Torna al sommario di Comunicazione Filosofica

Comunicazione Filosofica n. 13 aprile 2004

Antonio Postorino interviene in merito alla proposta editoriale presentata nei mesi di settembre e ottobre 2003 a La Spezia per Agorà: si tratta del terzo numero della rivista di filosofia Glaux che nasce da una esperienza di autoformazione di un gruppo di docenti affiliati alla Società Filosofica Locale e che prosegue dal 2002 una linea di ricerca innovativa, della quale si rende qui ragione anche alla luce della sua genesi.

 

Nella sua prima ricognizione, “Glaux” aveva lavorato attorno al tema programmatico della filosofia come sapienza oggettiva e insegnabile, dunque come concettualità mediatrice di verità riconosciuta in seno ad una comunità etica. L’insieme dei saggi raccolti intorno alla conversazione con Giovanni Reale sull’attualità della saggezza antica aveva così delineato la prima costellazione dell’attività di “Glaux”, dalla cui osservazione orientata e retrospettiva risultava nettamente il campo di forze che determina la dimensione sapienziale.

Nel rispetto del reciproco gioco di queste forze, si trattava allora di cominciare a riflettere sulle condizioni di possibilità perché oggi si possa ancora parlare di universalità e di normatività, ossia dei caratteri in mancanza dei quali qualunque discorso sulla sapienza non può che cadere nella suggestione arcaizzante ovvero ridursi a generica edificazione per anime belle.

Universalità e normatività vuol dire in buona sostanza identificazione di una dimensione pubblica, ossia di uno spazio all’interno del quale una determinata verità venga condivisa e riconosciuta come principio informatore delle norme che regolano la vita civile. Si trattava dunque di cogliere questa problematica per come essa si determina sul fronte avanzato della ricerca filosofica, al fine di evitare derive speculative astratte e di trovarsi immediatamente calati nei problemi con cui devono effettivamente misurarsi gli addetti ai lavori.

Si offriva a questo punto la prospettiva di etica pubblica – e, in subordine, di metafisica pubblica – che costituisce la proposta di lavoro di Sebastiano Maffettone. Con questo filosofo si svolge infatti la Conversazione che costituisce il fulcro di questo numero di “Glaux”.

L’idea di Maffettone, di lavorare alla ricerca dei fondamenti di un riconoscimento di universalità normativa già operante nei fatti all’interno di forme di vita date, nella sua ardita contaminazione di storicismo hegeliano, formalismo kantiano e procedure e acquisizioni analitiche, non poteva non sollevare una vera marea di questioni, la cui posizione e il cui iniziale approfondimento costituisce la ricchezza di questa seconda costellazione (la rapidità di costituzione e di allargamento della rete dei collegamenti sembra qui evocare, più che il modello statico della costellazione, quello dinamico della reazione a catena, come potrà constatare il lettore di questo numero. Il fatto poi che non tutti i contributi nascano da una diretta finalizzazione a prendere posizione nella tematica sollevata dalla Conversazione, e molti di essi siano riconducibili a quel quadro da una semplice astuzia della ragione, non riduce minimamente l’unità della tessitura, anzi, dal nostro punto di vista, conferma l’oggettiva unitarietà dei nessi qui implicati e coimplicati). Andrebbe infine qui osservato come un inevitabile ripensamento di questa rapidità di costituzione e di allargamento della rete dei collegamenti alla luce di una vicenda contingente (per quel che contingenza possa voler dire, e non è facile da precisare…), e cioè quella della guerra angloamericana nell’area mediorientale, con tutte le capitali questioni di principio e di stato di fatto che essa porta in campo, non può che illuminare retrospettivamente con colori di attualità persino inquietanti l’oggettività di quei nessi.

Tornando alla nostra costellazione, è ora possibile tracciarne l’architettura. Il terzo numero di Glaux, infatti, è composto da vari gruppi di saggi. Un primo gruppo origina direttamente dalla Conversazione, i cui temi vengono tuttavia echeggiati in forme e direzioni diverse. Antonio Postorino, muovendo dal clima di “fine della storia” che inquadra il lavoro costruttivo di Maffettone, si interroga sulle ragioni del “naufragio” – vero o supposto, ma comunque avvertito – della metafisica classica, e cerca di seguire le valenze evocate dall’uso corrente dell’opposizione pubblico / privato, a partire dal loro affiorare nella sapienza filosofica eraclitea fino alla loro peculiare fusione nella sapienza cristiana della teologia primitiva. Individuando quindi nella determinazione filosofica dello Spirito, prodotto mediato di quella teologia, il vero oggetto del “naufragio”, abbozza un’indagine sul modo di persistenza della fede cristiana nell’incarnazione, inveratrice dell’autocoscienza assoluta, all’interno dell’Aufhebung hegeliana, indicando così, come alternativa almeno possibile sulla via di una “metafisica pubblica”, quella di un’antropologia filosofica, nel suo problematico rapporto con la prospettiva teologica.

