3. L’Epoca Moderna.

Si dovrà attendere l’Epoca moderna per assistere ad un rinnovato studio del mythos, greco e non, cui concorrono filosofi, poeti, letterati, studiosi di antichità…e istituzioni.

3. 1. L’antefatto del nostro tema è costituito dalla scoperta del Nuovo Mondo che innesca un processo di riconsiderazione circa il senso della civiltà europea. Esso sfocerà nel 1724, anno della pubblicazione di due opere fondamentali: De l’origine des fables di B. De Fontenelle e Les moeurs des sauvage Ameriquains comparées aux moeurs des premiers temps di F. J. Lafitau. Fontenelle sostiene che il mythos appartiene alla condizione primitiva e primordiale dell’umanità ignorante. Quanto più si è ignoranti, tanto più ci si rivolge alla religione, questa forma di rozza filosofia, e si offre una spiegazione prodigiosa e favolistica del mondo. La favola ovvero il mythos è il prodotto dell’ignoranza curiosa dell’umanità infantile, che vuole rendersi conto e rendere conto del mondo in cui vive. Un’ignoranza, peraltro, equamente distribuita presso tutti i popoli, come documentano i selvaggi d’America che non pensavano affatto in modo più ragionevole degli antichi Greci. È anzi ipotizzabile che, se non fossero giunti gli Spagnoli, i selvaggi d’America avrebbero finito per pensare in modo altrettanto ragionevole dei Greci. È, infatti, solamente una questione di tempo: l’avvento della Ragione è ineluttabile e irresistibile, e con essa vengono spazzate via tutte le “sciocchezze” dei Greci, dei pellerossa e di ogni umanità primitiva. Il padre gesuita Lafitau, impegnato nella sua opera missionaria tra gli Irochesi in Canada, compara la cultura irochese alla cultura greca dei primi tempi. Egli documenta abbondantemente la singolare conformità di usi e costumi tra le due culture e indica nella comune discendenza dai figli di Noè la ragione di tali similitudini. In ogni caso, siamo di fronte alla religione primitiva (adamitica) dei gentili che esibisce nelle favole mitologiche la decadenza e la corruzione di chi si è allontanato dall’originario sentimento religioso, abbandonando un sano “sistema di doveri” e una “religione civile”, che si traduceva nelle pratiche del culto, inteso come servizio pubblico e utile alla società. Per ambedue, comunque, il mythos rivela la natura infantile o perversa dell’umanità primitiva che attende la luce della Ragione (Fontenelle) o la luce della Rivelazione (Lafitau).

È doveroso, infine, ricordare un terzo personaggio N. Fréret (1688-1749), membro e segretario della Acadèmie des Inscriptions et Belles-Lettres. Egli si dedica allo studio e alla interpretazione del mythos giungendo alla conclusione che solo per una ristretta parte di esso è possibile rinvenire l’origine in un evento storico, mentre la maggior parte è da ricondurre o ad un senso etico e fisico oppure è un mero prodotto della fantasia (in questa linea già si era espresso P. Bayle nel suo Dizionario del 1697).

3. 2. Alla formazione del nuovo interesse circa il mythos concorrerà anche l’Illuminismo, per il quale esso appartiene alla notte dello spirito e si configura come favola infantile e vera malattia dello spirito umano da sconfiggere con la luce della ragione, ponendo in questo modo le basi per la nascita di una “scienza dei miti” perché, come è possibile che l’alba della Ragione veda anche lo scandalo e la follia della mitologia? Come è possibile giustificare le storie selvagge e assurde sull’origine delle cose e degli uomini, le avventure infami e ridicole degli déi? Qual è il senso di queste favole mostruose, ripugnanti e immorali?  

3. 3. Il Romanticismo (C. G. Heyne, J. G. Herder, W. Goethe, K. P. Moritz, gli Schlegel…), con l’esaltazione dell’intuizione e dell’immaginazione, legherà il mythos all’interrogativo circa l’identità nazionale di un popolo, che in esso ha espresso e depositato la sua iniziale e originaria visione del mondo. La Weltanschauung allora manifestatasi risulterà vincolante per l’identità storica seguente del popolo in questione. Essa è un plesso originario dove lingua, religione, arte, storia e società fanno un tutt’uno e propone il senso di un popolo e di una civiltà, nel presente di ogni tempo storico, come missione da svolgere.

