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Comunicazione Filosofica n. 9 - dicembre 2001

 

Colloque dell’Acireph. Insegnamento filosofico e democratizzazione.

 Bozza indirizzo di saluto di Giorgio Luppi. La filosofia nella scuola di tutti

 

1)  Ringraziamenti e breve presentazione di Athena (sulla base della nostra autopresentazione)

2)  Significato della presenza di un insegnante italiano e della associazione Athena al Colloque: i problemi che l’insegnamento filosofico incontra nella scuola secondaria  propongono un ambito di ricerca comune agli insegnanti dei nostri due paesi, che sono quelli in cui la filosofia è più radicata e diffusa nel sistema scolastico. Questi problemi hanno da tempo contribuito a evidenziare i limiti dei  modelli consolidati di insegnamento della filosofia, al di qua e al di là delle Alpi (che si è soliti rappresentare attraverso l’alternativa  filosofia / storia della filosofia). Infatti, nonostante l’impostazione  diversa e in un certo senso  opposta, c’è qualcosa che accomuna i due modelli: entrambi concepiti ad uso di una popolazione studentesca numericamente ristretta e socialmente elitaria, essi si mostrano incapaci a soddisfare i bisogni formativi di  un pubblico di allievi sempre più di massa ed eterogeneo.

3)   La sperimentazione didattica, la riflessione teorica, i progetti di riforma, la stessa editoria scolastica  si sono mosse in Italia negli ultimi anni in una direzione  convergente con le linee indicate dal vostro Manifesto per una riforma dell’insegnamento filosofico in Francia. La potrebbe  essere  così sommariamente descritta. In Italia ci si è resi conto che è improprio far coincidere l’apprendimento della filosofia  con la sola conoscenza di quello che hanno detto i filosofi, e l’insegnamento con la presentazione dossografica, in ordine cronologico, delle dottrine dei principali filosofi; si è visto che invece è possibile  a scuola  “apprendere a filosofare”, come voleva Kant. Da voi, se ho letto bene il Manifesto dell’Acireph, si è fatta strada l’idea che apprendere  a filosofare implica anche la conoscenza delle  grandi idee, depositate nella tradizione storica della filosofia. Nel 6° cantiere dite infatti: “Con l’irrigidire […] le legittime distinzioni tra pensare e conoscere, […] o tra movimenti  di un pensiero vivo e le idee dei filosofi, si finisce con l’impedire ogni seria riflessione sul modo di articolare queste distinzioni nell’insegnamento”.   E poi – poco più avanti – vi proponete come ineludibile la domanda che ci poniamo anche noi in Italia, quando proviamo a riformulare i curricoli dell’insegnamento della filosofia: “Che cosa gli allievi, che si accostano al filosofare, devono conoscere della storia della filosofia”? Infatti, apprendere la filosofia significa anche interiorizzare, rielaborandole  e facendole proprie, “idee e distinzioni concettuali che non hanno niente di naturale e di spontaneo”, ma che si sono prodotte nella storia del pensiero filosofico.

4)  Un’ altra, e forse più interessante, linea di convergenza tra il rinnovamento dell’insegnamento filosofico in Italia e le indicazioni che vengono dalla vostra riflessione riguarda la natura e la funzione dell’insegnamento di filosofia. Per rispondere al bisogno di filosofia di un pubblico di studenti sempre più eterogeneo è invece indispensabile (cantieri 1 e 2 del vostro manifesto) che la filosofia si autocomprenda come una materia scolastica a tutti gli effetti (e non come voi dite “ascolare”).,  e dunque si impegni a definire con rigore e precisione metodologie, obiettivi, contenuti, finalità.

