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Indice dei testi
Anassimandro: l’espiazione dell’ingiustizia
Eraclito: l’unità dei contrari
Protagora (da Platone): l’uomo misura delle cose
Protagora (da Platone): il bene è un concetto relativo
Socrate (da Platone): involontarietà del male
Platone: nessuno è malvagio di sua volontà
Platone: Dio non è causa del male
Epicuro: il male non deriva dalla divinità
STOICI: da Filone Alessandrino: il male è necessario al bene del cosmo
STOICI: da Ippolito: non si può non seguire il destino
STOICI: Marco Aurelio: l’integrità del cosmo
Plotino: la necessità del male
Agostino: il male come peccato
Anassimandro: l’espiazione dell’ingiustizia
"E donde viene agli esseri la nascita, là avviene anche la loro dissoluzione secondo necessità; poiché si pagano l’un l’altro la pena e l’espiazione dell’ingiustizia, secondo l’ordine del tempo".
Proposta di domande per l’analisi:
Quale può essere l’ingiustizia per la quale gli esseri devono scontare la pena? Qual è la pena a cui sono soggetti gli esseri secondo Anassimandro? La dissoluzione a cui sono soggetti tutti gli esseri è un esito inevitabile? E’ possibile identificare il male con la pena di cui parla Anassimandro?°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Eraclito: l’unità dei contrari
(fr. 102) "Per il dio tutto è bello, buono e giusto, gli uomini invece ritengon giusta una cosa, ingiusta l’altra"
(fr.58) "E il bene e il male sono una cosa sola […]"
(fr.50) "Non ascoltando me, ma il logos è saggio riconoscere che tutto è uno"
(fr.80) "Bisogna però sapere che la guerra è comune, che la giustizia è contesa e che tutto accade secondo contesa e necessità"
Proposta di domande per l’analisi:
Cosa può significare che bene e male sono una sola cosa? Quali caratteristiche possiamo attribuire al logos eracliteo? Quali differenze riscontri tra la lotta dei contrari in Eraclito e in Anassimandro?°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Protagora (da Platone): l’uomo misura delle cose
Io, per me, sostengo che la verità sta come io ho scritto: esser cioè ciascuno di noi misura delle cose che sono e non sono; certo che poi ci corre un abisso tra l’un individuo e l’altro, per la ragione appunto che, per uno, sono ed appariscono certe date cose, per un altro altre. E che esistano la sapienza e l’uomo sapiente, son ben lungi dal negarlo; che anzi, colui appunto chiamo sapiente, il quale ad uno di noi, a cui le cose appariscano ed esistano come cattive, riesca, invertendone il senso, a farle apparire ed esistere come buone. Per l’ammalato il cibo appare, ed è, amaro, e per il sano il contrario. Ora, nessuno dei due è da ritenersi più sapiente perché opina in tal modo, e che il sano sia sapiente, perché opina in modo diverso; ma sì invece è da scambiare il primo stato col secondo; perché il secondo è migliore.
(Platone, Teeteto, 166 d)
Proposta di domande per l’analisi:
Che significato dobbiamo attribuire al fatto che il termine "apparire" compare più volte nel testo? Qual è il ruolo del sapiente secondo Protagora? Questa concezione del male è compatibile con l’esistenza del male in senso metafisico?°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Protagora (da Platone): il bene è un concetto relativo
…Io [Protagora] conosco molte cose che sono nocive agli uomini, come cibi, bevande, farmaci e mille altre; altri invece sono utili; altre poi che per gli uomini non sono né utili né dannose, mentre lo sono per i cavalli; altre invece, sono utili solo ai buoi, altre ai cani; altre che non sono utili né a questi né a quelli, ma agli alberi e ciò che è buono per le radici dell’albero è dannoso per i germogli, come per esempio lo sterco, che se dato alle radici fa bene a tutte le piante, mentre se tu lo volessi buttare sui virgulti e sui ramoscelli giovani, tutti li distruggerebbe; e così anche l’olio è dannosissimo a tutte le piante ed esiziale ai peli di tutti gli animali fuorché a quelli dell’uomo; ai peli dell’uomo, invece, è giovevole, e giovevole a tutto il corpo umano. In effetti il bene è qualcosa di così svariato e multiforme che a volte la stessa cosa, questo stesso olio, è utile all’uomo per le parti esterne del corpo, dannosissimo per quelle interne; e appunto per questo tutti i medici proibiscono agli ammalati di far uso d’olio, se non in piccolissima dose in ciò che debbono mangiare, e solo quanto basta a spengere la sgradevole impressione nei cibi e nelle vivande è causata dalle sensazioni olfattive.
(Platone, Protagora, 334 a-c)
Proposta di domande per l’analisi:
Ti sembra che Protagora identifichi il bene con l’utile e il male con ciò che è dannoso? Quali conseguenze comporta questa identificazione?°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Socrate (da Platone): involontarietà del male
— Ma dimmi ancora, Meleto, per Zeus, è meglio vivere tra cittadini buoni o cattivi? Rispondi, amico, non ti chiedo nulla di difficile. I cattivi non fanno del male e i buoni del bene ai loro vicini?
