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Comunicazione Filosofica n. 13 aprile 2004
Emilio Russo
il contributo degli studi filosofici. prime note.
L’elaborazione della SFI sui temi legati all’insegnamento della filosofia ha conosciuto un momento significativo nel Convegno di Roma, che rappresenta, almeno nella fase attuale, un “punto di non ritorno” del contributo offerto sia agli “specialisti” sia la decisore politico, in vista della definizione degli strumenti attuativi della riforma approvata dal Parlamento con la legge 53/2003.
Sotto questo profilo, gli interventi di Armando Girotti e Mario De Pasquale riportati sulla rivista telematica dell’Associazione appaiono come una sintesi eccellente e come un repertorio convincente di ipotesi e di soluzioni che sarebbe utile operare per diffondere in modo più esteso ed incisivo nelle due direzioni indicate (gli insegnanti e il mondo politico).
Se un limite si può vedere, nel “nostro” dibattito, esso è forse costituito da un residuo di – comprensibile – autoreferenzialità. Una riflessione organica sull’insegnamento della filosofia, infatti, non può non misurarsi con le “crisi” che motivano, al di là del logoramento delle fonti normative e delle prassi risalenti al paradigma gentiliano, l’esigenza del radicale ripensamento in atto: quella della scuola e quella, più generale, della società nazionale, del suo difficile adattamento alle nuove condizioni imposte dalla globalizzazione (riflettendo, non solo, come in parte si è fatto al Congresso di Bari, sui suoi aspetti culturali) e del suo “declino” strutturale.
Una riflessione in questo senso – che incrocerebbe, inevitabilmente il tema degli obiettivi, del senso e dell’efficacia dell’attuale riforma – porterebbe allora allo scoperto, probabilmente, l’interrogazione sulla natura e sugli scopi dell’insegnamento della filosofia all’interno dell’ordinamento liceale in fieri e dei profili, quello generale e quello specifico di ogni indirizzo, ma indurrebbe al tempo stesso domande sulla qualità degli apprendimenti che è necessario garantire in funzione dell’esigenza di “alzare l’asticella” delle richieste in vista di una maggiore qualità del “prodotto finale” della scuola italiana, da tempo assuefatta ad una pratica poco esigente e, dunque, poco formativa. E, in quanto tale, epifenomeno e corresponsabile della stagnazione del sistema.
L’altro elemento che, nella riflessione in corso, appare carente mi pare rappresentato dall’insufficiente interesse per il tema della valutazione e, ancora prima, per quello della misurazione dei risultati. In un contesto che pone un’enfasi – probabilmente discutibile e comunque problematica – sulle certificazioni e financo sulle “patenti” internazionali, l’impressione che l’insegnamento della filosofia non possa articolarsi in forma modulare, che non sia possibile comparare obiettivi e risultati, che sia impedito l’accertamento delle fondamentali conoscenze proposte, delle competenze e delle abilità ai vari livelli potrebbe apparire come il residuo di una concezione di impronta neo-idealistica o come la rivendicazione, impropria, di uno status della disciplina di insegnamento che troppo si identificherebbe con il carattere avalutativo delle posizioni presenti nel dibattito filosofico.
Ciò rilevato – e come contributo al dibattito sugli esiti del Convegno – propongo di seguito alcune “tesi”, come tali prive della necessaria argomentazione e organicità, che ho posto a premessa dell’ipotesi da me formulata per l’elaborazione dei nuovi Obiettivi specifici di apprendimento della filosofia nell’ambito del nuovo ordinamento liceale.
Premessa generale
1. Il carattere non conclusivo e non-specialistico della formazione liceale, intesa come un segmento del processo formativo nella logica della “formazione continua”, impone di accedere ad una visione di tipo modulare del ciclo liceale, privilegiando i raccordi con il ciclo primario e con l’istruzione superiore e ripristinando una corrispondenza tra il corso di studi seguito e le scelte successive (ad esempio attraverso la richiesta di crediti specifici per l’accesso alle diverse facoltà universitarie).
2. La consapevolezza della natura della scuola come percorso formativo sistematico e programmato richiede l’abbandono della pretesa di ricapitolare all’interno dell’insegnamento liceale l’intera struttura dei saperi nella loro forma accademica, ponendo in primo piano il tema del loro utilizzo nell’ambito delle finalità generali della scuola ed in quelle peculiari di ogni indirizzo.