5)  Quanto a queste ultime, siamo d’accordo su un punto importante per gli insegnamenti non tradizionali: la finalità dell’insegnamento di filosofia nella scuola non  è soltanto di insegnare a filosofare (anche se questo è uno scopo fondamentale, naturalmente nei limiti in cui esso può esser conseguito a scuola);  la presenza della filosofia  nei curricoli di scuola media superiore si giustifichi anche in ragione di una più generale  valenza formativa,  per l’utilità che la filosofia riveste – insieme alle altre discipline, ma verosimilmente in modo più specifico e mirato –nella formazione negli allievi di competenze trasversali, come:  pensiero critico,   chiarificazione di concetti e linguaggi;  riflessione sui propri ragionamenti e su quelli altrui; al disponibilità al dialogo e capacità di decentramento rispetto alle proprie opinioni (e inoltre tutte le altre che avete elencato nel 4° cantiere).

6)  Ciò si  lega alla delicata relazione filosofia e formazione alla professionalità, che assume primaria importanza  negli indirizzi tecnici e tecnologici. In Italia, alcuni  esponenti delle  organizzazioni imprenditoriali riconoscono volentieri l’ utilità della filosofia nella formazione degli allievi, perché vedono in essa un contributo indispensabile alla formazione di una professionalità complessa e flessibile. Questo aspetto è certamente importante. Ma   il contributo della filosofia alla formazione professionale si esplica anche nel senso –  che più preme a noi –  di favorire la costruzione di figure professionali capaci di maggior senso critico e di rapporto non subalterno l’attività di lavoro e con il contesto in cui essa si svolge.  Questo è il motivo per cui  affermiamo il diritto per tutti i giovani di  accedere a un minimo di formazione filosofica; a questo fine tra le proposte di riforma  è stata avanzata quella - che viene in questi mesi sperimentata in alcune scuole di diversi indirizzi -  di inserire moduli di filosofia elementare non solo nell’ultimo  triennio delle superiori di ogni indirizzo (16 –18 anni), ma anche negli anni conclusivi dell’obbligo scolastico (14 e 15 anni). Allo stato attuale, sembra difficile che questo aspetto della  riforma possa davvero attuarsi, anche perché sono ancora oscuri su questo terreno i disegni del nuovo ministro dell’Istruzione. Ma è chiaro come, almeno  in rapporto a quella fascia d’età, l’insegnamento filosofico abbia senso soltanto se assume il compito magari modesto ma di contribuire alla formazione di base degli studenti attraverso gli strumenti che la filosofia offre, e non se  pretende di insegnare in poche ore a filosofare.

7)  Tale consapevolezza pedagogica e didattica intorno ruolo e significato della filosofia nella scuola  è d’aiuto anche per affrontare i problemi dell’insegnamento della filosofia negli indirizzi tecnici e tecnologici. In Italia, anzi,  proprio l’estensione (limitata e sperimentale) dello studio della filosofia  a questi indirizzi rappresentò a suo tempo lo stimolo  più forte per un ripensamento generale del ruolo e della funzione della filosofia nella scuola. In questi ordini di studi, infatti, la presenza della filosofia non era (e non è ancora)  ovvia: sia per gli studenti, presso i quali è dunque necessario giustificarla  esplicitamente, sia per i colleghi delle altre materie, per i quali la filosofia rappresenta spesso un concorrente che sottrae inutilmente spazio orario agli altri insegnamenti.

8)  (inserire sintetico quadro informativo su dimensioni e non liceale della filosofia)

9)  Gli strumenti di cui disponiamo per monitorare e verificare i risultati  dell’insegnamento filosofico sono in Italia piuttosto presuntivi e artigianali (Per ovviare a questa carenza è stata fatta recentemente la proposta che Athena nei prossimi mesi si impegni in una ricerca, volta a verificare come effettivamente l’apprendimento della filosofia incida negli abiti intellettuali e comportamentali degli studenti). Nel merito delle scelte, che si rendono indispensabili affinché l’insegnamento della filosofia ottenga i risultati che da esso ci si attende negli indirizzi tecnici, l’esperienza italiana sembra però offrire almeno due suggerimenti, concernenti da un lato la collocazione e il peso orario della filosofia nei curricoli, dall’altro  alcune essenziali opzioni in campo didattico.