— Certo.
— E c’è qualcuno che preferisca ricevere danno piuttosto che utilità da quelli che gli vivono insieme? Rispondi, buon uomo: anche la legge impone di. rispondere. C’è qualcuno che preferisca ricevere danno?
— No certo.
— E mi trascini qui perché corrompo i giovani e li rendo peggiori volontariamente o involontariamente?
— Volontariamente.
— Come mai, allora, Meleto, tu, così giovane, sei tanto più sapiente di me, così vecchio, da sapere che a quelli più vicini a loro i cattivi fanno sempre del male e i buoni del bene, mentre io sono arrivato a un tal punto di ignoranza da non sapere neppure che, se renderò malvagio qualcuno di quelli che mi vivono insieme; rischierò di riceverne del male, e da procurarmi volontariamente questo male così grande, come tu dici? Di questo, Meleto, non sono convinto e non lo è nessun altro, credo.
O non li corrompo o, se li corrompo, lo faccio involontariamente, sicché in un caso e nell’altro dici il falso. E se li corrompo involontariamente, la legge per colpe simili non prescrive di trascinare qui, ma di prendere in privato il colpevole, istruirlo e ammonirlo: è chiaro che, se avrò imparato, smetterò di fare ciò che faccio involontariamente. Tu invece hai evitato e rifiutato di stare con me e di istruirmi, anzi mi trascini qui, dove la legge prescrive di condurre quelli che hanno bisogno di punizione, non di ammaestramento.
(Platone, Apologia di Socrate, XIII)
Proposta di domande per l’analisi:
Per quali motivi Socrate esclude di aver corrotto i giovani volontariamente? Il male commesso involontariamente può essere una colpa che giustifica una condanna penale?
Simonide non era così ignorante da dire di lodare quelli che non fanno volontariamente alcun male, come se vi fossero persone che commettono volontariamente il male. Nessun saggio, credo, ritiene che un uomo possa sbagliare volontariamente e commettere volontariamente azioni riprovevoli e cattive: tutti i saggi sanno bene che quanti compiono azioni brutte e cattive, le compiono involontariamente.
(Platone, Protagora, 345 d-e)
Proposta di domande per l’analisi:
Qual è la tesi sostenuta da Socrate? Vengono portate delle prove a sostegno di questa tesi?
"Bene; ma dal momento che ci è apparso che la salvezza della nostra vita consiste nella scelta corretta del piacere e del dolore, ponderando il più e il meno, il maggiore e il minore, il più lontano e il più vicino, non risulta chiaro che essa, in quanto è un’indagine sull’eccesso, sul difetto e sull’uguaglianza reciproca, non può non essere in primo luogo una specie di misurazione? "
"Necessariamente".
"E se è una misurazione, è necessariamente una tecnica e una scienza "
"Diranno di si".
"Quale tecnica e quale scienza essa sia, lo indagheremo in seguito; ma che essa sia scienza, è sufficiente per la dimostrazione che io e Protagora dobbiamo fare a proposito di quanto ci avete e chiesto. Quando abbiamo ammesso che nulla è superiore alla scienza e che essa, dovunque sia presente, domina sempre il piacere e ogni altra cosa, voi ci avete risposto, se ricordate, che il piacere domina spesso anche l’uomo che sa; e poiché noi non siamo stati d’accordo con voi, ci avete ancora domandato: ‘Protagora e Socrate, se questa affezione non è l’essere vinti dal piacere, che cosa è mai? Che cosa dite che sia? Rispondeteci’. Se noi allora vi avessimo subito risposto che è ignoranza, ci avreste derisi; ma provatevi ora a ridere di noi e riderete di voi stessi: siete voi, infatti, che avete ammesso che sbagliano per mancanza di scienza quelli che sbagliano nella scelta dei piaceri e dei dolori, cioè dei beni e dei mali, e non solo per mancanza di scienza, ma in particolare di quella che, per vostra ammissione, è scienza di misurazione. Anche voi sapete che la condotta errata per mancanza di scienza è dovuta ad ignoranza. Sicché l’essere vinto dal piacere è la massima ignoranza: e Protagora qui presente, come Prodico e Ippia, dicono di esserne medici. Ma voi credete che esso sia qualcosa di diverso dall’ignoranza e per questo non andate voi stessi né mandate i vostri figli dai maestri di queste cose, da questi sofisti, convinti che non sia cosa insegnabile. State invece attaccati al vostro denaro e non lo date a costoro, ma non ne ottenete certo buoni risultati negli affari pubblici e privati ".
Così noi avremmo risposto alla massa. Con Protagora io vi chiedo, Ippia e Prodico —- perché la discussione deve essere comune — se vi pare che io dica la verità o mi inganni ".
Pareva a tutti che quanto si era detto fosse straordinariamente vero.
" Ammettete dunque, ripresi, che il piacere è bene e il dolore male. Chiedo a Prodico di lasciar perdere la distinzione dei nomi. Qualunque sia la parola che tu usi, piacevole o dilettevole o godibile, o qualunque altra parola simile tu ti compiaccia di usare, rispondi, carissimo Prodico, a ciò che desidero ".
