6. Nel secolo XX il mythos è oggetto di studio da parte di storici delle religioni, di etnologi, di storici della letteratura, di psicologi, di psicoanalisti, di sociologi, di filosofi e i loro diversi punti di vista analitici non sono ininfluenti circa l’esito dell’indagine. 

Al di là delle differenze caratterizzanti i singoli approcci, le questioni intorno alla comprensione del mythos sono le seguenti:

·        l’origine dall’ambito razionale o dall’emotività/fantasia (=irrazionalità)

·        il legame con il linguaggio, simbolico e non

·        il riferimento all’esperienza religiosa e, più in generale, all’esperienza esistenziale

·        la finalità conoscitiva o sociale

·        la dipendenza dal rito

Per quanto riguarda le piste di ricerca più interessanti segnaliamo per la filosofia i contributi di E. Cassirer, M. Heidegger e P. Ricoeur; per lo studio del sacro B. Malinonwski e M. Eliade; per l’antropologia e la psicologia C. Geertz e J. S. Bruner; per la teologia il tema della demitizzazione di R. Bultmann e la demitologizzazione.

6. 1. E. Cassirer si muove dalla concezione dell’uomo come un animale simbolico, come un essere capace di produrre cultura che si esprime nelle forme del linguaggio, del mito, dell’arte e della religione. In questa direzione egli precisa che il simbolo è espressione di una realtà spirituale attraverso segni sensibili ovvero il simbolo non dice “altro da sé”, ma manifesta il significato stesso dell’esperienza umana del mondo in forma sensibile. Il mythos appartiene a questo orizzonte simbolico, è una forma “metaforica” di pensiero, diversa dal pensiero teoretico o argomentativo, ma di pari dignità. C’è, dunque, una logica del mythos e una logica teoretica ovvero ambedue esprimono diversamente un significato: in modo simbolico o in modo argomentato. Per questo non ha senso l’andare “oltre” il mythos perché “oltre” non c’è nulla e decifrare il mythos significa apprendere l’apparire di un significato rimanendo in quella forma simbolica in cui si manifesta.

Il percorso filosofico di Heidegger, che muove dalla domanda circa l’Essere e per questo mette in discussione tutto l’arco della storia della filosofia occidentale da Platone ai nostri giorni bollandola come “oblio dell’essere”, approda ai temi dell’arte, della poesia e del linguaggio ovvero ad un tentativo di andare oltre la comprensione “metafisica” dell’essere. In essi l’essere accade, è evento che si da a vedere, è svelamento della verità. La riflessione è suggestiva per il nostro tema perché invita a non andare “oltre” il linguaggio e la forma del mythos, ma a vedere in esso l’ostensione e il senso dell’Essere.

Per Ricoeur il mythos è la proposta di un senso circa l’enigma dell’esistenza che viene espresso in modo narrativo. La cultura è quell’insieme di oggettivazioni di senso (i simboli) circa l’esistenza che si offrono all’uomo perché vengano interpretate attraverso un laborioso esercizio ermeneutico. Nel mythos c’è la vita umana interpretata e manifestata attraverso un racconto ed esso non rimanda a nient’altro, non è allegoria di nulla, ma asserzione di significato che deve essere svelata nel procedere ermeneutico ovvero nella restaurazione dialettica del senso fra archeologia e teleologia.

6. 2. Per B. Malinowski il valore e la funzione del mythos risiedono nella legittimazione ovvero nella giustificazione della realtà attuale. Di fronte alle difficoltà e alle contraddizioni dell’esistenza, il mythos ne propone una giustificazione in riferimento al primordiale, all’originario e svolge la funzione di rinsaldare la coesione sociale dell’ordine costituito. Esso non è legato né alla religione né alla filosofia, ma al rafforzamento legittimante l’ordine tradizionale delle istituzioni e del costume: afferma e giustifica la società.

Per M. Eliade il mythos esprime plasticamente e drammaticamente ciò che la metafisica e la teologia definiscono dialetticamente. Esso

·        non è semplicemente frutto di fantasia o sinonimo di favolistica, ma espressione intuitiva della forma della realtà: il mythos non è una favola, ma un “simbolo in azione”;

·        ha per oggetto la realtà e la storia profonda dell’uomo, verso la quale il nostro linguaggio tende con un’approssimazione asintotica e mai pienamente adeguata;

·        non è antireligioso, ma esprime la realtà del divino a seconda dell’ambiente in cui viene utilizzato;

·        non è anti-storico o a-storico, ma una “forma sapienziale” di leggere la storia.

Il mythos, quindi, è autentico accesso alla verità e per questo è “modello esemplare” che fonda la realtà stessa.

6. 3. C. Geertz per l’antropologia e J. S. Bruner per la psicologia testimoniano una spiccata attenzione ermeneutica circa il senso proposto dalle narrazioni mitiche e non. Esse sono da comprendere come produzioni di significati che danno senso alla vita umana in un contesto narrativo di negoziazione sociale. Le narrazioni individuali e collettive, istruite e modellate dalla cultura di appartenenza, si misurano con detta cultura, la criticano, vi si adeguano e la trasformano. Se l’evento narrativo implica la produzione e la testimonianza di un significato circa l’esistente e l’esistenza, anche la narrazione mitica ha qualcosa da dire: non è più solo un involucro di un sapere che afferma “altro da sé” (la natura, la storia, la società…), ma la testimonianza di un senso da parte di un soggetto, individuale o collettivo, a riguardo di se stesso, degli altri del mondo. La ricerca di Bruner, in particolare, ha sottolineato come la mente umana utilizzi la modalità narrativa e quella logico-scientifica e ambedue hanno pari dignità.

6. 4.   L’intento di Bultmann è quello della lettura esistenziale del mythos biblico ovvero la demitizzazione deve andare oltre la forma primitiva e prescientifica di rappresentare l’esistenza per cogliere l’interpretazione esistenziale stessa che interpella anche oggi l’uomo moderno e scientifico. Se da una parte Bultmann evidenzia la preoccupazione di enucleare “l’appello all’esistenza” che offre il mythos  biblico, dall’altra parte egli svuota e svaluta il mythos ritenendolo una forma primitiva di rappresentazione, un dire “altro da sé” e ignora gli studi che sottolineano il carattere “primordiale “ e “fondante” del mythos. Il tentativo di demitologizzare e non di demitizzare il mythos biblico è proposto da McKenzie, che fa esplicito riferimento a Cassirer, e da Pannenberg che invece si rifà a Malinowski e Eliade.  La demitologizzazione  del messaggio biblico si propone di apprezzare e di rimanere nell’evento linguistico mitologico, di riconoscere il debito ineluttabile che il poeta paga al suo tempo (egli, comunque, appartiene ad un orizzonte storico di sapere che è invalicabile) e di puntualizzare l’intenzionalità antropologica e teologica (non storica, naturale, scientifica, cosmologica…) del mythos come quello spazio originario e fondante (e perciò normativo e per sempre) dove si da a vedere una parola e un senso eterno circa l’uomo e Dio.