Testi

Indice dei testi

Esiodo, Teogonia

Empedocle, Sulla natura. Frammento 17

Platone, Fedro

Platone, Simposio: il mito dell’androgino

Platone, Simposio: il discorso di Diotima

Aristotele, Etica Nicomachea: tre specie di amicizia

Aristotele, Etica Nicomachea: è lecito sciogliere un’amicizia?

Prima Lettera di San Giovanni Apostolo

Sant’Agostino, Meditazioni sull’epistola dell’amore di San Giovanni

Prima Lettera di San Paolo ai Corinzi

Sant’Agostino, De Trinitate

Ugo di San Vittore, L’essenza dell’amore

San Tommaso d’Aquino, Summa theologiae

 

 

Testi

 

Presentazione dei testi

 

Esiodo, Teogonia

Dunque, per primo fu Caos, e poi

Gaia dall’ampio petto, sede sicura per sempre di tutti

gli immortali che tengono la vetta nevosa d’Olimpo,

e Tartaro nebbioso nei recessi della terra dalle ampie strade,

poi Eros, il più bello fra gli immortali, che rompe le membra, e di tutti gli dèi e di tutti gli uomini

doma nel petto il cuore e il saggio consiglio.

Da Caos nacquero Erebo e nera Notte.

Da Notte provennero Etere e Giorno

che lei concepì a Erebo unita in amore.

Gaia per primo generò, simile a sé,

Urano stellato, che l’avvolgesse tutta d’intorno,

che fosse ai beati sede sicura per sempre.

Generò i monti grandi, grato soggiorno alle dee

Ninfe che hanno dimora sui monti ricchi d’anfratti;

essa generò anche il mare infecondo, di gonfiore furente,

Ponto, senza amore gradito; dopo,

con Urano giacendo, generò Oceano dai gorghi profondi,

e Coio e Crío e Iperione e Iapeto,

Teia Rea Temi e Mnemosíne

Foibe dall’aurea corona, e l’amabile Teti;

dopo di questi, per ultimo, nacque Crono dai torti pensieri,

il più tremendo dei figli, e prese in odio il gagliardo suo genitore.

(Esiodo, Teogonia)

Proposta di domande per l’analisi: A quale interrogativo risponde il passo tratto dalla Teogonia di Esiodo? Perché si può affermare che il testo presenta insieme una teogonia e una cosmogonia? Quali caratteristiche vengono attribuite a Eros? Quali elementi di questo testo consentono di definirlo come "mito"?

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

Empedocle, Sulla natura, Frammento 17

Duplice cosa dirò: talvolta l’uno si accrebbe ad un unico essere

da molte cose, talvolta poi di nuovo ritornarono molte da un unico essere.

Duplice è la genesi dei mortali, duplice è la morte:

l’una è generata e distrutta dalle unioni di tutte le cose,

l’altra, prodottasi, si dissipa quando di nuovo esse si separano.

E queste cose continuamente mutando non cessano mai,

una volta ricongiungendosi tutte nell’uno per l’Amicizia,

altra volta portate in direzioni opposte dall’inimicizia della Contesa.

[…] Ma ascolta le mie parole: la conoscenza infatti accrescerà la mente:

come infatti già prima ho detto preannunciando i limiti delle mie parole,

duplice cosa dirò: talvolta l’uno si accrebbe ad un unico essere

da molte cose, talvolta di nuovo molte cose si disgiungono da un unico essere,

fuoco e acqua e terra e l’infinita altezza dell’aria,

e la Contesa funesta da essi disgiunta, egualmente tutt’intorno librata,

e l’Amicizia fra essi, eguale in lunghezza e larghezza:

lei scorgi con la mente e non stare con occhio stupito;

lei, che dagli uomini si crede sia insita nelle membra

e per lei pensano cose amiche e compiono opere di pace,

chiamandola con vario nome Gioia o Afrodite;

ma nessun uomo mortale la conobbe aggirantesi fra essi [elementi]:

ma tu ascolta l’ordine che non inganna del mio discorso.

(Empedocle, Sulla natura, Frammento 17)

Proposta di domande per l’analisi: Quale funzione assolve Amicizia nel ciclo cosmico? E Contesa? Nel processo di generazione e distruzione del mondo Amicizia e Contesa sono identificabili rispettivamente con il bene e con il male? In quale passo del testo emerge una contrapposizione tra l’opinione comune e la verità filosofica?

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

Platone, Fedro

"Ragazzo mio, per deliberare giustamente, in ogni cosa c’è un solo principio: si deve conoscere bene l’oggetto della decisione, altrimenti è forza maggiore cadere in errori. Ma i più non s’accorgono di ignorare l’essenza di ciascuna cosa e, come se la conoscessero, non ne cercano una definizione comune al principio dell’indagine; ma inoltratisi in quella, ne scontano la pena com’è giusto, perché non si trovano d’accordo né con se stessi né con gli altri. Non permettiamo quindi che capiti a me e a te ciò che biasimiamo negli altri; ma giacché si presenta a noi la questione se si debba entrare in intimità con chi ami o piuttosto con chi non ami, stabiliamo prima d’accordo una definizione d’amore che precisi la sua natura e i suoi effetti, e poi tenendola sempre d’occhio e riferendoci ad essa, possiamo indagare se l’amore è benefico o dannoso. Ora, che l’amore sia un tipo di desiderio, è chiaro a tutti, e in più sappiamo che si ha desiderio del bello, anche senza essere innamorati. Da cosa, allora, distingueremo chi ama da chi non ama? Bisogna, procedendo, considerare che in ognuno di noi vi sono due tipi di princìpi che ci governano e ci guidano, che noi seguiamo dovunque ci menino: l’uno è un innato desiderio di piaceri, l’altro, invece, è l’opinione acquisita che aspira all’ottimo. Talvolta questi due impulsi interni sono in accordo, ma talvolta sono in lotta fra loro: e ora prevale l’uno, ora l’altro. Quando l’opinione, che ci mena all’ottimo attraverso la ragione, vince, la sua vittoria è chiamata temperanza; ma il predominio su di noi del desiderio che irrazionalmente ci tira al piaceri, viene chiamato sfrenatezza. Ma in verità la sfrenatezza ha molti nomi perché ha molte membra e forme, e quando una di queste forme è presente in modo cospicuo, dà il proprio nome a chi ne è pieno, nome né bello né onorevole a portarsi. Così il desiderio del cibo quando predomina sulla ragione dell’ottimo e sugli altri desideri, si chiama gola e il nome servirà anche per chiamare chi n’è posseduto. A sua volta, il desiderio del bere che diventi padrone e che trascini per questa via chi ne è posseduto, è ovvio che nome prenderà; e così di seguito, sia per persone analoghe a queste sia per desideri fratelli di questi non è men chiaro quale sia il nome adatto per il desiderio che via via divenga dispotico. In vista di qual desiderio s’è premesso tutto ciò, lo si può già quasi capire; ma a dirlo sarà molto più chiaro che non dirlo. Quando il desiderio irrazionale, trascinato al piacere della bellezza, prevale sull’opinione tendente alla rettitudine ed è vigorosamente irrobustito dai desideri a lui affini volti alla bellezza del corpo, diventa guida vittoriosa, allora prendendo nome dalla sua stessa forza (rhóme), è chiamato amore (éros)".