Ridendo Prodico si disse d’accordo e così gli altri.
" E che dite di quanto segue?, chiesi. Tutte le azioni che tendono a farci vivere piacevolmente e senza dolori, non sono belle? E la bella opera non è anche buona e utile? "
Lo riconobbero.
" Se dunque, conclusi, il piacere è bene, nessuno che sappia o creda che altre cose siano migliori di quelle che fa e che sia possibile farle, continua a fare ciò che fa, pur potendo fare cose migliori. L’essere vinto da se stesso non è altro che ignoranza e l’essere padrone di sé non è altro che sapienza ".
Tutti lo riconobbero.
"Chiamate ignoranza l’avere una falsa opinione e ingannarsi sulle cose di grande valore? "
Ammisero tutti anche questo.
"E non è vero, continuai, che nessuno di propria volontà si dirige verso il male o verso ciò che considera male e che, a quanto pare, non è nella natura dell’uomo il volersi dirigere a ciò che si considera male invece che al bene? Non è vero che, quando si è costretti a scegliere tra due mali, nessuno sceglie il maggiore, se può scegliere il minore?
Tutti approvammo queste cose.
(Platone, Protagora, 357-358)
Proposta di domande per l’analisi:
Con che cosa Socrate identifica il bene in questo brano? Perché secondo Socrate nessuno si dirige verso il male volontariamente? Ti sembra che il male di cui parla Socrate sia relativo all’individuo, alla collettività, o ad una realtà metafisica
" Avevamo ammesso, dissi, che se avessimo molti beni, saremmo felici e staremmo bene ".
Assentì.
" Ma saremmo felici a causa dei beni presenti, se non ci fossero affatto utili o se ci fossero utili? "
" Se ci fossero utili ", rispose.
" E ci sarebbero utili, se li possedessimo soltanto, ma non li usassimo? Per esempio, se avessimo molti cibi, ma non li mangiassimo, o bevande, ma non le bevessimo, ci sarebbe possibile ritrarne utilità ? "
" No certo ", rispose.
"E tutti gli artigiani, se avessero pronte tutte le cose appropriate al loro lavoro, ma non le usassero, starebbero forse bene a causa di tale possesso, in quanto avrebbero tutto ciò che l’artigiano deve avere? Per esempio, un falegname, se si fosse preparati tutti gli strumenti e legnami sufficienti, ma non li lavorasse potrebbe ritrarre utilità da tale possesso? "
"In nessun modo ", rispose.
"E chi possedesse ricchezza e tutti i beni che dicevamo poco fa, ma non li usasse, sarebbe felice per il possesso di questi beni?"
"No certo, Socrate ".
"A quanto sembra, dunque, dissi, bisogna che chi vuoi esser felice non solo possegga tali beni, ma ne faccia anche uso; altrimenti da tale possesso non proviene alcuna utilità ".
"È vero ".
" Allora, Clinia, per rendere felice un uomo è sufficiente possedere i beni e farne uso? "
" Mi pare ".
" Se li si usa rettamente o no? ", chiesi.
" Se rettamente ".
" Dici bene, risposi. Se si usa una cosa qualsiasi non rettamente è peggio, credo, che se si omette di usarla: il primo caso
è un male, mentre l’altro non è né male né bene, O non diciamo così? "
Ne convenne.
"E nella lavorazione e nell’uso del legname, ciò che rende corretto l’uso non è forse la scienza del falegname? "
" Certo ", rispose.
"E anche nella lavorazione delle suppellettili, ciò che la rende corretta è la scienza ".
Assentì.
"Allora, dissi, anche per l’uso dei beni che dicevamo prima, ricchezza, sanità e bellezza, l’uso corretto di tutti è una scienza che dirige e rettifica l’azione o qualcos’altro? "
"È una scienza ", rispose.
"A quanto sembra, dunque, la scienza procura agli uomini, in ogni possesso e azione, non solo il successo, ma anche la buona esecuzione ".
Lo ammise.
"Ma, per Zeus, dissi, si ha forse qualche utilità dal possesso di altre cose senza intelligenza e sapienza? Guadagnerebbe un uomo a possedere molte cose e a farne molte senza avere intelletto o piuttosto a possederne e farne poche, ma con intelletto? Esamina così: agendo meno non si sbaglia meno e sbagliando meno non si sta meno male, e, stando meno male, non si è meno infelice? ".
"Certo ", rispose.
"Si può agire meno, da povero o da ricco? "
" Da povero ", rispose.
"Da debole o da forte? "
" Da debole ".
" Con i diritti civili o senza? "
" Senza diritti civili ".
" Si può agire meno, da coraggioso e saggio o da vile? "
" Da vile ".
"Allora anche da pigro piuttosto che da operoso? "
Ne convenne.
"E da lento piuttosto che da veloce e con la vista e l’udito deboli piuttosto che acuti? "
Su tutto ciò giungemmo ad un accordo reciproco.