Lo stesso tema antropologico è assunto nel lavoro di Luca E. Cerretti, il quale sottopone la conversazione con Maffettone ad una sorta di esame radiografico orientato ad isolare e individuare appunto la rete delle virtualità di questo genere sottese alla prospettiva di una “ragione pubblica”, in surroga almeno temporanea della prospettiva ontologica. In un “buon senso” definito dalle categorie di interattività, riconoscimento, mediabilità, proceduralismo, giustificazione, trasparenza etico-politica, viene così identificato l’attuale spazio della riflessione filosofica su questo tema, in una sorta di alfabetizzazione sullo sfondo di una pagina bianca, dove il compito della metafisica resta definito come interlinearità culturale. A questo punto Giorgio Di Sacco si chiede se il termine “metafisica” non resti, quando riferito a quest’ordine problematico, un puro nome, al quale si potrebbe allora comodamente rinunciare, essendo la via ontologica della metafisica classica solo uno dei modi nei quali si può realizzare l’insieme delle correlazioni che nella ricerca di Maffettone resta connotato come “metafisica pubblica”. Solo se la verità – continua Di Sacco – è uno stato del soggetto che la cerca, e non il minaccioso oggetto garantito da un qualche Gott mit uns, questa ricerca può conservare un significato positivo aperto. Come prospettiva ancora alternativa a quella maffettoniana – ma più generalmente da “fine della storia” – si inserisce qui la riflessione di Valerio Martone, il quale, esaminando da un lato la linea Hegel-Kojève-Fukuyama, lungo la quale la “fine della storia” viene a prendere le fattezze della liberaldemocrazia occidentale / americana, e dall’altro la linea Marx-Horkheimer-Adorno-Bloch, lungo la quale viene in luce l’impossibilità di esaurire il non-identico nell’identico, e quindi l’inettitudine di questo Stato “finale” a costituirsi come lo Stato omogeneo nel quale, col toglimento di ogni differenza tra universale e particolare, sarebbe esaurita ogni spinta al cambiamento, suggerisce una valenza del’Anerkennung hegeliana molto meno “debole” di quella valorizzata nella prospettiva di Maffettone, e quindi la persistente possibilità di un Novum.

Questo allargarsi della riflessione nello spazio storicamente attuale di un potere unico, che si presume morale in linea di principio, e in quanto tale esportabile e addirittura giustamente omologante, produce poi reazioni circostanziate, la cui derivazione dalla Conversazione prende l’inevitabile coloritura dell’urgenza. Pietro Lazagna, all’interno di un filone riflessivo che va da Kierkegaard a Levinas passando per la vena religiosa del cattolicesimo di lingua francese, richiama l’attenzione sul tragico rischio di astrazione di una “etica pubblica”: il senso più autentico del discorso etico, infatti – quale affiora dalla radicalità dei santi e dei mistici – sta nel raggiungimento del vero Altro nella sua unica e  irripetibile particolarità, superando ogni rispecchiamento solipsistico nell’elemento concettuale e ritrovando la traccia evangelica del dia-logos come dia-conia, o come comunione autentica. Solo l’ethos del rispecchiamento solipsisitico, infatti, può arrivare a imporre l’universalismo, legittimando anche l’uso della forza a sostegno della propria normatività. Così Francsca Del Santo si interroga sul mondo del dopo 11 Settembre, sulla crisi di significato e sull’oscillazione fra rinascita dei miti e sterile scetticismo, affermando la necessità che la filosofia receda dalla fuga tendenziale adombrata dall’indifferenza classificatoria e faccia i conti ermeneutici con oggetti altamente artificiali come i prodotti culturali. Da qui il giudizio positivo sulla quasi-ontologia dell’impostazione di Maffettone, che è uno dei modi per misurarsi con la linea emergente della pura forza, sia pure tessendo su un telaio in continuo movimento e scontando la fatica di un puzzle mai compiuto, con obiettivi necessariamente minimali.