3. Il superamento della visione deterministica degli effetti dell’offerta (insegnamenti) tale per cui “il prodotto finale” del processo formativo deriva automaticamente dal mosaico degli insegnamenti disciplinari proposti – ciascuno con i propri “programmi – comporta la scelta di utilizzare i saperi in funzione di un percorso formativo deliberatamente e specificamente orientato alle diverse dimensioni dell’impegno educativo (consapevolezza di sé, educazione alla cittadinanza, costruzione delle condizioni di base per l’accesso agli studi superiori e funzione pre-professionalizzante della scuola).
4. L’accertata improduttività di una impostazione del curricolo basta su una visione enciclopedica e disintegrata dei saperi postula un’impostazione che realizzi un mix equilibrato di conoscenze, competenze e abilità, definite a livello generale.
Premesse specifiche
1. La tradizione filosofica rappresenta una delle specificità della tradizione culturale dell’Occidente e della cultura nazionale, e dunque, uno degli aspetti fondanti dell’identità che la scuola è chiamata a far vivere in forma dinamica.
2. Il ruolo della filosofia è organico al progetto formativo del liceo e ne costituisce una delle caratteristiche salienti, sia in quanto rappresenta uno dei tratti dell’asse umanistico attorno al quale si è storicamente definito il progetto della “scuola” liceale sia per la sua valenza formativa di carattere generale, sia, infine, per la sua capacità di interagire criticamente con i diversi ambiti disciplinari (in particolare, con quello scientifico e con quello artistico).
3. L’insegnamento-apprendimento della filosofia, nella forma che essa è venuta assumendo nel corso dei secoli, ha la possibilità di articolarsi in un quadro di finalità generali e di obiettivi specifici collegati alle varie tipologie del corso di studi liceale, superando l’attuale univocità di interpretazione della tradizione filosofica ma contrastando, nel contempo, la sua diluizione esclusiva negli ambiti delle applicazioni (delle “filosofie seconde”).
4. L’inserimento della filosofia nei curricoli liceali non può sopportare il rischio di una banalizzazione e di uno snaturamento delle sue caratteristiche “scientifiche”, riducendosi a volgarizzazioni sommarie o ai contenuti di una disciplina genericamente “formativa” – come surrogato dell’educazione civica e/o della religione - , proposta in forma anticipata (nel corso del biennio iniziale) o all’interno di indirizzi al cui asse fondamentale risulti estranea.
I termini del dibattito
a) Come si traduce la complessità epistemologica della filosofia (nella sua struttura accademica) all’interno del progetto formativo, delle finalità, della scuola?
b) E’ possibile riproporre l’identificazione della filosofia con la storia della filosofia?
c) E’ sostenibile l’abbinamento dell’insegnamento della filosofia con quello della storia?
d) Quale equilibrio può essere previsto, nell’insegnamento della filosofia, tra conoscenze essenziali (e come si giustifica la loro selezione), competenze specifiche e contributo alle competenze generali (nel campo logico-espressivo) e finalità formative generali?
e) Come può strutturarsi il curricolo rispetto al necessario contemperamento delle esigenze di garantire livelli omogenei nelle competenze e nelle conoscenze essenziali, di fornire risposta agli stimoli localizzati, di aderire alle specificità dei percorsi formativi dei diversi indirizzi e dei singoli alunni, di rispettare la libertà di insegnamento e il pluralismo culturale e metodologico dei docenti?
Alcuni tentativi di risposta
1. La definizione della filosofia coincide – come ha spiegato Hegel – con il suo stesso contenuto. L’insegnamento della filosofia non sopporta perciò di essere ricondotto ad altre dimensioni che non siano quelle in cui, storicamente, si è venuto a formare il repertorio di domande e di risposte, di schemi argomentativi, di linguaggi che l’hanno finora caratterizzata all’interno della tradizione dell’Occidente (della cui coscienza costituisce uno dei tratti fondanti). In questo senso, ad esempio, la filosofia non tollera di essere inserita nell’ambito delle “scienze umane”, a cui sono estranei gli scopi puramente speculativi che, secondo suo atto istitutivo (la Metafisica di Aristotele) ne costituisce l’essenza.