(Platone, Fedro, 237b-238c)

Proposta di domande per l’analisi: Quale indicazione di metodo viene fornita per "indagare se l’amore è benefico o dannoso"? Quale definizione di amore è proposta nel testo? Quali condizioni dell’uomo vengono designate con i due termini "temperanza" e "sfrenatezza"?

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

Platone, Simposio: Il mito dell’androgino

XIV. - Eh sì, Eurissimaco, cominciò Aristofane, ho in mente di parlare in tutt’altro modo di te e Pausania. A me pare che gli uomini non abbiano affatto sentito la potenza di Amore perché diversamente gli avrebbero elevato templi ed altari grandissimi e gli farebbero grandissimi sacrifici, non come ora che non si fa niente di ciò, mentre lui ne avrebbe più diritto di tutti. Poiché egli è il dio più amico degli uomini, è loro protettore, risanatore di quei mali la cui guarigione farebbe la suprema felicità dell’uomo. Pertanto mi proverò a rivelarvi la sua potenza: voi ad altri ne sarete maestri. Bisogna innanzi tutto che sappiate qual è la natura dell’uomo e quali prove ha sofferto; perché l’antichissima nostra natura non era come l’attuale, ma diversa. In primo luogo l’umanità comprendeva tre sessi, non due come ora, maschio e femmina, ma se ne aggiungeva un terzo partecipe di entrambi e di cui ora è rimasto il nome, mentre la cosa si è perduta. Era allora l’androgino, un sesso a sé, la cui forma e nome partecipavano del maschio e della femmina, ora non è rimasto che il nome che suona vergogna. In secondo luogo, la forma degli umani era un tutto pieno: la schiena e i fianchi a cerchio, quattro bracci e quattro gambe, due volti del tutto uguali sul collo cilindrico, e una sola testa sui due volti, rivolti in senso opposto; e così quattro orecchie, due sessi, e tutto il resto analogamente, come è facile immaginare da quanto s’è detto. Camminavano anche ritti come ora, nell’una e nell’altra direzione; ma quando si mettevano a correre rapidamente, come i saltimbanchi fanno capriole levando in alto le gambe, così quelli veloci ruzzolavano poggiando su quei loro otto arti. […] Possedevano forza e vigore terribili, e straordinaria superbia; e attentavano agli dèi. Quel che Omero racconta di Efialte e di Oto che tentarono cioè la scalata del cielo per attaccare gli dèi, è detto di loro.

XV. Pertanto Giove e gli altri dèi andavano arrovellandosi che dovessero fare ed erano in grave dubbio perché non se la sentivano di ucciderli e farli sparire fulminandoli come i giganti, - sparivano così onori e sacrifici da parte degli uomini - né potevano lasciarli insolentire. Ma finalmente Giove, pensa e ripensa: "Se non erro, dice, ce l’ho l’espediente perché gli uomini, pur continuando a esistere ma divenuti più deboli, smettano questa tracotanza. Ora li taglierò in due e così saranno più deboli, e nello stesso tempo più utili a noi per via che saranno aumentati di numero. E cammineranno ritti su due gambe; ma se ancora gli salterà di fare gli arroganti, e non vorranno vivere quieti, li taglierò in due una seconda volta: così cammineranno su una gamba zoppa a balzelloni". Ciò detto prese a spaccare gli uomini in due, come quelli che tagliano le sorbe per conservarle o quelli che dividono le uova con un crine. E intanto, via via che tagliava, ordinava ad Apollo di torcere il viso e la metà del collo dalla parte del taglio - così che l’uomo avendo sott’occhio quella spaccatura divenisse più tranquillo - e di rimediare tutte le altre ferite. […]

XVI. Ognuno di noi è dunque la metà di un umano resecato a mezzo com’è al modo delle sogliole: due pezzi da uno solo; e però sempre è in cerca della propria metà. E quanti risultano tagliati da quell’essere misto che allora si chiamava androgino, sono grandi amatori di donna, ed è da questo ceppo che provengono per lo più gli adulteri; e parallelamente le donne che da qui provengono vanno folli per gli uomini e sono adultere; invece quante donne risultano parte di femmina, per nulla pensano agli uomini, ma più volentieri sono inclinate alle donne, e da questo sesso vengono le tribadi; e quanti infine sono parte di maschio danno la caccia al maschio e finché sono fanciulli, cioè fettine di uomini, amano gli uomini e godono a giacersi e ad abbracciarsi con gli uomini. E questi sono i migliori fra i fanciulli e i giovani perché sono i più virili di natura. Certo alcuni li dicono impudenti, ma è falso; perché essi non si comportano così per impudenza, ma per l’indole forte, generosa e virile, in quanto amano ciò che è loro simile […].

E se ad essi, mentre insieme giacciono, apparisse Efesto con i suoi strumenti e chiedesse: "Cos’è che volete o uomini, voi, l’uno dall’altro?". E rimanendo quelli dubbiosi, di nuovo chiedesse: "Forse che desiderate soprattutto essere sempre quanto più possibile una cosa sola l’uno con l’altro, affinché notte e giorno mai dobbiate lasciarvi? Se questo desiderate voglio fondervi e plasmarvi in un essere solo, affinché, di due divenuti uno, possiate vivere entrambi così uniti come un essere solo, e quando vi colga la morte, anche laggiù nell’Ade siate uno, invece di due, in un’unica morte. Orsù vedete se è questo che volete e se vi farebbe lieti ottenerlo...". A queste parole, sappiamo bene che nessuno contraddirebbe, né mostrerebbe di desiderare altra cosa, ma semplicemente avrebbe l’impressione di aver udito proprio quello che da sempre desiderava, di congiungersi cioè e di fondersi con l’amato per formare, di due, un essere solo. E la spiegazione di questo sta qui, che tale era l’antica nostra natura, e noi eravamo.