"Riassumendo, Clinia, dissi, è probabile che di tutte quelle cose che prima dicevamo beni non si debba parlare come se per natura fossero beni in sé e per sé, ma, a quanto sembra, la cosa sta così: se le guida l’ignoranza, sono mali superiori ai loro contrari, quanto più possono render servizi alla loro cattiva guida; se, invece, le guida l’intelligenza e la sapienza, sono beni superiori, ma in sé e per sé nessuna di esse vale qualcosa ".
" Sembra che sia così come dici, a quanto pare ", rispose. " Che cosa consegue, allora, da quanto si è detto? Non consegue forse che nessuna delle altre cose è buona o cattiva, mentre di queste due la sapienza è un bene e l’ignoranza un male? "
Fu d’accordo.
" Esaminiamo ancora il resto, dissi. Poiché tutti desideriamo essere felici, ma è apparso che diventiamo tali per l’uso
delle cose e per l’uso corretto e che la scienza è ciò che ci procura la correttezza e il successo, bisogna, a quanto sembra, che in tutti i modi ogni uomo cerchi di essere il più sapiente possibile; o no? "
" Sì", rispose.
"E se si crede che bisogna ereditare proprio questo dal proprio padre, molto più delle ricchezze, e che a tutori ed amici, agli altri e a quelli che si dicono nostri innamorati, stranieri e concittadini, bisogna chiedere e supplicare che ci partecipino la loro sapienza, non è affatto vergognoso, Clinia, né riprovevole, a tale scopo, obbedire e servire l’innamorato e ogni uomo, disposti a prestare qualunque servizio rispettabile, per desiderio di diventare sapiente. O non ti sembra così? ", dissi.
"Certo, mi pare che tu dica bene ", rispose.
"A patto che la sapienza sia insegnabile, Clinia, e non sopraggiunga agli uomini spontaneamente; perché questo punto non l’avevamo ancora esaminato e su esso non eravamo ancora giunti ad un accordo tu ed io ".
"Ma, Socrate, disse, a me pare che sia insegnabile ".
Ed io lieto risposi: " Dici proprio bene, ottimo tra gli uomini, ed hai fatto bene a liberarmi da una lunga ricerca su questo punto, se cioè la sapienza sia insegnabile o no. Ora, poiché a te pare che sia insegnabile e sia l’unica cosa che rende l’uomo felice e fortunato, che altro puoi dire se non che è necessario filosofare? E non hai in mente anche tu di farlo? "
" Certo, Socrate, rispose, quanto più è possibile ".
(Platone, Eutidemo, 280 b – 282 d)
Proposta di domande per l’analisi:
Perché il semplice possesso dei beni non è sufficiente per essere felici? Perché l’uso scorretto dei beni che si possiedono è peggiore del non uso o della mancanza di possesso? Qual è dunque la conclusione circa il valore dei beni come ricchezza, bellezza, ecc…? Perché solo la sapienza è bene e l’ignoranza male? Qual è il nesso tra sapienza è felicità? Che ruolo assume quindi la filosofia?°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Platone: nessuno è malvagio di sua volontà
E quasi tutto quello che si chiama intemperanza nei piaceri e sì vitupera, come se gli uomini fossero malvagi volontariamente, non si vitupera a ragione. Perché malvagio nessuno è di sua volontà, ma il malvagio diviene malvagio per qualche prava disposizione del corpo e per un allevamento senza educazione, e queste cose sono odiose a ciascuno e gli capitano contro sua voglia’". E d’altra parte anche quanto ai dolori, l’anima riceve similmente molta afflizione per causa del corpo.
(Platone, Timeo, 86 d-e)
Proposta di domande per l’analisi:
Quali sono le cause della malvagità negli uomini? Ti sembra quindi che si possa fare qualcosa per evitare il male? Che cosa? Questo modo di presentare l’involontarietà del male ti sembra compatibile con quanto espresso da Socrate?°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Platone: Dio non è causa del male
— …quali sono questi modelli che si devono seguire quando si narra degli dei?
— Su per giù, questi: bisogna sempre rappresentare la divinità quale essa è, sia nell’epica sia nella lirica sia nella tragedia.
— Sì, bisogna.
— Ora, Dio non è forse realmente buono e, allora, non va rappresentato cosi?
— Senz’altro.
— Ma nulla di ciò che è buono è dannoso, no?
— Anche a me non pare.
— E ciò che non è dannoso, può recare danno?
— Assolutamente.
— E ciò che non fa danno, può far del male?
— Nemmeno.
— E ciò che non fa del male può essere causa di un male?
— E come?
— Ancora: ciò che è buono è vantaggioso?
— Si.
— Dunque causa di bene?
— Si.
— Dunque ciò che è buono non è la causa di tutto ma solo la causa delle cose buone e mai delle cattive.
— Indubbiamente — ammise.
— Dunque, se Dio è buono, non è la causa di tutto, come sono in molti a dire, ma causa di poche cose nei riguardi degli uomini, e non di molte, perché i beni, per noi, sono molto meno numerosi dei mali; per i beni non v’è altra causa che Dio, ma per i mali la causa bisogna cercarla altrove ma non nella divinità.
— A me pare che tu dica benissimo.
