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Comunicazione Filosofica n. 13 aprile 2004

Intervento di Donatella Puzone

La serietà con la quale, nel Convegno di novembre, ci si è interrogati sul ruolo e sul senso del nostro lavoro ha aperto una serie di sentieri che si spera non siano interrotti ma che, nondimeno, si gioverebbero di essere ricondotti ad una sostanziale omogeneità.

L’intervento istituzionale di Giuseppe Bertagna ha provocato, almeno in me, un certo senso di sdoppiamento, tanto paradossale mi è apparso il contrasto fra la levità del tono, ulteriormente illegiadrito da metafore non nuovissime (il quadro … le pennellate…) e la brutalità del contenuto che andava profilando ai nostri occhi un desolante panorama di – ad esser buoni – intenzionale approssimazione. Strano che duecentosessanta persone non abbiano potuto partorire una chiara e coerente definizione del ruolo che avrà nella scuola riformata l’insegnamento della filosofia e delle professionalità cui sarà affidato … evidentemente,  tutta l’attenzione della Commissione si è rivolta, come Armando Girotti nota,  al Profilo educativo, culturale e professionale dello studente in uscita: studente che, per come si legge, dovrebbe aver acquisito categorie mentali in grado di fargli distinguere “il giusto dall’ingiusto … il bello dal brutto … il bene dal male …”: scusate se è poco.  

     Come poi, a parte il proccupante odor di manicheo, a questo risultato ambizioso possa contribuire un docente di filosofia dalla formazione “polifunzinale”, senza portare il giovane a Lourdes, andrebbe forse chiarito.

Disillusi così per quanto attiene a ciò che ci si può aspettare dalla riforma,  resta ancora una volta sulle nostre spalle tentare di rispondere ai problemi che non cessano di porsi nella didattica della filosofia.

A questo proposito, la relazione di Mario De Pasquale ha il grandissimo merito di affrontare con chiarezza ed originalità quello che a mio avviso è il punto nodale della questione: al di là delle pur serissime questioni di metodo, impianto, curriculo, contenuto, come ci si deve muovere per non rischiare di essere inascoltati, rispetto a giovani immersi in un mondo che spesso appare incommensurabilmente “altro” da quello dei problemi che continuamente la filosofia apre e risolve, alle sue domande sempre poste e risposte?

Se il nostro destino continuerà ad essere, come sembra, quello di dover esercitare una coraggiosa “anarchia creativa”,  e se, d’altra parte, è bene che una qualche coerenza e linearità si riesca a rintracciare, concordando magari delle linee comuni d’intervento sulle quali muoversi pur nella varietà delle situazioni e nei mille modi in cui professionalità e creatività sanno coniugarsi, certo la proposta di prendere sul serio il senso comune e il  modo di pensare degli studenti, e di promuovere un confilosofare che prenda le mosse da aree di interesse reale dei giovani (cinema musica televisione…) costituisce uno stimolo di grande interesse, che ha in sé la semplicità e la grandezza delle intuizioni feconde.

All’interno dell’esperienza estetica e del suo orizzonte di verità e conoscenza ( quanti riferimenti possiamo ravvisare in questo, da Croce a Pareyson a Brandi …) si può certamente lavorare con gli alunni per cogliere quel conferimento di senso che è il fine ultimo della filosofia: credo sia bene non farsi illusioni sulla complessità di un lavoro di questo genere, che richiede (specie in fase di programmazione) rigore, ricerca, pazienza, attenzione, spesi anche in aree a noi meno consuete: credo però anche che sia lecito, poi, aspettarsi molto da questa esperienza, capace di promuovere  negli studenti una consapevole, critica lettura della realtà, anche di quegli ambiti di essa che sembrerebbero destinati ad una “fruizione” distratta, quasi inconsapevole, ai quali invece una riflessione filosofica che entra a vivificarli restituisce dignità e spessore.

Una volta riconosciuta la linea – guida del confilosofare (e certo ci sarà tanto da lavorare e confrontarsi e scambiar esperienze) tutto il resto apparirà funzionale ad essa, e sarà opportuno anche individuare tecniche di lavoro per i “laboratori di ricerca e comunicazione filosofica” che dovranno diventare le aule: ad esempio, il metodo del Cooperative Learning, di scuola canadese ed ora in via di diffusione in Italia, opportunamente rifinito ed adeguato alla nostra realtà scolastica, consente certamente, per quanto ho potuto verificare, risultati molto confortanti.

Un’ultima considerazione sull’annosa questione dell’insegnamento secondo il metodo storico o problematico: la necessità di una consapevole mediazione risulta lampante se solo si consideri che, laddove uno dei due metodi è stato preminente o totalizzante, se ne sono additati i limiti e si è caldeggiato l’altro, e viceversa: così, mentre nella nostra esperienza di matrice gentiliana più voci, dagli anni ’70 – ’80 in poi ( e vedi anche la riforma Brocca), si sono levate ad indicare le carenze del metodo storico e ad auspicare una riforma che prevedesse fra l’altro l’applicazione del metodo zetetico, in Francia a suo tempo fu duramente criticato dal Group de Recherche pour l’Einsegnement de la Philosophie il programma ufficiale del secondo ciclo ( risalente se non erro a Cousin) che privilegiava una didattica per problemi attraverso ciò che fu definita una “rapsodia eclettico-barocca” di testi ed autori.

Saggio appare, allora, se proprio si deve ancora disquisire su ciò, mantenere un equilibrio fra l’orientamento storico e la dimensione problematica: e la chiave di volta di tale mediazione non potrà che essere il testo – textus filosofico, capace di riflettere il proprio tempo ed insieme di schiudere orizzonti e problemi di respiro metastorico.