10)  In primo luogo, quanto alla collocazione nei curricoli, negli indirizzi in cui è presente, l’insegnamento filosofico si sviluppa in Italia su almeno due anni, ma nella maggior parte dei casi, anche in indirizzi non tradizionali, esso occupa i tre anni conclusivi della scuola superiore. Questo è un fattore  positivo. Se, infatti, il contributo della filosofia non è solo  di conoscenze, ma  tra le finalità dell’insegnamento vi è l’uso competente degli strumenti concettuali e linguistici della filosofia, allora è necessario che le capacità e le competenze proprie dell’insegnamento filosofico vengano assimilate progressivamente, come accade con le altre materie che implicano un apprendimento graduale (per esempio, la matematica e la lingua). Da questo punto di vista sembra raccomandabile un curricolo pluriennale di filosofia, anche a costo di una riduzione del peso orario per anno.

11) In secondo luogo, riguardo alle scelte di carattere didattico, negli indirizzi  tecnici, ancor più che in quelli classici, è centrale il significato che gli studenti assegnano alla filosofia. In questo senso, è molto importante che il punto di partenza di ogni percorso sia costituito da questioni iscrivibili nell’orizzonte di vita e di conoscenza  degli studenti. Questo, è bene chiarirlo, non significa partire dai problemi degli studenti (che spesso non si pongono affatto o si pongono solo in modo molto vago problemi suscettibili di esser trattati filosoficamente). Comporta invece che i percorsi di filosofia, siano costruiti in rapporto a e in funzione di questioni che gli studenti – opportunamente guidati – possano riconoscere come propri. In questo modo il percorso d’apprendimento favorirà il passaggio dal modo comune di pensare alla filosofia, o per lo meno, a modi di pensare via via più strutturati, e almeno in parte arricchiti dagli strumenti originali offerti dalla tradizione filosofica. Non sembri poco: anche Aristotele, come è noto, ammetteva che nello studio fosse necessario muovere da ciò che è “primo per noi” per giungere metodicamente a ciò che è “primo in sé”. E anche Hegel pensava a una scala d’accesso, attraverso cui la coscienza in formazione potesse montare dal senso comune alla scienza.

12) I problemi rispetto a cui siamo chiamati a misurare la significatività dell’apprendimento della filosofia sono verosimilmente quelli legati al processo di crescita e di costruzione dell’identità degli adolescenti; o quelli che scaturiscono dall’inserimento nella società. Ma possono anche – anzi devono - essere quelli che sorgono dalla esperienza  scolastica degli studenti.  La fatica di apprendere apparirà forse ben spesa, se le ore di  filosofia – mentre offrono  strumenti di tipo logico, argomentativo , concettuale, ecc. –  contribuiscono anche a chiarire filosoficamente aspetti e questioni concernenti le altre materie di studio, come per esempio le seguenti. a) perché la  fisica  che studiamo quest’anno fa uso di procedimenti matematici? La fisica si è sempre avvalsa di strumenti matematici? b) Perché andiamo in laboratorio? Quando e perché si è affermata questa pratica ? c) Che cos’è un computer? Quale è, nel computer, il rapporto tra elettronica e informatica, tra hard e software? Tale rapporto può esser spiegato in analogia con quello tra cervello e pensiero? E così via.

La filosofia ha da sempre “abitato” criticamente gli altri saperi. Nella cultura contemporanea, i confini tra la filosofia e alcune altre discipline sembrano tracciati più labilmente;  dunque mostrare la relazione la filosofia ha nel tempo con le altre discipline è certamente un compito connesso con il chiarimento intorno a ciò che essa  è in essenza.   Ma nella scuola, più ancora che da un orientamento di ricerca interno del pensiero filosofico, una didattica della filosofia che guardi oltre i propri tradizionali confini, per sporgersi verso le altre materie insegnate e parlarne filosoficamente,  discende dall’esigenza di rendere   lo studio della filosofia più attraente, perché più ricco di significato.