(Platone, Repubblica, 379 a-c)
Proposta di domande per l’analisi:
Che tipo di argomentazione viene utilizzato da Platone? Il male è intrinseco o estrinseco alla divinità?
Diciamo dunque per qual cagione l’artefice fece la generazione e quest’universo. Egli era buono, e in uno buono nessuna invidia nasce mai per nessuna cosa. Immune dunque da questa, volle che tutte le cose divenissero simili a lui quanto potevano. Se alcuno accetta questa dagli uomini prudenti come la principale cagione della generazione e dell’universo, l’accetta molto rettamente. Perché dio volendo che tutte le cose fossero buone e, per quant’era possibile, nessuna cattiva, prese dunque quanto c’era di visibile che non stava quieto, ma si agitava sregolatamente e disordinatamente, e lo ridusse dal disordine all’ordine, giudicando questo del tutto migliore di quello. Ora né fu mai, né è lecito all’ottimo di far altro se non la cosa più bella.
(Platone, Timeo, 29 d – 30 b)
Proposta di domande per l’analisi:
Perché il male non può aver origine dalla divinità? Qual è la causa del male? Perché si può dire che la divinità ha comunque operato il massimo bene?°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Abituati a pensare che la morte non è nulla per noi’, perché ogni bene e ogni male risiede nella facoltà di sentire, di cui la morte è appunto privazione. Perciò la retta conoscenza che la morte non è niente per noi rende gioiosa la stessa condizione mortale della nostra vita, non prolungando indefinitivamente il tempo, ma sopprimendo il desiderio dell’immortalità. Nulla c’è di temibile nel vivere per chi si sia veracemente convinto che nulla di temibile c’è nel non vivere più. E cosi anche stolto è chi afferma di temere la morte non perché gli arrecherà dolore sopravvenendo, ma perché arreca dolore il fatto di sapere che verrà: ciò che non fa soffrire quando sopravviene, è vano che ci addolori nell’attesa. Il più terribile dei mali dunque, la morte, non è niente per noi, dal momento che, quando noi ci siamo, la morte non c’è, e quando essa sopravviene noi non siamo più. Essa non ha alcun significato né per i viventi né per i morti, perché per gli unì non è niente, e, quanto agli altri, essi non sono più.
(Epicuro, Epistola a Meneceo, 124-125)
Proposta di domande per l’analisi:
Con che cosa viene identificato il male? Qual è lo scopo conclusivo del ragionamento? Che tipo di argomentazione viene utilizzato da Epicuro?
Avendo (Epicuro) detto non solo che il dolore è il male supremo, ma anche che è il solo male.
(Cicerone, Tusc. disp., V, 9, 26)
Una malattia porta grandi tormenti; ma gli intervalli li rendono tollerabili. Infatti l’intensità del dolore più grande ha un limite. Nessuno può soffrire intensamente e a lungo; così la natura, che molto ci ama, ha disposto, rendendo il dolore o sopportabile o breve.
(Seneca, Epist. ad Luc., 78, 7)
Il dolore insopportabile conduce a morte; il dolore prolungato è sopportabile.
(Marco Aurelio, VII, 33)
…tra i dolori quelli più intensi non possono durare a lungo: infatti o, sopprimendo rapidamente la vita, si sopprimono anch’essi, oppure addolciscono col tempo la loro intensità.
(Diogene di Enoanda, fr. 55 Grilli)
Epicuro: il male non deriva dalla divinità
(Epicuro), ammettendo che la divinità è eterna e immortale, afferma anche che non provvede a niente, e in generale che non esiste alcuna provvidenza né alcun destino, ma che tutto avviene per pura spontaneità naturale. La divinità risiede in quelli ch’egli chiama intermundi; pose infatti l’abitazione degli dei in luoghi fuori del mondo chiamati appunto intermundi. Essa è felice e sta in pace nella più alta beatitudine; non ha essa stessa fastidi, non ne arreca ad altri.
(Ippolito, Refutat., 22, 3, p. 572, 5 Diels)
"la divinità" dice questi [Epicuro] "o vuole abolire il male e non può; o può e non vuole; o non vuole né può; o vuole e può. Se vuole e non può, bisogna ammettere che sia impotente, il che è in contrasto con la nozione di divinità; se può e non vuole, che sia malvagia, il che è ugualmente estraneo all’essenza divina;, se non vuole e non può, che sia insieme impotente e malvagia; se poi vuole e può, sola cosa conveniente alla sua essenza, donde provengono i mali e perché non li abolisce?"