(Platone, Simposio, 189c-192e)

Proposta di domande per l’analisi: A quali interrogativi risponde il mito dell’androgino? Per quale motivo Platone ricorre alla forma letteraria del mito? Quale condizione dell’amante rivela il desiderio di fusione con l’amato: privazione o pienezza? Motiva la tua risposta. Per quale motivo l’amore viene definito "risanatore di quei mali la cui guarigione farebbe la suprema felicità dell’uomo"?

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

Platone, Simposio: Il discorso di Diotima

Ma adesso ti lascerò in pace. Dirò invece il discorso su Amore che ho ascoltato una volta da una donna di Mantinea, di nome Diotima, la quale era dotta su queste e molte altre questioni. Facendo fare dei sacrifici agli Ateniesi prima della peste, ritardò l’epidemia di dieci anni; e fu proprio lei che mi istruì nelle cose d’amore... Mi proverò dunque a riportarvi così da me solo, per quanto mi riuscirà il discorso che mi tenne lei, partendo dai punti sui quali già siamo d’accordo io e Agatone. Naturalmente, o Agatone, è bene discutere come tu hai spiegato, in primo luogo chi è Amore nella sua essenza e natura, e in seguito le sue opere. Ora mi par più facile parlarne nell’ordine che tenne allora la straniera, interrogandomi. Perché anch’io le dicevo quasi le stesse cose che ora Agatone sosteneva con me, che cioè Amore è un gran dio e ama le cose belle. Lei allora mi provava, con gli stessi argomenti che ho tenuto ora contro di lui, che Amore, secondo il mio stesso discorso, non era bello né buono. E io: "Che dici mai, o Diotima? Amore è forse brutto e cattivo?". E lei: "Non bestemmiare, rispose, o credi forse che ciò che non sia bello debba essere brutto?". "Sicuramente!". "E così ciò che non è sapiente, ignorante?

Ma non t’accorgi che c’è qualcosa di mezzo fra sapienza e ignoranza?". "Che cosa?". "Giudicare con giustezza, anche senza essere in grado di darne ragione. Non sai che ciò appunto non è scienza - perché dove non si sa dar ragione come potrebbe esservi scienza? Né ignoranza - giacché ciò che coglie il vero come potrebbe essere ignoranza? Orbene qualcosa di simile è la giusta opinione, qualcosa di mezzo fra l’intendere e l’ignoranza." "E’ verissimo" le dissi. "Non conseguirne, dunque, che una cosa non bella sia necessariamente brutta, né una cosa non buona, cattiva. Così anche Amore, poiché tu stesso concordi che non è buono né bello, non credere però in alcun modo che debba essere cattivo e brutto, ma qualcosa di mezzo fra questi due estremi." "E però, risposi io, tutti pensano d’accordo che sia un grande dio." "Quali tutti? Quelli che non sanno o anche quelli che sanno?". "Tutti, tutti, dico." E lei ridendo: "E come possono mai sostenere concordi, o Socrate, che Amore sia un grande dio, coloro che affermano che egli non è neppure dio?". "E chi sono questi?" esclamai. "Uno, rispose, sei proprio tu, un’altra, io." E io: "Come sarebbe a dire?". "E’ facile, rispose lei, perché rispondimi: non ritieni tutti gli dèi felici e belli? Oseresti dire che qualche dio non è bello e felice?". "Per Giove, no di certo" risposi. "E del resto non chiami felici coloro che possiedono bontà e bellezza?". "Sicuro!". "Ma Amore, l’hai ammesso, proprio perché è privo di bontà e bellezza, desidera questi beni che non ha." "Già, l’ho ammesso." "E come potrebbe essere dio quello a cui mancano bellezza e bontà?". "Temo che non potrebbe in alcun modo." "Vedi dunque che anche tu pensi che Amore non sia un dio?".

XXIII. "Ma cosa sarebbe allora, esclamai, questo Amore? Un mortale?". "Niente affatto." "Ma allora cos’altro è ? "Come nel caso di prima, qualcosa di mezzo fra mortale e immortale." "Che è dunque, o Diotima?".

"Un demone grande, o Socrate. E difatti ogni essere demonico sta in mezzo fra il dio e il mortale." "E qual è la sua funzione?" domandai. "Di interpretare e di trasmettere agli dei qualunque cosa degli uomini, e agli uomini qualunque cosa degli dei; e di quelli cioè reca le preghiere e i sacrifici , di questi invece i voleri e i premi per i sacrifici. In mezzo fra i due, colma l’intervallo sicché il tutto risulti seco stesso unito. Attraverso di lui passa tutta la mantica, e l’arte sacerdotale concernente i sacrifici, le iniziazioni e gli incantesimi e ogni specie di divinazione e di magia. Gli dei non si mischiano con l’uomo, ma per mezzo di Amore è loro possibile ogni comunione e colloquio con gli uomini, in veglia o in sonno. E chi è dotto di queste arti, è un uomo demonico, ma chi è conoscitore di altre tecniche o mestieri non è che un generico. Ora, questi demoni sono molti e vari: uno di questi è anche Amore." "E suo padre e sua madre, domandai, chi sono?". "E’ cosa un po’ lunga da raccontare, rispose ma a te la dirò. Quando nacque Afrodite gli dei tennero un banchetto, e fra gli altri anche Poro (Espediente) figlio di Metidea (Sagacia). Ora, quando ebbero finito, arrivò Penia (Povertà), siccome era stata gran festa, per mendicare qualcosa; e si teneva vicino alla porta. Poro intanto, ubriaco di nettare (il vino non esisteva ancora), inoltratosi nel giardino di Giove, schiantato dal bere si addormentò. Allora Penia, meditando se, contro le sue miserie, le riuscisse d’avere un figlio da Poro, gli si sdraiò accanto e rimase incinta di Amore. Proprio così Amore divenne compagno e seguace di Afrodite, perché fu concepito il giorno della sua nascita, ed ecco perché di natura è amante del bello, in quanto anche Afrodite è bella. Dunque, come figlio di Poro e di Penia, ad Amore è capitato questo destino: innanzitutto è sempre povero, ed è molto lontano dall’essere delicato e bello, come pensano in molti, ma anzi è duro, squallido, scalzo, peregrino uso a dormire nudo e frusto per terra, sulle soglie delle case e per le strade, le notti all’addiaccio; perché conforme alla natura della madre, ha sempre la miseria in casa. Ma da parte del padre è insidiatore dei belli e dei nobili, coraggioso, audace e risoluto, cacciatore tremendo, sempre a escogitar machiavelli d’ogni tipo e curiosissimo di intendere, ricco di trappole, intento tutta la vita a filosofare, e terribile ciurmatore, stregone e sofista. E sortì una natura né immortale né mortale, ma a volte, se gli va dritta, fiorisce e vive nello stesso giorno, a volte invece muore e poi risuscita, grazie alla natura del padre; ciò che acquista sempre gli scorre via dalle mani, così che Amore non è mai né povero né ricco. Anche fra sapienza e ignoranza si trova a mezza strada, e per questa ragione nessuno degli dei è filosofo, o desidera diventare sapiente (ché lo è già), né chi è già sapiente s’applica alla filosofia. D’altra parte, neppure gli ignoranti si danno a filosofare né aspirano a diventare saggi, ché proprio per questo l’ignoranza è terribile, che chi non è né nobile né saggio crede d’aver tutto a sufficienza; e naturalmente chi non avverte d’essere in difetto non aspira a ciò di cui non crede d’aver bisogno." "Chi sono allora, o Diotima, replicai, quelli che s’applicano alla filosofia, se escludi i sapienti e gli ignoranti?". "Ma lo vedrebbe anche un bambino, rispose, che sono quelli a mezza strada fra i due, e che Amore è uno di questi. Poiché appunto la sapienza lo è delle cose più belle ed Amore è amore del bello, ne consegue necessariamente che Amore è filosofo, e in quanto tale sta in mezzo fra il sapiente e l’ignorante. Anche di questo la causa è nella sua nascita: è di padre sapiente e ingegnoso, ma la madre è incolta e sprovveduta. E questa è proprio, o Socrate, la natura di quel demone. Quanto alla tua rappresentazione di Amore, non c’è da meravigliarsi; perché tu credevi, per quanto posso dedurre dalle tue parole, che Amore fosse l’amato, non l’amante; e per questo, penso, Amore ti appariva bellissimo. E’ in realtà ciò che ispira amore è bello, delicato, perfetto e beato; ma l’amante ha un’altra natura, come t’ho spiegato".