Un secondo gruppo di saggi contiene lavori che si collocano in medias res rispetto alle tematiche della Conversazione, ed hanno quindi carattere rigorosamente autonomo, essendo riconducibili a quel quadro solo in virtù della già osservata uniterietà della problematica di fondo. Adriano Fabris si addentra nel concetto di comunicazione – dimensione peraltro essenziale al progetto maffettoniano di etica pubblica – per mostrarci, a partire dallo stesso piano etimologico, la radicale alternatività di una comunicazione autentica, ossia volta alla costituzione del communis, rispetto al modello dominante volto al raggiungimento di un target e dotato di automatismi di feed-back. La comunicazione ha a che vedere col munus, ossia col “dono” di una realtà compartecipata, e deve mettere in campo un ingenium comunicativo, correndo il rischio dell’appiattimento nel “comune” come “volgare”, alla ricerca dell’inter-pretium, del “prezzo condiviso” nella mediazione interculturale. Si delinea così il quadro dell’etica della comunicazione, dove, non esistendo regole che governino l’applicazione di qualunque regola stabilita, ci troviamo di fronte all’arduo problema della libertà e della responsabilità. Alfonso M. Jacono riflette sul tema – variamente implicato nella precedente problematica – della storia, e riprendendo la discussione sugli stereotipi della storia circolare greca e della storia lineare ebraico-cristiana mostra l’inconsistenza di questa rigida distinzione, portando invece l’attenzione sulla crisi apparentemente irreversibile dei modelli che fanno coincidere evoluzione e progresso. Ne risulta una storia abbandonata dalla garanzia di futuro, nella quale la radicale contingenza induce il terrore per il male sempre virtuale e sempre imprevedibile e ingiustificato, e pone il problema del come si sopporti una storia di questo genere, cioè totalmente priva di rassicurazione, al punto da determinare una direttrice del pensiero teologico che porta alla negazione dell’onnipotenza di Dio e alla nozione del rischio totale dell’incarnazione, con la possibilità di una “sconfitta di Dio”. Barnaba Mai,  collocandosi ancora sul terreno della storia, indica nel pensiero gramsciano, infelicemente collassato nel neo-marxismo, una vera e originaria alternativa al leninismo della scienza di partito indifferente al concreto stato di coscienza dei suoi membri. Rivalutando dunque il momento “messianico” sostenuto da Benjamin in opposizione alla consunzione desoggettivizzante althusseriana, che conduce non per caso alla “fine della storia” nel neohegelismo di Fukuyama, Maj indica nel senso comune della coscienza storica – tema per eccellenza di ascendenza gramsciana – il vero elemento vitale che, non permettendo alla teoria di inglobare la realtà, ma viceversa lasciando emergere il tragico-creaturale quale contraltare al progetto della storicità immanente che ha condotto alla shoah e ai gulag, è in grado di delineare un nuovo spazio di senso per la storia. Infine, Andrea Cavazzini sviluppa – in maniera raccordabile al quadro problematico intorno al significato del pubblico – una critica del pensiero di Gadamer, dove si mostra come il padre dell’ermeneutica, interpretando come solipsismo della “ragione assoluta” l’intero pensiero della modernità, e cercando coerentemente di realizzare un’autentica dimensione comunitaria nell’infinita “fusione di orizzonti” che resta al di qua di norme razionali regolatrici, finisca di fatto per precludere a questa dimensione il carattere di criticità che solo la potrebbe costituire come universale e dunque pubblica, portandola al di là del rispetto irriflesso per le auctoritates ancestrali. Cavazzini tocca così, e sviluppa, il difficile problema del rapporto tra linguaggio e strutture oggettive non linguistiche, mostrando ancora come l’ottica gadameriana, inseguendo la “pienezza” originaria di una verginità che la lingua reale non ha, finisca al contrario in una sorta di lingua dotta, contemplata ma non parlata e di fatto negatrice della vera dialogicità, che dell’ermeneutica dovrebbe viceversa essere principio informatore.

La trattazione di queste tematiche in un ambiente culturale relativamente lontano dal nostro è stata resa disponibile a questo numero di “Glaux” dal lavoro di Carlo Marletti, il quale è direttamente impegnato in una fertile tessitura di relazioni fra l’Università di Pisa e quella dell’Avana, ed è dunque un conoscitore di prim’ordine della realtà culturale cubana.

I saggi presentati, di F. Fuentes e R. Pupo. P. Ravelo Cabrera, sono stati tradotti dallo stesso Marletti, ed è opportuno rinviare, per la loro origine, taglio e contenuto, alla presentazione che lui premette alle traduzioni. Ci limitiamo qui a rimarcare l’attenzione di questo scenario culturale alla problematica che è stata oggetto della conversazione con Maffettone e ad osservare, con Marletti, la sensibilità di quell’ambiente filosofico sia al tema hegeliano dell’ethos, sia a quello kantiano dell’universalismo (che, come abbiamo visto, sono tra le coordinate fondamentali della ricerca dello stesso Maffettone). Annotiamo infine, di nostro – ma è una sensazione che non potrà non avere il lettore di questi saggi – la freschezza e vitalità di questo luogo di pensiero, che sembra miracolosamente indenne dalle ombre di compiaciuto apocalittismo che segnano tanta parte della filosofia “continentale”.

Se i saggi cubani costituiscono un’eco di lontananza nello spazio, un’eco di lontananza nel tempo – superata qui come là dalla virtualità attualizzante delle costanti antropologiche – viene dai lavori dei collaboratori di “Glaux” operanti in seno all’Associazione Italiana di Cultura Classica.