(Lattanzio, De ira Dei, 13, 19)
Proposta di domande per l’analisi:
Perché secondo Epicuro il male non deriva dalla divinità? Che tipo di argomentazione viene utilizzato nel secondo brano? Quali conseguenze comporta questa concezione per la vita dell’uomo?°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
STOICI: da Filone Alessandrino: il male è necessario al bene del cosmo
Così come un medico, di fronte a malattie gravi e pericolose, può anche esser costretto ad asportare un membro del corpo, ma lo fa avendo di mira la salute delle rimanenti parti del corpo; e come un nocchiero, quando sopravvenga la tempesta, getta via il sovraccarico della nave, ma lo fa per la salvezza dei naviganti; e come non consegue biasimo né al medico per la privazione del corpo di quel membro, né al nocchiero per quello scarico; anzi all’uno e all’altro ne consegue lode, perché hanno saputo vedere l’utile e sceglierlo anche contro il piacevole; allo stesso modo bisogna ammirare anche la natura del tutto e compiacersi per il fatto che gli accadimenti naturali sono privi di cattiveria volontaria, chiedendosi se, quando avvenga in natura qualcosa che sembri andare contro il piacevole, ciò non sia perché il cosmo è retto e governato alla maniera di una città retta da buone leggi.
(Filone Alessandrino, Dei premi e dei castighi, 33-35)
Proposta di domande per l’analisi:
Perché il male è necessario al bene? Quali paragoni vengono fatti nel brano? Ti sembra che l’uomo sia sempre in grado di rilevare la necessità del male?
STOICI: da Ippolito: non si può non seguire il destino
Essi (Zenone e Crisippo) sostenevano la teoria secondo cui tutto avviene per fato con questo paragone: quando a un carro si attacchi un cane, se segue volontariamente, segue pur essendo trascinato, e compie insieme con l’adeguarsi alla necessità, anche un atto di libertà; se invece si rifiuta di seguire, è semplicemente trascinato. Lo stesso si può dire degli esseri umani: anche se non vogliono seguire, saranno puramente e semplicemente costretti ad andare verso ciò ch’è fissato dal destino.
(Ippolito, Confutazione, 21)
Proposta di domande per l’analisi: In cosa consiste la libertà dell’uomo di fronte al destino? Il male può essere la conseguenza di una scelta dell’uomo?
STOICI: Marco Aurelio: l’integrità del cosmo
Viene mutilata e compromessa l’integrità del tutto, ogni volta che tu tagli via una particella qualsiasi dell’ordine e della continuità dell’universo [...]. E veramente tagli via, per quanto è in tuo potere, qualcosa dall’universo ogni volta che ti rammarichi dell’accaduto; in un certo senso condanni a morte così facendo, nel tuo desiderio, l’intero universo.
(Marco Aurelio, Ricordi)
Proposta di domande per l’analisi:
Per quale motivo non è possibile rifiutare alcuni aspetti della realtà? Quali altri autori già trattati concordano con l’impossibilità di separare il male dal bene a livello ontologico?°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Chi biasima la natura del mondo non sa ciò che fa, né sin dove arriva la sua audacia. Questo avviene perché essi ignorano l’ordine regolare delle cose, dalle prime alle seconde alle terze e così via sino alle ultime e non sanno che non bisogna biasimare degli esseri perché sono inferiori ai primi, ma accettare benevolmente la natura di tutti gli esseri risalendo ai primi e lasciando da parte la tragedia degli eventi terribili che secondo la loro opinione avvengono nelle sfere del mondo […].
Nemmeno bisogna esigere che tutti gli esseri siano buoni, né "conviene", poiché ciò è impossibile, abbandonarsi alle accuse qualora si esiga che le cose sensibili non differiscano in nulla dalle intelligibili; bisogna pensare che il male non è che affievolimento della saggezza e diminuzione continua e progressiva del bene; sarebbe come dire che la natura è cattiva perché non è anima sensibile, e cattiva la sensazione perché non è ragione.
(Plotino, Enneadi, II, 9, 13)
Proposta di domande per l’analisi:
Quali analogie riscontri rispetto al precedente brano di Marco Aurelio? In quali esseri Plotino rileva una "diminuzione del bene"?
Plotino: la necessità del male
Certo, se essi [i mali] non fossero, il mondo sarebbe imperfetto. Molti di essi, anzi tutti, Portano vantaggi alla totalità delle cose, come ad esempio gli animali velenosi: ma quasi sempre ciò ci sfugge. Persino il vizio porta molta utilità e produce molte belle cose, come, ad esempio, i begli oggetti dell’arte, e ci spinge alla prudenza e non ci lascia dormire tranquillamente.
(Plotino, Enneadi, II, ,3, 18)
Riguardo alla questione della necessità del male si può rispondere anche così: siccome il Bene non esiste solo, è necessario che, nella serie delle cose che provengono da lui, o se si vuol dire, ne discendono e se ne allontanano, vi sia un ultimo termine e che dopo questo nulla possa più derivare: e questo è il male. C’è necessariamente qualcosa dopo il primo, perciò anche un termine ultimo: questo è la materia che non possiede nulla di Bene. E questa è la necessità del male.
(Plotino, Enneadi, I, ,8, 7)
Proposta di domande per l’analisi:
In che senso il male è necessario all’esistenza del mondo? A quale aspetto del mondo è legato il male secondo Plotino? Ti sembra che la separazione bene/male sia netta o sfumata da una serie di gradazioni?
Ma in che senso si dice che, se il Bene esiste, esiste necessariamente anche il male? Forse perché è necessaria la materia nell’universo? Questo universo è fatto necessariamente di cose contrarie; e non sarebbe se non ci fosse la materia. La natura di questo mondo è fatta di una commistione di intelligenza e necessità, e tutto ciò che viene in esso da Dio è buono, il male invece viene dalla natura antica, intendendo con questa parola la materia non ancora ordinata.