XXIV. Ed io ripresi: "Va bene, o straniera, hai ragione; ma se Amore è così che utilità reca agli uomini?". "Ecco il punto, o Socrate, che proverò ora ad insegnarti. Amore è appunto tale ed è nato così e, come dici tu, è amore del bello. Se ci chiedessero: "In che Amore è amore del bello, o Socrate e Diotima?", cioè più chiaramente: "Chi ama il bello, ama, e che ama?" Risposi: "Che il bello diventi suo". "Però, rispose, la risposta vuole ancora questa domanda: Che succederà a quello che potrà possedere il bello?". A questa domanda risposi che non sapevo, lì per lì, cosa rispondere. "Ma come se uno, sostituendo al bello il buono, domandasse: "Di’ su, Socrate, chi ama il bene, ama, e che ama?"". "Di possederlo" risposi. "E che gli succederà quando gli riuscirà di possedere il bene?" "Qui posso più facilmente rispondere, dissi: diventerà felice." "Sì, le persone felici sono felici perché posseggono il bene; e non occorre più chiedersi a qual fine intenda essere felice chi così desideri, perché la risposta mi par definitiva." "E’ vero" dissi. […]

XXIX. "Chi sia stato educato fin qui nelle questioni d’amore attraverso la contemplazione graduale e giusta delle diverse bellezze, giunto che sia ormai al grado supremo dell’iniziazione amorosa, all’improvviso gli si rivelerà una bellezza meravigliosa per sua natura, quella stessa, o Socrate, in vista della quale ci sono state tutte le fatiche di prima: bellezza eterna, che non nasce e non muore, non s’accresce né diminuisce, che non è bella per un verso e brutta per l’altro, né ora sì e ora no; né bella o brutta secondo certi rapporti; né bella qui e brutta là, né come se fosse bella per alcuni, ma brutta per altri. In più questa bellezza non gli si rivelerà con un volto né con mani, né con altro che appartenga al corpo, e neppure come concetto o scienza, né come risedente in cosa diversa da lei, per esempio in un vivente, o in terra, o in cielo, o in altro, ma come essa è per sé e con sé, eternamente univoca, mentre tutte le altre bellezze partecipano di lei in modo tale che, pur nascendo esse o perendo, quella non s’arricchisce né scema, ma rimane intoccata. Ecco che quando uno partendo dalle realtà di questo mondo e proseguendo in alto attraverso il giusto amore dei fanciulli, comincia a penetrare questa bellezza, non è molto lontano dal toccare il suo fine. Perché questo è proprio il modo giusto di avanzare o di essere da altri guidato nelle questioni d’amore: cominciando dalle bellezze di questo mondo, in vista di quella ultima bellezza salire sempre, come per gradini, da uno a due e da due a tutti i bei corpi e dai bei corpi a tutte le belle occupazioni, e da queste alle belle scienze e dalle scienze giungere infine a quella scienza che è la scienza di questa stessa bellezza, e conoscere all’ultimo gradino ciò che sia questa bellezza in sé.

(Platone, Simposio, 201d-204e, 210e-211d)

Proposta di domande per l’analisi: Come argomenta Diotima per dimostrare che anche Socrate condivide la tesi: Amore "non è neppure un dio"? Quali caratteristiche vengono attribuite ad Amore in quanto "demone", in quanto "seguace di Afrodite", in quanto "amante"? Come giustifica Platone l’affermazione "Amore è filosofo"? Per quale motivo si può sostenere che la teoria dell’amore proposta nel Simposio attenua il dualismo platonico? Come si può spiegare la scelta della forma letteraria del mito per la narrazione della nascita di Amore?

