Torna al sommario di Comunicazione Filosofica

Comunicazione Filosofica n. 13 aprile 2004

Adattarsi ad un mondo costruito o costruire nuovi mondi ?

Verso una metateoria della formazione cognitiva

 

Graziella Morselli

 

Nel panorama della cultura contemporanea si è delineato dalla metà del novecento, sempre più chiaramente, un movimento di convergenza tra numerose componenti scientifiche della ricerca sul tema della conoscenza. Studiosi di discipline matematiche, informatiche, fisiche, bio-neurologiche, psico-sociali, che declinano questo tema sia sotto il punto di vista di un’epistemologia non più positivistica sia sotto quello dell’esame delle operazioni che sottostanno al formarsi delle conoscenze, ma anche filosofi che analizzano la mente in termini computazionali oppure in termini di coscienza, emozioni, capacità creative, vengono oggi accomunati da visioni sistemiche tra loro molto diverse. Non si tratta certo di tentativi di tornare ai programmi positivistici di unificazione delle scienze, ma di riprendere da grandi iniziatori come Peirce, Kuhn, Piaget e Bachelet i termini corretti di un deciso abbandono del riduzionismo e dell’oggettivismo senza perdita di rigore e di universalità. Tra le diverse correnti che perseguono questi propositi, spiccano il neostrutturalismo di Jean Petitot, l’epistemologia sperimentale di Heinz von Forster, e dei neurologi Humberto Maturana e Francisco Varela, la sociologia della conoscenza di Mary Hesse.

In tale prospettiva sistemica si può riconoscere che l’ambito cognitivo viene oggi studiato prevalentemente secondo un orientamento ispirato alla teoria cibernetica della complessità, dalla quale si traggono concetti come quello di circolarità ricorsiva e autoreferenzialità a proposito dei processi conoscitivi, e di autopoiesi per quanto riguarda i sistemi viventi, che mettono in atto le loro strategie conoscitive. Spesso questi studi, per quanto riguarda l’ambiente detto “esterno” rispetto alla elaborazione interna alla mente, assumono anche la concezione storico-sociale, di provenienza ermeneutica, per la quale l’insieme delle relazioni tra i soggetti, con la sua trasformazione nel tempo, è uno dei fattori determinanti nel prodursi delle conoscenze: in questo caso sembra realizzarsi anche una convergenza tra la filosofia “continentale” e le logiche scientifiche.

Complessivamente, siamo di fronte alla prospettiva di un’integrazione ormai vicina tra le “due culture”, scientifica e umanistica, o più semplicemente di una collaborazione tra logiche descrittive ed esplicative, poste in essere dalle scienze, e metodi della riflessione filosofica. Così Edgar Morin ha potuto indicare nel dialogo il principio di tale collaborazione, e nei parametri della ricorsività (sovrapposizione reciproca e scambio delle cause e degli effetti) e dell’ologramma (compresenza della totalità e delle differenze) il suo terreno comune. Secondo Morin, l’adozione di un atteggiamento riflessivo da parte delle scienze consentirà l’affermarsi di una “metateoria”, costituita da una biologia della conoscenza e dall’idea di un’interazione continua tra l’esperienza soggettiva e il sistema eco-sociale cui apparteniamo.

Nessuna delle tendenze di pensiero qui sommariamente indicate, tuttavia, si potrebbe attribuire ad una volontà “reazionaria” rispetto all’ondata di critica decostruzionista della ragione, o ad una pretesa di ricostruire le certezze della tradizione, vuoi empiristica vuoi teoretica. Ne sarebbe impedita da un principio, generalmente accettato, simile a quello di indeterminazione che Heiselberg scoperse per le scienze sperimentali: quello che nel farsi della conoscenza vede incluse le operazioni del soggetto conoscente, e quindi ne considera i risultati come relativi al contesto, perciò sempre in evoluzione e mai definitivi. Inoltre se ogni asserzione, come scrisse N. R. Hanson nel 1958, è carica di teoria, ovvero basata su osservazioni già influenzate da ciò che è consaputo o “precompreso”, (per usare un termine di Heidegger al posto del concetto di ”prior theory”  di D. Davidson), ne consegue che la conoscenza non rappresenta la realtà ma, poiché deriva pragmaticamente dalla relazione interattiva tra l’ambiente e l’organismo, si dovrà dire che la costruisce.

Per questo, in definitiva, si può parlare di un atteggiamento costruttivistico diffuso nel pensiero contemporaneo, non soltanto epistemologico ma in generale filosofico e antropologico, in quanto interessato alla genesi dei saperi e delle mentalità. Certamente sarebbe arduo restringere il senso di questo movimento di pensiero nella definizione del costruttivismo, il quale è in realtà una corrente sorta nel campo teorico della matematica, ma è possibile impiegarne il nome per riferirsi ad un vasto raggio di ricerche e dottrine, come è stato fatto da Piaget, a partire da Lo strutturalismo (1968). Prendendo spunto da Piaget, che sottolineò le analogie tra strutture logiche e biologiche e strutture psicologiche e sociali, si può ulteriormente estendere il campo del costruttivismo al pensiero di teorici della pedagogia come Dewey, Vygotsky e Bruner. E’ ciò che ha fatto Antonio Cosentino in uno studio pubblicato nel novembre 2002 dall’editore Liguori, che porta il titolo di Costruttivismo e formazione.