(Plotino, Enneadi, I, ,8, 7)
Il male non consiste in una deficienza parziale, ma in una deficienza totale del bene; ciò che manca di un po’ di bene non è cattivo, ma può essere anche perfetto, almeno nel suo genere. Ma quando la deficienza del bene è assoluta, come è della materia, allora il male è vero, privo di qualsiasi parte del bene. La materia non ha l’essere in modo da partecipare del bene: solo equivocamente si dice che essa "è", poiché è giusto affermare che essa non è. […] La malattia è un difetto o un eccesso di corpi materiali che non conservano ordine e misura; la bruttezza è la materia non dominata dalla forma; la povertà è mancanza e privazione di quelle cose di cui abbiamo bisogno a causa della materia a cui siamo uniti, la cui natura è l’indigenza stessa.
(Plotino, Enneadi, I, ,8, 5)
Proposta di domande per l’analisi:
Quali sono i due principi dell’universo? Quale aspetto del pensiero platonico richiama questo brano? Perché non si può dire propriamente che la materia "è"? Ti sembra che nei due brani emerga una stessa concezione della materia?°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Agostino: il male come peccato
La tua legge, Signore, condanna chiaramente il furto, e così la legge scritta nei cuori degli uomini, che nemmeno la loro malvagità può cancellare. Quale ladro tollera di essere derubato da un ladro? Neppure se ricco, e l'altro costretto dalla miseria. Ciò nonostante io volli commettere un furto e lo commisi senza esservi spinto da indigenza alcuna, se non forse dalla penuria e disgusto della giustizia e dalla sovrabbondanza dell'iniquità. Mi appropriai infatti di cose che già possedevo in maggior misura e molto miglior qualità; né mi spingeva il desiderio di godere ciò che col furto mi sarei procurato, bensì quello del furto e del peccato in se stessi. Nelle vicinanze della nostra vigna sorgeva una pianta di pere carica di frutti d'aspetto e sapore per nulla allettanti. In piena notte, dopo aver protratto i nostri giochi sulle piazze, come usavamo fare pestiferamente, ce ne andammo, da giovinetti depravatissimi quali eravamo, a scuotere la pianta, di cui poi asportammo i frutti. Venimmo via con un carico ingente e non già per mangiarne noi stessi, ma per gettarli addirittura ai porci. Se alcuno ne gustammo, fu soltanto per il gusto dell'ingiusto. Così è fatto il mio cuore, o Dio, così è fatto il mio cuore, di cui hai avuto misericordia mentre era nel fondo dell'abisso. Ora, ecco, il mio cuore ti confesserà cosa andava cercando laggiù, tanto da essere malvagio senza motivo, senza che esistesse alcuna ragione della mia malvagità. Era laida e l'amai amai la morte, amai il mio annientamento. Non l'oggetto per cui mi annientavo, ma il mio annientamento in se stesso io amai, anima turpe, che si scardinava dal tuo sostegno per sterminarsi non già nella ricerca disonesta di qualcosa, ma della sola disonestà. [...]
Ma io, sciagurato, cosa amai in te, o furto mio, o delitto notturno dei miei sedici anni? Non eri bello, se eri un furto; anzi, sei una cosa, per cui possa rivolgerti la parola? Belli erano i frutti che rubammo, perché opera delle tue mani, o Bellezza massima fra tutte, creatore di tutto, Dio buono, Dio sommo Bene e bene mio vero. Belli, dunque, erano quei frutti, ma non quelli bramò la mia anima miserabile, poiché ne avevo in abbondanza di migliori. Eppure colsi proprio quelli al solo scopo di commettere un furto. E infatti appena colti li gettai senza aver assaporato che la mia cattiveria così inebriante a praticarla. Se pure un frammento di quei frutti entrò nella mia bocca, a renderlo saporito era il misfatto. [...]
In queste forme l'anima pecca allorché si distoglie da te e cerca fuori di te la purezza e il candore, che non trova, se non tornando a te.
(Agostino, Confessioni)
Proposta di domande per l’analisi:
Nel caso del furto raccontato nel brano, da che cosa sembra attratto l’uomo? Il male rappresentato dal peccato deriva da una libera scelta? In che cosa consiste il peccato?
Il male infatti non è ciò verso cui si cade, ma riguarda l'atto del cadere; non si cade cioè verso nature cattive, ma si cade in modo cattivo, poiché si agisce contro l'ordine naturale, volgendosi dall'essere sommo verso l'essere inferiore.