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

Aristotele, Etica Nicomachea: Tre specie di amicizia

Tre dunque sono le specie di amicizie, come tre sono le specie di qualità suscettibili d'amicizia: e a ciascuna di esse corrisponde un ricambio di amicizia non nascosto. E coloro che si amano reciprocamente si vogliono reciprocamente del bene, riguardo a ciò per cui si amano. Quelli dunque che si amano reciprocamente a causa dell'utile non si amano per se stessi, bensì in quanto deriva loro reciprocamente un qualche bene; similmente anche quelli che si amano a causa del piacere. Infatti essi amano le persone facete non perché queste abbiano date qualità, ma perché sono piacevoli. Quindi coloro che amano a causa dell'utile amano per via del bene che proviene a loro, e quelli che amano a causa del piacere amano per via di ciò che di piacevole proviene a loro e non in quanto la persona amata è quella che è, bensì in quanto essa è utile o piacevole. Perciò queste amicizie sono accidentali; infatti colui che è amato non viene amato per via di quello che è, ma in quanto procura chi un bene chi un piacere. Quindi simili amicizie sono facilmente caduche, poiché le persone non restano sempre eguali: se infatti esse non sono più piacevoli o utili, cessano di essere in amicizia. E l'utile non dura, ma cambia a seconda delle circostanze. Svanendo quindi il motivo per cui costoro erano amici, si scioglie anche l'amicizia, giacché l'amicizia era in rapporto a esso. Soprattutto nelle persone anziane sembra sorgere una tale amicizia (infatti gli uomini di tale età non ricercano ciò che è piacevole, ma l'utile) e anche in quelli degli uomini maturi e dei giovani che ricercano l'utile. E costoro non conducono tra loro neppure una vita in comune; infatti talora non sono neppure piacevoli a frequentarsi, per cui gli amici non desiderano neppure una tal compagnia, quando essi non siano utili; infatti essi sono piacevoli solo nella misura in cui offrono la speranza di qualche bene. Tra queste amicizie si collocano pure quelle coi forestieri. L'amicizia dei giovani invece sembra essere a causa del piacere: essi infatti vivono secondo la passione e ricercano soprattutto ciò che è piacevole a loro e nel presente; quando però l'età muta, anche le cose piacevoli divengono diverse. Perciò rapidamente essi divengono amici e rapidamente cessano di esserlo: infatti insieme con ciò che è piacevole, muta anche l'amicizia, e di un siffatto piacere rapido è il mutamento. E i giovani poi sono portati all'amore erotico: infatti la maggior parte di tale amore avviene secondo la passione e a causa del piacere: perciò essi amano e rapidamente smettono, mutando sentimento più volte nello stesso giorno. Ed essi vorrebbero passare tutto il giorno insieme e fare vita in comune: infatti così sorge per essi ciò che è conforme all'amicizia.

L'amicizia perfetta è quella dei buoni e dei simili nella virtù. Costoro infatti si vogliono bene reciprocamente in quanto sono buoni, e sono buoni di per sé; e coloro che vogliono bene agli amici proprio per gli amici stessi sono gli autentici amici (infatti essi sono tali di per se stessi e non accidentalmente); quindi la loro amicizia dura finché essi sono buoni, e la virtù è qualcosa di stabile; e ciascuno è buono sia in senso assoluto sia per l'amico. Infatti i buoni sono sia buoni in senso assoluto, sia utili reciprocamente. E altrettanto sono anche piacevoli; infatti in generale i buoni sono anche reciprocamente piacevoli; infatti a ciascuno sono piacevoli le azioni a lui conformi e quelle simili; e le azioni dei buoni sono appunto eguali o simili. Una tale amicizia logicamente è stabile. Infatti in essa s'incontrano tutte le qualità che sono necessarie agli amici. Infatti ogni amicizia sorge o in vista di un bene, o per il piacere, o assolutamente o in vista della persona amata, e in seguito a una certa somiglianza; in questo tipo di amicizia dunque sono presenti tutte le cose suddette per via degli amici stessi (essendo essi simili in ciò e nel rimanente) e ciò che è assolutamente bene è anche assolutamente piacevole. Queste dunque sono le cose soprattutto suscettibili d'amicizia e l'esser amico e l'amicizia si trovano soprattutto e perfettamente in esse. E’ naturale poi che tali amicizie siano rare: pochi infatti sono gli uomini siffatti. Inoltre per questo si richiede tempo e consuetudine; infatti, secondo il proverbio, non è possibile conoscersi reciprocamente prima di aver consumato insieme il sale, com'esso dice; né si può accogliere un amico né essere amici, prima che ciascuno appaia all'altro suscettibile di amicizia e sia creduto tale. Quelli che poi fanno subito amicizia tra loro vogliono essere amici, ma non lo sono, se non quando siano anche suscettibili di amicizia e non lo sappiano; infatti la volontà di amicizia sorge in fretta, ma non così l'amicizia.

Questa dunque è l'amicizia perfetta sia rispetto alla durata che agli altri elementi e sorge in base a tutte queste qualità identiche o simili tra entrambi, come appunto deve essere tra due amici.

(Etica Nicomachea, Libro VIII, 3)

Proposta di domande per l’analisi: Quali indicazioni vengono fornite nel testo su ciascuno dei tre tipi di amicizia riguardo a: qualità suscettibili di amicizia, tipo di ricambio di amicizia, età della vita, durata dell'amicizia? Con quali argomenti Aristotele sostiene queste due tesi: "rapidamente essi [i giovani] divengono amici e rapidamente cessano di esserlo" e "L'amicizia perfetta è quella dei buoni e dei simili nella virtù"? Condividi le tesi aristoteliche? Motiva la tua risposta.

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

Aristotele, Etica Nicomachea: è lecito sciogliere un’amicizia?

C’è una difficile questione poi riguardo al por termine o no alle amicizie nei confronti di coloro che non rimangono degli stessi sentimenti. Non è forse per nulla strano che vi si ponga termine nei confronti di coloro che sono amici per l’utilità o il piacere, quando non posseggono più questi requisiti. Infatti erano amici per quei requisiti; e, venendo essi meno, è ragionevole che l’affetto venga meno. Qualcuno però potrebbe lamentarsi se chi lo ama per l’utilità o il piacere, simulasse di amarlo per il suo carattere.

Come abbiamo detto in principio, la maggior parte dei dissidi si verifica tra gli amici, quando credono di essere amici non allo stesso modo di come lo sono. Quando dunque qualcuno si è ingannato e ha creduto di essere amato per il suo carattere, mentre quell’altro non ha fatto nulla di simile, potrebbe dar la colpa solo a sé stesso; quando invece sia stato tratto in inganno dalla finzione di quello, è giusto che dia la colpa a colui che lo ha ingannato, ancor più di quanto si dia a chi falsifica monete, in quanto la sua frode ha come oggetto una cosa più preziosa. Se uno accetta un amico come un uomo buono, ma poi egli diventa o anche sembra un malvagio, si deve ancora mostrargli affetto? O non è possibile, poiché non tutto è amabile se non ciò che è buono, né si deve né è giusto amare il malvagio? Infatti non bisogna essere amici dei malvagi né esser simili a chi è cattivo; si è detto che il simile è amico del simile. Si deve dunque por subito fine all’amicizia? O forse non nei confronti di tutti, ma di coloro che sono incurabili nella loro malvagità? A coloro che sono suscettibili di miglioramento, bisogna dare aiuto più moralmente che finanziariamente, in quanto ciò è migliore e più conveniente all’amicizia. Chi ponesse fine a un’amicizia di tal genere, non sembrerebbe far nulla di strano; non era infatti amico di una persona di tal fatta; non potendo dunque recuperare un amico che è mutato, se ne allontana.

