possibilità: l’interpretazione e la comprensione […] L’asserzione deriva dall’interpretazione e perciò dalla comprensione”, Ibidem, pp. 35-36 [indietro]

[24] Ibidem, p. 39 [indietro]

[25] Ibidem, pp. 177-178 [indietro]

[26] F.Volpi, Guida a Heidegger, Laterza, Roma-Bari 1997, p. 200. [indietro]

[27] Ibidem, pp. 45-46: “Emblematico per Heidegger è l’impoverimento di significato che avviene con la traduzione latina di alètheia con veritas, di idèa con repraesentatio, di logos con ratio, di enèrgheia con actualitas, di hypokèimenon con subjectum, impoverimento che Heidegger interpreta come segno dell’emergere del predominio dell’ente sull’essere e della ‘soggettità’ che si compiono in età moderna”. [indietro]

[28] Risposta all’identificazione sartriana tra esistenzialismo ed umanismo, dove viene ribadita l’ispirazione essenziale della ricerca heideggeriana come filosofia dell’essere. [indietro]

[29] L’abbandono del progetto originario è anche segnalato, nei testi che seguono la Kehre, dall’espediente grafico di sostituire al termine Sein (essere) la grafia arcaica Seyn od ancora un’altra scrittura che barra il termine stesso con una croce, nell’intento di abbandonare ogni rappresentazione metafisica dell’essere. [indietro]

[30] Come è stato osservato “Heidegger sembra ora operare con tutta la prudenza teorica, la fantasia e il controllo verbale di chi teme l’ironia del linguaggio, una conversione ad un ‘uso’ non più referenziale e denotativo del linguaggio (in cui l’intenzione soggettiva e la strumentalità predominano) ma ad un uso creativo, poetico, o meglio ad un non-uso. In effetti, tipica del linguaggio della metafisica è la sua strumentalità [...] ma quando lo strumento o il mezzo si spezza si apre uno spazio di sorpresa, di estraneazione e di meraviglia che è lo spazio della teoria”, A.Marini, Il senso dell’essere e la ‘svolta’, op. cit., p. XC. [indietro]

[31] La logica stessa, per come viene concepita nella filosofia greca, e poi la scienza, paradigma di conoscenza nel mondo occidentale, sono rese possibili proprio dalla separazione tra essere e pensare che trasforma il linguaggio in una ‘tecnica’ e il rapporto al mondo in uno studio di enti (la verità stessa viene concepita come mera ‘corrispondenza’). [indietro]

[32] L’estetica, così come è stata concepita da Baumgarten in poi, è il “sapere del comportamento sensibile, sensitivo e sentimentale dell’uomo e di ciò da cui è determinato”, in una prospettiva quindi che interpreta ancora l’opera d’arte come un ‘oggetto’ per un ‘soggetto’, cfr. Arte, poesia e linguaggio in F.Volpi, Guida a Heidegger, op. cit., pp. 202-203. [indietro]

[33] Ibidem, p. 212. [indietro]

[34] Sul linguaggio come gioco si veda anche Novalis [indietro]

[35] Cfr. Arte, poesia e linguaggio, in F.Volpi, Guida a Heidegger, op. cit. p. 213. [indietro]

[36] Corsivo mio [indietro]

[37] Da M.Heidegger, In cammino verso il linguaggio, a cura di A.Caracciolo, Mursia, Milano 1990, pp. 131 [indietro]

[38] In questi versi è racchiuso il segreto del linguaggio stesso che non può essere altrimenti compreso (non esisterebbe cioè per Heidegger alcuna forma di ‘metalinguaggio’ che possa supplire l’assenza di parola o che possa cogliere l’essenza della parola in altro modo che attraverso questa esperienza di ascolto, che è ascolto della parola e del silenzio). Sul tema del silenzio in Heidegger si veda anche quanto osservato da Vattimo: “Il silenzio ha bisogno della parola fisica dell’uomo per essere silenzio originario, da cui ogni discorso trae la sua possibilità. La stessa tensione che si stabilisce nell’Ereignis tra essere e uomo, si stabilisce nel linguaggio tra parola umana e risuonare del silenzio”, G.Vattimo, Linguaggio e silenzio, in Essere, storia e linguaggio in Heidegger, Sguardi sulla filosofia contemporanea/Edizioni di Filosofia, Torino 1963, p. 137. Sull’interpretazione del verso di George si veda anche Marassi: “L’espressione di George non va intesa nel senso che ‘una cosa, la parola, procura l’essere a un’altra cosa’. Non si sostiene infatti una concezione sostanzialistica del linguaggio per cui parola e cosa si collocano all’identico livello d’essere e si rapportano a un’identica conformità ontologica: piuttosto ‘parola’ e ‘cosa’ sono ‘realtà diverse’ e ciò significa che la parola ‘non è’, ‘non è una cosa’, e che il suo esse non è naturale”, Marassi, p. 200. [indietro]

[39] Cfr. Arte, poesia e linguaggio, in F.Volpi, Guida a Heidegger, op. cit., p. 223. [indietro]

[40] Cfr. G.Vattimo, Linguaggio e silenzio  in  Essere, storia e linguaggio in Heidegger, op.cit., p. 135 [indietro]

[41] Cfr. Vattimo, Linguaggio e silenzio  in  Essere, storia e linguaggio in Heidegger, op.cit, p. 136. [indietro]

[42] Marassi, Ermeneutica della differenza, op. cit., p. 225 [indietro]

[43] Cfr. Vattimo, Linguaggio e silenzio  in  Essere, storia e linguaggio in Heidegger, op. cit., p. 136. [indietro]

[44] Marassi, Ermeneutica della differenza, op.cit.,  p. 226 [indietro]