Torna al sommario di Comunicazione Filosofica Comunicazione Filosofica n. 9 - dicembre 2001
Intervention de Fulvio Cesare Manara, représentant de la Société Italienne de Philosophie (SFI), au IIIème Colloque del l’Acireph, à Paris, le 28 octobre 2001 Je veux avant tout vous remercier, au nom de mon association, la Société Italienne de Philosophie, et de son Président, Luciano Malusa, de l'invitation qui nous a été adressée à parler devant vous et a renforcer les liens entre votre Association et nous. Je tiens en particulier à remercier la direction de l’Acireph, pour l'accueil remarquable qui nous a été offert. C’est regrettable, mais pour le reste de mon intervention j’irais utiliser ma langue maternelle, pour vous sauver de mon français, qui est pénible. [A nome della mia Associazione, la Società Filosofica Italiana, e del suo presidente, Luciano Malusa, voglio porgere prima di tutto i miei ringraziamenti per l’invito rivoltoci a partecipare a questo Colloquio. La direzione dell ‘Acireph in particolare, per la notevole accoglienza che ci è stata offerta.] La Società Filosofica Italiana, come penso sappiate, è un’associazione accademica di antica formazione, essendo nata nel 1902 (e ricostituita nel 1953). Le finalità della nostra società, oltre alla ricerca filosofica sul piano scientifico sono anche relative alla ricerca di un “idoneo ordinamento delle strutture culturali didattiche e pratiche della ricerca filosofica”, ed alla valorizzazione e tutela della professionalità dei docenti di filosofia, e infine “l'incontro e la collaborazione fra i cultori italiani delle discipline filosofiche e la costituzione di centri locali di studio e l'incontro e la collaborazione fra i cultori italiani delle discipline filosofiche e quelli di altri paesi”. Nonostante la sua origine accademica, ora la SFI conta fra i suoi iscritti in stragrande maggioranza docenti della scuola secondaria. Sono attive ben 36 sezioni locali, operanti sulla dimensione della propria provincia o della propria regione. La storia degli ultimi anni della nostra associazione ha visto confronti e dibattiti a volte anche aspri fra i docenti di questi due diversi ordini di scuole. È stata però questa una ricchezza da tutti riconosciuta. Negli ultimi anni anzi lo spazio e l’attenzione alle problematiche dell’insegnamento della filosofia, alla didattica disciplinare sono andati crescendo, così come la partecipazione dei docenti della secondaria che si sono attivati per la ricerca didattica. Non a caso negli ultimi anni la SFI ha sottoscritto con il Ministero della P.I. un protocollo d’intesa che ci impegna a progettare ricerca e sperimentazione nel settore dell’insegnamento della filosofia, produrre materiali didattici anche in dimensione europea, oltre alla formazione e all’aggiornamento degli insegnanti. Proprio in relazione a questo impegno per la didattica, dopo anni di progettazione, è finalmente attivato il Centro Interdipartimentale di Ricerca sulla Didattica della Filosofia, nato da un accordo fra le università di Padova e di Bari. La Società Filosofica Italiana considera i legami fra le nostre associazioni come importanti ed essenziali: è nostra convinzione, infatti, che siano in gioco sfide per l’educazione filosofica dei cittadini dell’Europa del domani che non possono essere più gestite semplicemente sulla scorta delle tradizioni nazionali. La sfida cui ci troviamo di fronte ci stimola a coltivare il nostro giardino, certo, ma nello stesso tempo a lasciare che i venti e i semi di altri giardini entrino in contatto con il nostro, che i giardinieri non si rinchiudano nel loro orticello ma sappiano metter fuori la testa oltre il muro di cinta, e, perché no, anche saper esplorare luoghi e territori di giardini altri. Nella parte restante di questo indirizzo sottolineo semplicemente alcuni nodi sui quali secondo il mio modesto punto di vista le nostre associazioni potranno in modo fertile continuare a dialogare e confrontarsi, crescere insieme. È comune ai due paesi il cambiamento intervenuto nella scuola secondaria: la sua massificazione, la ramificazione dei percorsi formativi e le nuove urgenze e progettazioni curricolari. Questo rappresenta una «spinta» esterna a ripensare le modalità di comunicazione della filosofia alle nuove generazioni. La tendenza alla mutazione nel