(Aristotele, Etica Nícomachea, IX, 3)

Proposta di domande per l’analisi: Sintetizza la risposta aristotelica alla questione: "Se uno accetta un amico come un uomo buono, ma poi egli diventa o anche sembra un malvagio, si deve ancora mostrargli affetto? […] Si deve dunque por subito fine all’amicizia?". Condividi la tesi aristotelica? Motiva la tua risposta.

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

Prima Lettera di San Giovanni Apostolo

Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio. Chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore.

(1 Gv 4,7)

Sant’Agostino, Meditazioni sull’epistola dell’amore di San Giovanni

"Dio - dunque - è amore". In ciò si è rivelato l’amore di Dio per noi, che egli ha mandato il suo Figlio unigenito in questo mondo, affinché per mezzo suo potessimo vivere. Come dice il Signore stesso: "Nessuno può avere un amore più grande di colui che offre la sua vita per i suoi amici"; e in ciò si è dimostrato l’amore di Cristo per noi, per il fatto che è morto per noi. Donde si è dimostrato l’amore del Padre per noi? Dal fatto che ha mandato il suo unico Figlio a morire per noi: cosi anche l’apostolo Paolo dice: "Egli che non ha risparmiato il proprio figlio, ma lo ha offerto per tutti noi, come non ci ha donato insieme con lui tutto?".

(S. Agostino, Meditazioni sull’epistola dell’amore di S. Giovanni. 7, 7)

Ama e fa’ ciò che vuoi: se taci, taci per amore; se gridi, grida per amore; se punisci, punisci per amore; se perdoni, perdona per amore; la radice dell’amore sia all’interno dell’animo, da questa radice può nascere solo il bene. (S. Agostino, Meditazioni sull’epistola dell’amore di S. Giovanni. 8,5)

Proposta di domande per l’analisi: Indica le differenze tra le concezioni di amore come "eros" incontrate affrontando il pensiero dei filosofi greci e la concezione cristiana espressa dall’affermazione: "Dio è amore". Chiarisci il significato dell’imperativo agostiniano "Ama e fa’ ciò che vuoi" nel quadro della concezione cristiana dell’amore?

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

Prima lettera di San Paolo ai Corinzi

Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità niente mi giova. La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tien conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. […] Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!

(1 Cor, 13, 1-4, 13)

Sant’Agostino, De Trinitate

Che cos’è dunque l’amore o carità, che la Scrittura divina tanto loda e celebra, se non l’amore del bene? Ma l’amore è proprio di qualcuno che ama e con l’amore si ama qualcosa. Ecco, sono tre elementi: chi ama, ciò che è amato e l’amore. Che cos’è dunque l’amore, se non una vita che congiunge o tende a congiungere due esseri, cioè chi ama e ciò che è amato? E ciò anche negli amori bassi e carnali.

Ma per attingere a una fonte più pura e più limpida, calpestata la carne, innalziamoci fino all’anima. Che cosa ama l’anima in un amico, se non l’anima? Anche qui dunque vi sono tre elementi: chi ama, ciò che è amato e l’amore. Ci resta ancora di elevarci da qui e cercare queste cose più in alto, per quanto è concesso all’uomo.

(S. Agostino, De Trinitate, VIII, 10)

Nessun dono è più eccellente di questo dono di Dio. Esso è il solo che distingue i figli del regno eterno dai figli della perdizione eterna. Altri doni ci sono concessi per mezzo dello Spirito Santo, ma senza la carità non servono a nulla. A chiunque dunque non venga infuso lo Spirito Santo, così da renderlo amante di Dio e del prossimo, egli non passa dalla parte sinistra alla destra. E lo Spirito non si chiama propriamente dono, se non a causa dell’amore; chi non lo avrà in sé, anche se parlasse le lingue degli uomini o degli angeli, è un bronzo risonante o un cembalo squillante, e se avesse la profezia e conoscesse tutti i misteri e tutta la scienza e avesse una fede di tal genere da smuovere i monti, non è niente; e se distribuisse tutto il suo patrimonio e desse il suo corpo da bruciare, non gli serve a nulla.

Quanto è grande dunque questo bene, senza il quale beni tanto grandi non conducono nessuno alla vita eterna? Invece l’amore o carità, (infatti ambedue i termini si riferiscono a una sola cosa), se lo possiede chi non parla le lingue, non ha la profezia e non conosce tutti i misteri e tutta la scienza e non distribuisce tutto il suo ai poveri, o perché non abbia nulla da distribuire o perché sia impedito da qualche difficoltà e non dà il suo corpo da bruciare, poiché non vi è alcuna occasione di subire un tale martirio, conduce al regno, cosicché solo la carità può render utile la stessa fede. La fede in verità può esistere senza la carità, ma non può anche giovare. […] L’amore dunque che è da Dio e che è Dio, è propriamente lo Spirito Santo, per opera del quale si diffonde nei nostri cuori la carità di Dio e per essa la Trinità tutta si trova in noi.

(S. Agostino, De Trinítate, XV, 18)

Proposta di domande per l’analisi: Nei passi tratti dal De Trinitate trovi analogie con le affermazioni contenute del testo della Prima Lettera di San Paolo ai Corinzi? E, sempre nei passi del De Trinitate, trovi analogie con la concezione platonica dell’amore?

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

 

Ugo di San Vittore, L’essenza dell’amore

Ogni giorno c’intratteniamo a discutere dell’amore. E’ nostro intendimento fare attenzione che esso non s’accenda nei nostri cuori come un fuoco, e da una piccola scintilla si tramuti in una fiamma, senza che ce ne accorgiamo: l’amore può rovinare oppure purificare tutta la nostra vita, perché da esso dipende tutto il nostro bene e tutto il nostro male.

La fonte dell’amore si trova nell’intimo di noi stessi ed è unica; essa alimenta due ruscelli: il primo è l’amore mondano e si chiama cupidigia, il secondo è l’amore divino ed è la carità.

Al centro di tutto sta il cuore umano, dal quale sgorga la sorgente dell’amore: l’amore spinto dall’istinto verso l’esterno si chiama cupidigia, rivolto per desiderio verso l’interno prende il nome di carità.

Vi sono dunque due ruscelli che derivano dalla sorgente dell’amore, la cupidigia e la carità: la cupidigia è l’origine di tutti i mali, la carità è l’origine di tutti i beni. Tutto il nostro bene e tutto il nostro male dipendono dunque dall’amore.

L’amore, per quanto sia misterioso, è certamente qualcosa di grande e da esso dipende tutto ciò che è in noi. Che cosa è l’amore, che cosa può l’amore e da dove viene?