Così l'avidità non è una corruzione dell'oro, ma dell’uomo che ama l'oro in modo perverso, calpestando la giustizia, che è incomparabilmente superiore; la lussuria non è una corruzione dei corpi belli e piacevoli, ma dell’anima che ama in modo perverso le passioni del corpo, trascurando la temperanza, che ci introduce a realtà più belle spiritualmente e più piacevoli incorruttibilmente; la presunzione non è una corruzione dell'umana lode, ma dell'anima che ama in modo perverso di essere lodata dagli uomini, contro la testimonianza della coscienza; l'orgoglio non è una corruzione di chi dà il potere o del potere in sé, ma dell'anima che ama in modo perverso il proprio potere, avendo disprezzato quello più giusto, proprio di chi è più potente. Questo è il motivo per cui colui che ama in modo perverso il bene di una natura qualsiasi, anche se l'ottiene, diviene egli stesso cattivo nel bene e infelice, perché privo di un bene superiore.
(Agostino, La città di Dio)
Proposta di domande per l’analisi:
Perché secondo Agostino il male non è una proprietà degli esseri? In che cosa consiste dunque il male morale? Con quali brani di Plotino puoi trovare delle analogie, e quali?
Così concepivo la tua creazione, finita e ripiena di te infinito. Dicevo: "Ecco Dio, ed ecco le creature di Dio. Dio è buono, potentissimamente e larghissimamente superiore ad esse. Ma in quanto buono creò cose buone e così le avvolge e riempie. Allora dov'è il male, da dove e per dove è penetrato qui dentro? Qual è la sua radice, quale il suo seme? O forse non esiste affatto? Perché allora temere ed evitare una cosa inesistente? Se lo temiamo senza ragione, è certamente male il nostro stesso timore, che punge e tormenta invano il nostro cuore, e un male tanto più grave, in quanto non c'è nulla da temere, eppure noi temiamo. Quindi o esiste un male, oggetto del nostro timore, o il male è il nostro stesso timore. Ma da dove proviene il male, se Dio ha fatto, lui buono, tutte queste cose buone? Certamente egli è un bene più grande, il sommo Bene, e meno buone sono le cose che fece; tuttavia e creatore e creature tutto è bene. Da dove viene dunque il male? Forse da dove le fece, perché nella materia c'era del male, e Dio nel darle una forma, un ordine, vi lasciò qualche parte che non mutò in bene? Ma anche questo, perché? Era forse impotente l'onnipotente a convertirla e trasformarla tutta, in modo che non vi rimanesse nulla di male? Infine, perché volle trarne qualcosa e non impiegò piuttosto la sua onnipotenza per annientarla del tutto? O forse la materia poteva esistere contro il suo volere? O, se la materia era eterna, perché la lasciò sussistere in questo stato così a lungo, attraverso gli spazi su su infiniti dei tempi, e dopo tanto decise di trarne qualcosa? O ancora, se gli venne un desiderio improvviso di agire, perché con la sua onnipotenza non agì piuttosto nel senso di annientare la materia e rimanere lui solo, bene integralmente vero, sommo, infinito? O, se non era ben fatto che chi era buono non edificasse, anche, qualcosa di buono, non avrebbe dovuto eliminare e annientare la materia cattiva, per istituirne da capo una buona, da cui trarre ogni cosa? Quale onnipotenza infatti era la sua, se non poteva creare alcun bene senza l'aiuto di una materia non creata da lui?". Questi pensieri rimescolavo nel mio povero cuore gravido degli assilli più pungenti, frutto del timore della morte e della mancata scoperta della verità. [...]
Osservai tutte le altre cose poste al di sotto di te e scoprii che né esistono del tutto, né non esistono del tutto. Esistono, poiché derivano da te; e non esistono, poiché non sono ciò che sei tu, e davvero esiste soltanto ciò che esiste immutabilmente. [...]
Mi si rivelò anche nettamente la bontà delle cose corruttibili, che non potrebbero corrompersi né se fossero beni sommi, né se non fossero beni. Essendo beni sommi, sarebbero incorruttibili; essendo nessun bene, non avrebbero nulla in se stesse di corruttibile. La corruzione è infatti un danno, ma non vi è danno senza una diminuzione di bene. Dunque o la corruzione non è danno, il che non può essere, o, com'è invece certissimo, tutte le cose che si corrompono subiscono una privazione di bene. Ma, private di tutto il bene non esisteranno del tutto. Infatti, se sussisteranno senza potersi più corrompere, saranno migliori di prima, rimanendo incorruttibili; ma può esservi asserzione più mostruosa di questa, che una cosa è divenuta migliore dopo la perdita di tutto il bene? Dunque, private di tutto il bene, non esisteranno del tutto; dunque, finché sono, sono bene. Dunque tutto ciò che esiste è bene, e il male, di cui cercavo l'origine, non è una sostanza, perché, se fosse tale, sarebbe bene: infatti o sarebbe una sostanza incorruttibile, e allora sarebbe inevitabilmente un grande bene; o una sostanza corruttibile, ma questa non potrebbe corrompersi senza essere buona. Così vidi, così mi si rivelò chiaramente che tu hai fatto tutte le cose buone e non esiste nessuna sostanza che non sia stata fatta da te.
(Agostino, Confessioni)
Proposta di domande per l’analisi:
Perché risulta difficile conciliare l’esistenza del male con la creazione divina? In che senso gli esseri creati "non esistono del tutto"? Perché l’essere corruttibile è in un certo senso una caratteristica positiva? Perché il male non può essere una sostanza?