P. HADOT, Che
cos’è la filosofia antica?, Einaudi, Torino 1998, pp. 18 - 21
I. La testimonianza di Erodoto.
È quasi certo che i presocratici del VII e del VI
secolo a. C., Senofane o Parmenide, ad esempio, e forse, probabilmente, nonostante
alcune testimonianze antiche ma molto discutibili, Pitagora ed Eraclito, non
abbiano conosciuto né l'aggettivo philisophos, né il verbo philosophein
(filosofare), né a maggior ragione la parola philosophia. In
effetti, tutto lascia supporre che queste parole facciano la loro comparsa solo
nel v secolo: nel secolo di Pericle che vede Atene brillare non solo per la
supremazia politica, ma anche per lo splendore intellettuale; al tempo di
Sofocle, di Euripide, dei sofisti, e anche al tempo in cui, ad esempio, lo
storico Erodoto, originario dell' Asia Minore, ne! corso dei suoi numerosi
viaggi venne a vivere nella famosa città. E forse proprio nella sua opera che
si incontra per la prima volta il riferimento a una attività filosofica».
Erodoto narra l'incontro di Solone-legislatore ateniese che viene incluso nel
novero dei Sette Saggi - con Creso, re di Lidia. Questi, fiero della sua
potenza e della sua ricchezza, si rivolge a Solone dicendogli:
“Mio ospite, la fama della
tua saggezza (sophies), dei tuoi viaggi, è giunta fino a noi. Ci è stato
riferito che avendo il gusto della saggezza (philosopheon) tu hai visitato
molti paesi, a causa del tuo desiderio di vedere)”.
Si percepisce, a questo punto, che cosa rappresentino
la saggezza e la filosofia. I viaggi intrapresi da Solone non avevano altro
scopo se non quello di conoscere, acquisire un'ampia esperienza della realtà e
degli uomini, scoprire nello stesso tempo contrade e costumi diversi. Si
noterà, a questo proposito, come i presocratici abbiano indicato la loro
attività intellettuale come historia, ossia ricerca. Una simile
esperienza può fare di colui che la possiede un buon giudice della vita umana.
Ecco perché Creso chiederà Solone quale sia, a suo avviso, l'uomo più felice.
Solone risponderà che nessun uomo potrà essere considerato felice fino a che
non si sia vista la fine della sua vita.
Erodoto rileva dunque l'esistenza di una parola forse
già in uso, e che sarebbe certamente diventata di moda nell'Atene del V secolo,
l'Atene della democrazia e dei sofisti. In generale, da Omero in poi, le
parole. composte con il suffisso philo servivano a descrivere
l'atteggiamento di chi faccia coincidere il proprio interesse, il proprio
piacere, la propria ragione di vita con una determinata attività: philo-posia,
ad esempio, sta ad indicare l'interesse o il piacere del bere, philo-timia,
è la propensione ad acquisire onori; philo-sophia sarà, dunque,
l'interesse che si sviluppa per la sophia.
2. L’attività
filosofica fierezza di Atene.
Gli Ateniesi del V secolo erano
fieri dell'attività intellettuale, dell'interesse per la scienza e la cultura
che fiorivano nella loro città. Nell'orazione funebre che Tucidide gli fa
pronunciare in memoria dei soldati caduti nella guerra del Peloponneso,
Pericle, uomo di stato ateniese, usa le seguenti parole per elogiare il modo di
vivere che si pratica ad Atene: «Noi coltiviamo il gusto del bello con
semplicità e filosofiamo senza mancare di fermezza». I due verbi utilizzati
sono composti di philo-: philokalein e philosophein. Si può
notare qui, per altro, come venga proclamato implicitamente il trionfo della
democrazia. Non sono più soltanto i personaggi d'eccezione o i nobili ad
essere in grado di raggiungere l'eccellenza (arete); tutti i cittadini
possono raggiungere una simile meta, nella misura in cui amano la bellezza o
si dedicano all'amore per la sophia. All'inizio del IV secolo, l'oratore
Isocrate riprenderà nel suo Panegirico il medesimo tema: Atene ha
rivelato al mondo la filosofia. Questa attività comprende tutto ciò che è
inerente alla cultura intellettuale e generale: speculazioni dei presocratici, scienze I emergenti, teorie della lingua, tecniche retoriche,
arte del persuadere. A volte, come si può dedurre da una allusione del sofista
Gorgia nel suo Encomio di Elena, si riferisce piti precisamente all'
arte dell'argomentare. Elena, dice Gorgia, non è stata responsabile del suo
atto, poiché è stata spinta ad agire o dalla volontà degli dei, o dalla
minaccia della violenza, o dalla forza della persuasione, o ancora dalla
passione. Poi prosegue distinguendo tre forme di persuasione ottenibile usando
la parola, una delle quali, egli dice, si esplica «nelle tenzoni dei discorsi
filosofici». Si tratta senz'altro dei dibattiti pubblici nel corso dei quali i
sofisti rivaleggiavano per mostrare il loro talento, contrapponendo l'una all'
altra le rispettive argomentazioni riguardo a tematiche che non erano legate
a un problema specifico, giuridico o politico che fosse, ma piuttosto alla
cultura generale.
3. Il concetto di «sophia».
Le parole philo-sophos e philo-sophein presuppongono
dunque l'esistenza di un altro concetto, quello di sophia, ma è
necessario considerare che in quel periodo non esisteva una definizione filosofica
del concetto di sophia.
Nel ricercare una definizione di sophia, gli
interpreti moderni esitano sempre tra il concetto di sapere e quello di
saggezza. Colui che è sophos è colui che sa molte cose, che ha visto
molte cose, che ha viaggiato molto, che ha una cultura enciclopedica, oppure è
colui che sa comportarsi bene nella vita e si trova in una condizione di
soddisfazione? Mi troverò a ripeterlo spesso, nel corso di questo mio scritto:
i due concetti sono lungi dall'escludersi l'un l'altro; il vero sapere è in
realtà un saper fare, e il vero saper fare è il saper fare il bene.