Anche la Sacra Scrittura, ispirata da Dio, parla dell’amore: forse che di esso dovrebbero trattare esclusivamente coloro che hanno l’abitudine di avvilire ogni onesto sentimento? Sono tanti coloro che di proposito ne spiegano i misteri, eppure sono pochi quelli che non arrossiscono a parlarne apertamente in pubblico! E noi quale posizione prenderemo? […] Noi riflettiamo attentamente sull’amore per conoscerlo, e poter quindi evitare eventuali pericoli, mentre altri fanno ricerche per sapere e imparano per mettere in pratica.

Che cos’è dunque quella potenza che si trova in noi e disperde in molti modi i nostri desideri, conducendo il nostro cuore in direzioni opposte? Ciò non è altro che l’amore: un movimento del cuore, uno e unico per natura, ma molteplice nelle sue azioni. Quando si orienta in modo disordinato, cioè verso un oggetto illecito, si dice cupidigia; quando al contrario è ben ordinato, si chiama carità.

Come potremo definire propriamente quel movimento del cuore che chiamiamo amore? […] Dobbiamo compiere un’attenta indagine e riflettere profondamente, poiché l’oggetto della nostra ricerca è piuttosto oscuro, eppure quanto più è collocato nell’intimo di noi stessi, tanto più domina il nostro cuore nell’una e nell’altra direzione. L’amore sembra essere il compiacimento del cuore di una persona verso qualcosa, a causa di qualcosa: si presenta come desiderio nella ricerca, e felicità nella soddisfazione del possesso, appare come una corsa, per quanto concerne il desiderio e come un riposo per quanto si riferisce alla gioia del possesso.

Dall’amore deriva ogni tuo bene ed ogni tuo male, o cuore umano, poiché per nessun’altra ragione sei buono o cattivo, se non per il motivo che ami bene o male ciò che in se stesso è un bene.

Ogni realtà esistente infatti è un bene, ma quando ciò che in se stesso è un bene è amato male, ciò non è un bene e in ciò consiste il male. Pertanto né colui che ama è un male, né ciò che egli ama è male e neppure l’amore, col quale si ama, è un male, ma l’amar male è male e in ciò consiste tutto il male.

Disponete con ordine dell’amore e così non esisterà più il male.

Voglio affidarvi un grande insegnamento, se pur riesco ad esprimere ciò che vorrei dire. Dio onnipotente […] creò la persona umana soltanto per amore, non per alcuna necessità, volendo ammetterla a partecipare della propria beatitudine. Dio pose nell’uomo il sentimento dell’amore allo scopo di renderlo capace di godere un giorno della sua suprema felicità. […]

La persona umana è stata dunque congiunta al suo Creatore per mezzo dell’amore ed è soltanto il legame dell’amore che li unisce insieme: quanto più questo vincolo sarà forte, tanto più sarà causa di felicità.

Per realizzare una comunione totale ed una perfetta concordia, il legame è stato raddoppiato nel vincolo dell’amore di Dio e nel vincolo dell’amore del prossimo: mentre per mezzo dell’amore di Dio tutti si congiungono ad Uno solo, per mezzo dell’amore del prossimo tutti diventano una cosa sola tra loro. In questo modo ogni singola persona, per mezzo dell’amore del prossimo, riesce a possedere negli altri, in modo pieno e perfetto, quanto da sola non riusciva ad accogliere di quel bene infinito al quale tutti singolarmente si congiungono: così nell’amore il bene di tutti è totalmente posseduto da ognuno.

Disponete con ordine dell’amore. Che cosa significano queste parole?

Quando l’amore è desiderio, deve dirigersi bene; quando è gioia, deve trovare bene il suo riposo. Come ho già detto, l’amore è il compiacimento del cuore di una persona verso qualcosa, a causa di qualcosa: è desiderio nella ricerca ed è riposo nel conseguimento della felicità; è simile ad una corsa per quanto concerne il movimento del desiderio, ed è simile ad un riposo per la gioia del possesso; corre verso il suo bene e si riposa in lui.

Ascoltatemi, forse riuscirò ad esprimere bene il mio pensiero: in che direzione dovrà correre il nostro amore, dove potrà trovare la sua pace?

Vi sono tre realtà che possono essere amate bene o male: Dio, le persone umane e le cose del mondo. Dio è sopra di noi, le persone sono accanto a noi, le cose del mondo sono sotto di noi.

Disponete con ordine dell’amore. Se esso è proteso nella corsa, ovvero se si riposa, tutto avvenga ordinatamente.

Il desiderio è appunto simile ad una corsa, il gaudio ad un pacifico riposo, e per questo motivo, mentre la gioia del possesso permane uguale e costante, poiché si trova stabilmente nel bene conseguito e non può subire variazioni per qualsiasi vicissitudine, il desiderio è sottoposto alla mutabilità propria del movimento, poiché non resta appagato da qualche bene particolare e ricerca sempre qualcosa di diverso.

In ogni corsa si possono osservare un punto di partenza, un tragitto ed un traguardo. In che modo dovrà correre il nostro desiderio? Considerando le tre realtà esistenti: Dio, il prossimo ed il mondo, siano dati a Dio tutti e tre i momenti della corsa, al prossimo due, al mondo uno: il nostro amore sarà disposto allora con ordine per quanto concerne il desiderio.

L’amore può svilupparsi con ordine per quanto attiene al movimento del desiderio, quando pone in Dio il suo punto di partenza, il tragitto e la meta della sua corsa: l’amore è suscitato da Dio quando riceve da Lui le ragioni per le quali Lo ama, percorre il tragitto insieme con Lui, quando non si oppone mai alla sua volontà, tende verso Dio come a propria meta, quando anela a trovare in Lui la sua pace. Tutti i tre momenti della corsa appartengono a Dio.

Due momenti spettano al prossimo: il punto di partenza ed il tragitto, ma non il traguardo. Le persone possono costituire il punto di partenza del nostro desiderio d’amore, quando suscitano in noi il piacere del loro bene e della loro perfezione; possono accompagnarci lungo il tragitto, quando desideriamo di percorrere insieme con loro la via di Dio e di raggiungere insieme con loro il traguardo, ma esse non devono costituire la nostra meta finale, perché non è possibile riporre nell’uomo la nostra suprema speranza e fiducia. Due momenti della corsa si possono quindi riferire alle persone umane: il punto di partenza ed il tragitto, non il traguardo.

Tra i momenti che caratterizzano la corsa, uno solo è pertinente al mondo: il punto di partenza, ma non il tragitto, né il traguardo. Il nostro desiderio può essere suscitato dalle cose del mondo, quando ci rivolgiamo con maggior slancio verso Dio, nell’ammirazione e nella lode, dopo aver osservato le opere della sua creazione. Il nostro desiderio correrebbe con le cose del mondo, se si rendesse simile al mondo nelle oscillazioni dei suoi continui cambiamenti, deprimendosi nelle vicende avverse ed esaltandosi nelle vicende fortunate. Il nostro desiderio si rivolgerebbe alle cose del mondo, come alla propria meta finale, se si proponesse di trovare la sua piena soddisfazione e la sua pace nei piaceri e nei godimenti del mondo.