sistema dell’istruzione in direzione della proposta della «filosofia per tutti» è la politica educativa emergente. Ma il fatto che la legittimità dell’insegnamento della filosofia sia ben radicata, e anzi la si carichi di attese e di ipotesi di diffusione crea una situazione ambigua. Per un buon insegnamento della filosofia la domanda diffusa non è affatto sufficiente. Tale proposta rappresenta una sfida poliversa e polimorfa. Essa pone ai filosofi il seguente quesito: se e come sia utile, e quindi auspicabile e necessaria, una formazione filosofica rivolta a tutti, piuttosto che a pochi. Questa spinta emerge dall’evoluzione dei sistemi formativi, in particolare nel nostro paese, ha posto all’attenzione dell’opinione pubblica l’esplicito problema di superare definitivamente l’impianto del sistema formativo risalente agli inizi del secolo, il quale prevedeva che la formazione filosofica esplicita fosse diretta solo agli indirizzi di studio rivolti ai futuri membri della classe dirigente. Ci si chiede cosa deve cambiare nell’insegnamento della filosofia in relazione al modificarsi del pubblico cui esso viene indirizzato: ed è, evidentemente, uno scenario nuovo e per certi aspetti un cambiamento epocale. Inoltre, dal punto di vista pedagogico, è senz’altro chiara e ormai matura la tendenza a muovere da un modello centrato sulla trasmissione del sapere ad uno, più complesso ed aperto, centrato sulla consapevolezza che la mediazione didattica comporta l’attivazione di processi relazionali complessi in cui la chiave è la costruzione del sapere e lo sviluppo delle competenze metacognitive sul proprio stesso processo di apprendimento; il che, ovviamente, mette al centro la comunicazione, l’ascolto, la scoperta, nonché la significatività del sapere filosofico per lo studente che apprende. Per quanto riguarda le finalità dell’insegnamento filosofico, le direzioni verso cui muoviamo non sono sempre le stesse, anche se ci appelliamo a da principi che evidentemente condividiamo. Infatti le deduzioni che ricaviamo dalle affermazioni di principio sembrano andare in due versi opposti. Facciamo un esempio. Per una scuola come la nostra, in cui l’insegnamento della filosofia talvolta ha corso il rischio di essere quel che Hegel stesso deprecava, ossia una filastrocca di opinioni, è abbastanza importante tenere ben fermo che «l'insegnamento della filosofia è un insegnamento filosofico». Da noi era relativamente raro fino a non molti anni fa affermare che l’insegnante di filosofia debba praticare il filosofare in classe. Pochi avevano il coraggio di sostenere in pubblico un motto del tipo «il professore di filosofia è prima di tutto un filosofo». Quale presunzione! Si attiravano gli strali degli accademici, gli unici ad avere diritto di essere appellati “filosofi”. Ma di fatto quel che si diceva qui in Francia del nostro insegnamento in pratica stigmatizzava appunto questa estremizzazione possibile. E ancor’oggi si possono incontrare colleghi (non fra coloro che scrivono di didattica della filosofia, in verità) i quali ripetono stancamente che nei licei italiani non si insegna la « filosofia » ma la « storia della filosofia », e alcuni forse persisterebbero nel negare il motto sopra espresso. È ben vero che il fatto di poter offrire un “insegnamento filosofico” non basta a formare buoni allievi di filosofia: e dalla vostra esperienza lo si comprende. Per noi ora si tratta però di abbandonare definitivamente qualsiasi ipotesi di fare dell’insegnamento della filosofia un insegnamento del tipo della storia delle idee. Questa tentazione riemerge, a volte. D’altra parte condividiamo con voi che per insegnare filosofia non basta proprio che il docente dia spettacolo con il suo filosofare di fronte ad allievi che alla fine restano estranei a tale rappresentazione. Insegnare filosofia è portare gli allievi a confilosofare. Dalla vostra usuale «negazione pura e semplice del mestiere di insegnante» voi cercate di muovere verso l’insegnamento filosofico consapevole delle necessarie didattiche (didattizzare la filosofia senza snaturarne la pratica). Vi proponete di superare il mito della filosofia come disciplina "ascolastica". Per noi si tratta di comprendere che nessuna pratica della storia della filosofia è formativa se non attuata in un contesto di pratica del