3. 4. In questo contesto si pubblicheranno i testi della mitologia nordica, iranica, indiana (Edda - 1753; Ossian - 1760-1763; Zend-Avesta - 1771; Bhagavadgita - 1785; Hitopadesa-  1788; Sakuntala - 1789; Upanishad - 1801; Riveda - 1849-1874) e si istituiranno in Europea, tra il 1850 e il 1890, cattedre di Scienza dei miti, di Mitologia comparata e di Storia delle religioni dedicate esplicitamente allo studio del mythos. I tempi sono ormai maturi perché possa germogliare la scienza dei miti da un terreno pre-scientifico considerevolmente fecondo che propone:

·        il paradigma “infantile”: il mythos dichiara la condizione primitiva e ignorante dell’umanità ed è sinonimo di irrazionalità e fantasia;

·        il paradigma “morale”: il mythos manifesta la corruzione e la perversità di una popolazione che si è allontanata dalla religione;

·        il paradigma “fisico-storico”: il mythos spiega gli eventi naturali e storici (locali o nazionali);

·        il paradigma “estetico”: il mythos riflette la contemplazione umana delle forze creatrici della natura.

Questi “paradigmi prescientifici” li ritroviamo abbondantemente e a volte fusi insieme nei “paradigmi scientifici” della scienza dei miti dell’Ottocento:

·        la mitologia come protostoria di K. O. Muller (1797-1840. L’opera di riferimento è Prolegomeni ad una mitologia della scienza  - 1825). Egli si concentra esclusivamente sul mythos greco e afferma che esso è la necessaria espressione, il primo linguaggio (cui seguirà la poesia) dell’umanità primitiva-infantile ed è debitore della fantasia/immaginazione e dell’ambiente fisico/storico dell’uomo. Ogni tribù e popolazione produce una propria mitologia local-nazionale dove si rispecchia la sua storia in tutte le sue tappe e fino al momento in cui all’unificazione politica corrisponde la sistematizzazione della mitologia, ormai adulta. Il mythos, quindi, deve essere interpretato per guadagnare il solido terreno degli eventi storici.

·        la scuola di mitologia comparata di M. Muller (1823-1900), docente ad Oxford, giustifica la “follia” del mythos greco con una tesi che ha nella storia del sistema lingua la sua causa. Bisogna, infatti, distinguere tre fasi: tematica (esiste UNA lingua primitiva e originaria), dialettale (si differenziano e si distaccano due famiglie linguistiche: semitica e ariana) e mitopoietica (nasce la religione e la poesia e con esse le illusioni, frutto delle parole). Il mythos appartiene alla terza fase e costituisce una malattia del linguaggio, è il prodotto inconscio del linguaggio che, non più controllato dal pensiero, getta un’ombra sul pensiero stesso. È necessario, quindi, smascherare l’illusione creata dalle parole e scoprire la realtà naturale che sta dietro e dentro il linguaggio ammalato. La lingua e il mythos, infatti, nascono dalla visione dello spettacolo del sole e della luce, dall’esperienza estetica della bellezza e dell’armonia della natura o dalla furia della natura (p. es. la tempesta).

·        la scuola antropologica inglese di E. B. Tylor (Primitive Culture, 1871) e di A. Lang (La mythologie,1866) che ritengono il mythos lo stato selvaggio del pensiero, corrispondente al primo stadio dell’evoluzione sociale e intellettuale dell’uomo. L’uomo non ancora educato, infatti, vive in modo irrazionale e racconta miti, nei quali si personificano le forze della natura.

A questi tre paradigmi che evidenziano l’aspetto storico, l’aspetto linguistico-estetico e l’aspetto irrazionale, e che sono accomunati da una comprensione del mythos come “ciò che dice altro da sé”, fa da pendant la riflessione filosofica, che ha influito sui tre paradigmi.