Disponete con ordine dell’amore: il vostro desiderio nella sua corsa proceda da Dio, con Dio e verso Dio; dal prossimo, con il prossimo, ma non verso il prossimo; dal mondo, ma non col mondo e non verso il mondo, e trovi il suo riposo nella gioia di Dio. Questa è la carità bene ordinata: tutto ciò che è privo di questo ordine è disordinata passione.

(Ugo di San Vittore, De substantia dilectionis)

Proposta di domande per l’analisi: Qual è la fonte dell’amore? Che cosa differenzia "cupidigia" e "carità"? Chiarisci la definizione di amore come "movimento del cuore"? Come vengono posti in relazione il singolo uomo, il suo prossimo e Dio, grazie all’amore? Come utilizza Ugo di San Vittore la similitudine della corsa per illustrare la sua concezione dell’amore? L’insegnamento di Ugo di San Vittore: "Disponete con ordine dell’amore" corrisponde all’indicazione agostiniana: "Ama e fa’ ciò che vuoi"?

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae

SE DIO AMI TUTTE LE COSE

SEMBRA che Dio non ami tutte le cose.

1. Infatti secondo Dionigi, l’amore colloca l’amante fuori di sé e lo trasferisce, in un certo modo, in ciò che è amato (De Div. Nom. 4). Ma è incongruente dire che Dio, posto fuori di sé, sia trasferito in altri oggetti. Dunque è incongruente dire che Dio ami ciò che è altro da lui.

2. Inoltre l’amore di Dio è eterno. Ma ciò che è altro da Dio, non esiste dall’eternità se non in Dio. Dio dunque non lo ama se non in sé stesso. Ma per il fatto che è in lui, non è altro da lui. Dunque Dio non ama ciò che è altro da lui stesso.

3. Ancora, l’amore è di due forme, cioè di concupiscenza e di amicizia. Ma Dio non ama le creature irragionevoli di amore di concupiscenza, poiché di nulla ha bisogno al di fuori di sé; e nemmeno di amore di amicizia, poiché esso non può aversi nei confronti delle creature irragionevoli, come è chiaro attraverso Aristotele (Etica, 8). Dio dunque non ama tutte le cose.

4. Inoltre nei Salmi si afferma: "Odii tutti coloro che commettono iniquità" (Sal 5,7). Nessuno però contemporaneamente è tenuto in odio ed è amato. Dunque Dio non ama tutti gli esseri.

IN CONTRARIO è ciò che si afferma nella Scrittura: "Ami tutto ciò che esiste e nulla odii di ciò che hai creato" (Sap 11,25).

RISPONDO che bisogna affermare che Dio ama tutto ciò che esiste. Infatti tutto ciò che esiste, in quanto esiste, è buono: infatti l’essere di qualsiasi cosa è un bene e ugualmente ogni sua perfezione. D’altra parte sopra si è dimostrato che la volontà di Dio è causa di tutte le cose; e così bisogna che ciascuna abbia tanto di essere o di qualsiasi bene, quanto è voluto da Dio. Pertanto a qualsiasi essere esistente Dio vuole qualche bene. Onde, poiché amore non è altro che voler bene a qualcuno, è chiaro che Dio ama tutto ciò che esiste. Non tuttavia come noi. Poiché infatti la nostra volontà non è causa della bontà delle cose, ma è mossa da essa come dal proprio oggetto, il nostro amore, col quale vogliamo bene a qualcuno, non è causa della bontà di lui, ma anzi la sua bontà, o vera o ritenuta tale, provoca l’amore, col quale vogliamo che gli sia conservato il bene che ha e che gli sia dato in aggiunta quello che non ha: e a ciò attendiamo. Ma l’amore di Dio infonde e crea la bontà nelle cose.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTA’. 1. Alla prima obiezione dunque si deve rispondere che chi ama esce fuori di sé trasferendosi in quel che ama, nel senso che vuol bene a quel che ama e si occupa di procurarlo a lui come a sé stesso. Perciò anche Dionigi afferma: "Si deve avere poi il coraggio di dire, e ciò per la verità, che Dio stesso, causa di tutte le cose, per la sovrabbondanza della sua bontà amante, si trasferisce fuori di sé verso tutti gli esseri con la sua provvidenza".

2. Alla seconda obiezione si deve rispondere che, sebbene le creature non siano esistite dall’eternità se non in Dio, tuttavia proprio perché esistettero in Dio dall’eternità, dall’eternità Dio conobbe le cose nella loro essenza: e per lo stesso motivo le ha amate. Come anche noi, attraverso le immagini rassomiglianti delle cose che sono in noi, conosciamo le cose come esistono in sé stesse.

3. Alla terza obiezione si deve rispondere che l’amicizia non si può avere se non verso creature ragionevoli, in cui vi può essere ricambio dell’amore e comunanza nelle attività della vita e alle quali può toccare un risultato buono o cattivo, secondo la sventura e la fortuna: come fra loro esiste propriamente la benevolenza. Invece le creature irragionevoli non possono giungere ad amare Dio né alla partecipazione alla vita intellettuale e beata che Dio vive. Così dunque Dio, parlando propriamente, non ama le creature irragionevoli di amore di amicizia, ma di un amore quasi di concupiscenza, in quanto le sottomette alle creature ragionevoli, ed anche a sé stesso; non come se ne avesse bisogno, ma per la sua bontà e la nostra utilità. Possiamo infatti aver concupiscenza di qualcosa per noi stessi e per gli altri.

4. Alla quarta obiezione si deve rispondere che nulla vieta che una medesima cosa sia amata sotto un certo riguardo e sia tenuta in odio sotto un altro. Dio poi ama i peccatori, in quanto sono creature: sotto questo riguardo infatti esistono e da lui derivano l’esistenza. Ma in quanto sono peccatori, non sono, ma subiscono una mancanza dell’essere: e ciò non proviene in loro da Dio. Dunque sotto questo riguardo son tenuti in odio da lui.

(San Tommaso, Summa theologica, I, q. 20 - art. 2)

Proposta di domande per l’analisi: Quale questione affronta San Tommaso e quale tesi sostiene? Sintetizza ciascuno dei quattro argomenti contrari alla tesi di San Tommaso e le risposte proposte nella "soluzione delle difficoltà".

Indietro