filosofare e del confilosofare. Vorremmo insomma introdurre la pratica filosofica nella scuola. Sottoscriveremmo quindi senza riserve il motto secondo cui «Studiare la filosofia al liceo significa formarsi alla filosofia e attraverso la filosofia ». Anche per quanto riguarda la regolamentazione dell’insegnamento della filosofia, da noi è avvenuto un movimento inverso rispetto alla Francia. Nonostante se ne faccia un gran parlare, non sono ancora previsti nuovi programmi: i programmi ministeriali risalenti al 1923 si sono svuotati di senso ed hanno perduto la loro funzione originaria. Da vent’anni sono stati sperimentati programmi alternativi (i cosiddetti programmi stesi dalla commissione « Brocca ») ma non in tutte le scuole, nemmeno nella maggioranza. Per parte nostra, all’interno della nostra Commissione Didattica abbiamo elaborato lo scorso anno un documento rivolto al Ministero, con non comune sforzo di sintesi ed elaborazione delle varie piste di ricerca, per suggerire il nostro punto di vista in merito alle linee portanti della riforma dell’insegnamento della filosofia. L’indirizzo verso il quale ci siamo orientati è quello dell’identificazione dei nuclei fondanti della disciplina filosofica, l’identificazione delle competenze fondanti nelle pratiche filosofiche e nel filosofare, la selettività dei contenuti in relazione alla valenza formativa dell’insegnamento filosofico, e via dicendo. Così, al contrario di quanto forse accade alla Francia, l’Italia non assomiglia certo ad una fortezza assediata in cui è in gioco una tradizione ritenuta inviolabile: in certi momenti sembra piuttosto una prateria aperta in cui orde di popolazioni a volte molto diverse tra loro vanno scorrazzando per ogni dove, se mi si passa un’immagine sicuramente forzata. Da noi dire «il professore di filosofia è l'autore del suo corso » avrebbe potuto suonare come un’eresia (e forse qualcheduno si scandalizzerebbe ancor’oggi all’udire simili proposizioni). E che ogni professore possa organizzare «come vuole e sotto la sua piena responsabilità il suo anno, il suo approccio alle nozioni e ai testi in questa o quella classe, secondo il proprio stile d'insegnamento» è stata per noi una conquista in parte dovuta al fatto che - secondo un fenomeno tutto italiano - è andata scemando di fatto la prescrittività dei programmi della prima metà del secolo. Così, siamo in ritardo nella definizione di piste programmatiche condivise, e se da una parte questo ci lascia tutt’oggi sprovveduti di programmi, d’altra parte permette punte di sperimentazione e cambiamento a volte molto significative. Nello stesso tempo, il patrimonio di riflessioni condotte da insegnanti di filosofia (soprattutto della scuola secondaria), anche all’interno della nostra associazione, negli ultimi vent’anni è significativamente cresciuto. Possiamo dire che disponiamo di un quadro di ricerche teoriche ed empiriche molto ricco, che ha affiancato una pratica diffusa e decentrata di innovazione, coordinata in parte dalla Commissione Didattica della nostra Associazione. Così, gli insegnanti interessati e professionali non sono stati lasciati soli di fronte alla deriva dei programmi di filosofia. Il dibattito sulla ddf in Italia ed i suoi sviluppi nell’ultimo decennio in particolare hanno messo realmente a loro disposizione elementi di riflessione e proposte, indagini teoriche e proposte operative. Le direzioni in cui si è mosso questo fertile dibattito sono ampie, ed in grandissima parte molto ponderate. Difficile incontrare posizioni estremistiche (sia di quelle del tipo dei «puristi guardiani del tempio» che di quelle provenienti dalle truppe cammellate dei pedagogisti). La ricerca, nelle sue risultanti più apprezzate, ha saputo muoversi permettendo di riscoprire le pratiche di comunicazione filosofica come pratiche filosofiche e non come orpelli tecnici e/o indebite intrusioni didattiche. Le pratiche di insegnamento si sono rinnovate proprio mediante la riscoperta, ancora in corso e sempre da rinnovare, della molteplicità delle pratiche del filosofare messe in opera dalla tradizione. Ci troviamo da questo punto di vista in linea con quanto ho letto, mi pare, anche in molti scritti della Vs. associazione, quando si identificano le attività della classe di filosofia. Nell’elencare le pratiche filosofiche