Come spiega il sottotitolo, l’intento dell’autore è di avanzare Proposte per lo sviluppo della professionalità docente, e tale sviluppo viene sottolineato già nell’Introduzione in quel che presenta di attuale, e altresì di urgente e di problematico. L’obiettivo di esporre in modo analitico e ben fondato le possibilità di innovazione che l’aggiornamento scientifico mette a disposizione degli insegnanti, sia per la loro preparazione teorica nel campo delle scienze umane e sociali, sia per sostenerne la pratica quotidiana nel senso creativo della trasformazione di se stessi e dell’ambiente relazionale nel quale interagiscono, impegna tuttavia Cosentino in un itinerario euristico di profondo e complesso spessore.

Nella prima parte del volume egli fornisce un quadro aggiornato del dibattito scientifico sulla genesi delle conoscenze, illustrando dottrine essenzialmente diverse tra loro, ma che si possono accomunare per quelle petizioni di principio che abbiamo ricordato, quali il procedere “costruttivo” delle scienze, il carattere autoreferenziale di ogni conoscenza, la relazione dinamica tra teoria e prassi, la centralità della comunicazione intersoggettiva e di quella tra soggetti e contesto, e infine l’interazione che coinvolge il soggetto nel proprio campo di osservazione e lo trasforma insieme al suo oggetto. Per ognuno di questi presupposti, e per tutti gli altri che ne derivano o li accompagnano, l’autore si riferisce alle teorie di pensatori del primo novecento, portandole al confronto con quelle di studiosi più recenti, e raggruppandole sotto l’etichetta complessiva del costruttivismo.

Se, tuttavia, tra gli iniziatori che abbiamo prima citato Cosentino mette al centro soprattutto Dewey, Piaget, Vygotsky, Bruner, ciò è dovuto all’intento di far interagire la tendenza cognitiva e quella sociologica del costruttivismo nella teoria della formazione, e conseguentemente nell’azione formativa. Ma, a suo avviso, l’interazione dei due aspetti si fa evidente soprattutto sul terreno dello scambio e della reciprocità nelle relazioni sociali. Del resto, se è vero, come diceva Theodor Adorno che “l’incantesimo di una ragione strumentale dilatatosi a totalità sociale non può più venire dissipato”, e che la risposta della filosofia a questo incantesimo (a partire da Nietzsche e Husserl e in seguito attraverso il pragmatismo da una parte e la Scuola di Francoforte dall’altra), è consistita soprattutto nel passaggio dal concetto assolutistico del soggetto razionale a quello relativistico dell’intersoggettività, allora anche l’apporto delle dottrine costruttivistiche a questa nuova dimensione teorica e pratica appare determinante per combattere questo incantesimo.

Così nella seconda parte del volume, dedicata ai problemi della didattica e della formazione, ha particolare risalto il capitolo Articolazioni dell’agire formativo che tratta il nesso interattivo e produttore di significati tra individuo e società, dove si confrontano e si integrano le attività mentali del soggetto e le pratiche socio-culturali dell’ambiente. Qui Cosentino esamina a lungo e in dettaglio i nuclei problematici e teorici relativi ai soggetti, ai contenuti e ai contesti dell’apprendimento, gettando così nuova luce, in particolare, su zone in genere trascurate dalle teorie positivistiche, come la coscienza, l’affettività, le relazioni tra le menti, la pragmatica comunicativa. Gli autori citati in questo capitolo appartengono ad un vasto confronto internazionale di posizioni e di teorie: sono filosofi analitici della logica e del linguaggio, epistemologi e pedagogisti, come Novak, Bateson, Ausubel, Rogoff, Gardner, tra i molti altri.

Sul nesso tra individuo e società si basa inoltre, in un’ottica professionale, la logica secondo la quale deve operare il docente, nel suo “intervenire consapevolmente nel processo per cui un soggetto si forma interiorizzando e rielaborando attivamente le forme di vita ed i significati che circolano nel contesto culturale in cui è situato, partecipando, nello stesso tempo, ai processi di trasformazione di questo stesso contesto” (p. 176). Seguendo questa logica gli interventi educativi non potranno essere troppo corrivi e indulgenti verso le tendenze informali, intuitive e senza regola, ma nemmeno irrispettosi verso l’autonomia e la creatività dell’alunno. Infatti, piuttosto che alla trasmissione di contenuti, mireranno al loro ordinamento in strutture cognitive significative, seguendo ideali regolativi più che regole prefissate da saperi già strutturati. “Per la didattica, il problema è come accompagnare e sostenere il processo per cui la conoscenza formale disciplinare possa svolgere l’importante funzione di strumento di mediazione simbolica al servizio dello sviluppo e non dell’erudizione fine a se stessa. Non si tratta di rinnegare la conoscenza formale, si tratta di renderla meno separata da quella vitale e di contestualizzarla” (p. 176-7).

Ma nell’attuale situazione di radicale cambiamento, della società e della scuola, tale che nessun piano operativo appare più praticabile secondo le modalità tradizionali, che siano quelle empiriche e intuitive o siano quelle formalistiche e astratte, i problemi dei docenti sono divenuti più impellenti, e in particolare lo è quello di individuare i mezzi e perfino le conoscenze necessarie per poter ricostruire dalla base procedure, modalità, strumenti professionali. E più mobile e complesso è l’insieme delle relazioni e delle pratiche formative nella società odierna, più occorre possedere elementi di conoscenza, competenze flessibili e multiformi capacità da mettere in gioco sul piano operativo.

Ai docenti gravati da problemi di questa portata Cosentino rivolge, con questo suo studio, soprattutto la proposta di adottare un particolare orientamento teorico-pratico, che se risponde, da una parte, alle premesse teoriche del costruttivismo, dall’altra parte si fa interessante offrendo la prospettiva che l’insegnante assuma l’habitus del ricercatore, finalizzando il suo apparato concettuale teorico, come il corredo o strumentazione tecnica di cui dispone, ai momenti e alle dinamiche dell’azione educativa in un dato contesto.