formative, ad es.: lettura e dialogo, dialogo socratico, gli esercizi filosofici, i lavori di gruppo, l’articolazione del lavoro individuale e collegiale, la comunità di ricerca filosofica, la scrittura filosofica, l’apertura ai legami con altre discipline, il laboratorio di filosofia ecc.. Si tratta di assumere un atteggiamento non riduttivo di fronte alla complessità delle interazioni che avvengono in classe, ed anche nel rispetto della ampiezza di opportunità offerta dalla vasta varietà di tecniche di cui la pratica filosofica si è servita nel corso della storia. È necessario comprendere che la progettazione di una attività di insegnamento della filosofia richiede di mettere in atto un sistema complesso, e che occorre pensare a tale sistema secondo criteri del tutto nuovi. Anche noi siamo convinti che dalla fase attuale usciremo riformando il modello italiano, di origine gentiliana (ormai però irriconoscibile nella prassi didattica diffusa). L’apertura al confronto con tutti coloro che altrove stanno conducendo lo stesso sforzo di rinnovare crescendo ci conforta, e questa è un’occasione del genere. Proprio nel dialogo con altri, e ascoltando attentamente chi ha difficoltà diverse dalle nostre, ci specchiamo anche su noi stessi e meglio leggiamo le nostre stesse difficoltà. Non esiste un modello unico in didattica della filosofia, non possiamo sognare alcun modello omogeneo, e buono per tutti, ma nello stesso tempo le problematiche del comunicare filosoficamente le pratiche e gli stili dell’interrogare filosofico attraversano universalmente qualsiasi tentativo, ovunque esso venga messo in atto. D’altra parte, i problemi dei filosofi non sono la stessa cosa dei problemi filosofici, ma ogni volta che un filosofo mira alle domande e all’interrogare filosofico, lo fa entro il quadro dei propri problemi. Accenno semplicemente alla questione della formazione dei docenti, che è un altro punto dolente su cui ci sembra avremo molto da dirci. Le condizioni e le modalità della formazione degli insegnanti di filosofia non sono da tempo soddisfacenti, e praticamente si potrebbe dire che non lo sono mai state. I nodi problematici di questa formazione sono per molti aspetti anche per noi gli stessi. Uno spazio estremamente problematico sono le SSIS (Scuole di Specializzazione per l’Insegnamento nella Secondaria), attivate nelle università, all’interno delle quali i confini sono ancora confusi, si evidenziano residue resistenze da parte del mondo accademico. In alcune di esse sono attivi colleghi appartenenti alla nostra Associazione, anche se la partita è molto incerta ed è assai dubbio che si possa procedere nella direzione da noi auspicata. Il territorio in cui possiamo incontrarci fra associazioni, in questa nuova casa che speriamo divenga l’Europa, è evidentemente quello della ricerca comune, capace di mettere eredità e tradizioni diverse a confronto in modo aperto. I livelli in cui operare sono gli stessi che ci siam detti ripetutamente : quello delle istituzioni, quello delle associazioni, ma pure quello delle agenzie locali, dei licei e dei professori, dei ricercatori e degli sperimentatori. I segni che molto di tutto questo ha cominciato ad attuarsi sono molti: contatti intensi e diffusi hanno condotto non solo a scambio di inviti, ma a confronti internazionali ripetuti, ed a un’attività che anche editorialmente ha permesso al pubblico italiano di prendere contatto con alcuni dei colleghi che in Francia parlano di insegnamento della filosofia. A proposito, si potrebbe pensare a un seminario annuale tra le commissioni didattiche delle diverse Associazioni nazionali, sui temi rilevanti della didattica e sulla situazione dell’insegnamento della filosofia. Oppure pensare ad un forum periodico fra le associazioni. Per parte nostra potremmo già prendere in considerazione la proposta nella prossima sessione della Commissione Didattica. Per noi la Francia e l’Italia sono già in asse per questo processo di interazione: siamo i paesi europei in cui nella scuola secondaria la filosofia viene insegnata diffusamente: i paesi in cui si dibatte, apertamente, sulla proposta della filosofia per tutti. Ma noi sappiamo bene che la filosofia praticata nella sua autenticità non può essere messa in svendita, su alcun mercato. Vi ringrazio.-
Fulvio Cesare Manara SFI, Roma |