La fondamentale motivazione della sua presenza all’interno del curricolo è quella di contribuire alla formazione di un “profilo in uscita” nel quale siano presenti la consapevolezza fondamentale della specificità dell’ambito filosofico, il possesso e l’esercizio di adeguate chiavi di lettura in grado di accedere al suo repertorio, la conoscenza delle tappe essenziali del percorso che ha costituito il sapere filosofico, la capacità di cogliere la complessità dei problemi (generali e specifici degli ambiti propri della “specializzazione” del corso di studi) affrontati dalla filosofia e di utilizzarne gli strumenti (linguaggi, grammatiche, soluzioni prospettate nel tempo) per affrontarli adeguatamente. Come ha scritto Michel Dummet, “Ciò che ha dato alla filosofia la sua unità storica, ciò che l’ha caratterizzata come un’unica disciplina attraverso i secoli, è la gamma di questioni che i filosofi hanno tentato di risolvere: ci sono state relativamente poche variazioni su che cosa si riconosca come un problema filosofico” (M. Dummet, La verità e altri enigmi, Milano 1986, p. 66).
Rimanere fedeli allo statuto epistemologico della filosofia e sfruttarne le grandi potenzialità formative significa, allora, saper intrecciare convenientemente la conoscenza ordinata del suo sviluppo e l’utilizzo dei suoi “materiali”. Ma significa anche traguardare in modo più chiaro i contenuti alle finalità e agli obiettivi. In questo senso, cessando di dare per scontato l’effetto formativo della disciplina, sembra necessario rovesciare il rapporto tra la conoscenza della storia e la pratica della filosofia. La prima assume così un carattere strumentale rispetto alla seconda, mentre il tratto d’unione delle due dimensioni è dato dall’accostamento dei testi. Scrive Thomas Nagel: “Il nucleo della filosofia sta in certe questioni che lo spirito riflessivo umano trova naturalmente sconcertanti, e il modo migliore per cominciare lo studio della filosofia è pensarci sopra direttamente” (T. Nagel, Una brevissima introduzione alla filosofia, Milano 2002, p. 6).
La selezione dei problemi, dei testi, degli autori sarà allora, rispetto agli scopi formativi della scuola, orientata dall’esigenza di favorire una migliore consapevolezza di sé, formare all’esercizio della cittadinanza responsabile, approfondire le questioni emergenti dalla riflessione sulle discipline e sui temi oggetto di studio, all’interno dei campi disciplinari che caratterizzano l’asse formativo dei diversi indirizzi.
2. Al di là degli aspetti di natura pedagogico-didattica, il rapporto tra filosofia e storia della filosofia merita di essere rivisitato anche per ragioni di carattere culturale. L’identificazione dei due termini, come è noto, è oggetto da tempo, in Italia, di un vivace dibattito. E’ bene specificare: “in Italia”, ed è altrettanto utile precisare che esso riguarda la trasmissione della tradizione filosofica nelle scuole, giacché negli altri Paesi le soluzioni adottate hanno da tempo escluso la corrispondenza tra filosofia e storia della filosofia e che, in ambito universitario, gli insegnamenti di storia della filosofia sono diventati sempre più insegnamenti di carattere specialistico, mentre si è andato rafforzando il campo degli studi teoretici e pratici e quello delle varie “filosofie” (della storia, della religione, del diritto, della scienza, della politica ecc.). Un tale dibattito, occorre aggiungere, segna anche, almeno in parte, la linea di demarcazione tra i filosofi di orientamento analitico (che per lo più si richiamano alla filosofia anglosassone) e i “continentali” (più legati alla tradizione razionalistica).
La difficoltà di operare la necessaria innovazione, nel nostro Paese, nasce dalla forte organicità dei presupposti teorici – risalenti a G. Gentile – che hanno ispirato i programmi vigenti e che sono stati la bussola della pratica didattica (oltre che della cultura degli insegnanti) per ottant’anni. Non si possono tuttavia sottovalutare, nelle resistenze a sperimentare nuove strade, le difficoltà di individuare alternative valide e riconosciute sia sul piano culturale sia, soprattutto, su quello della didattica. L’ipotesi della c.d. “sperimentazione Brocca”, ad esempio, fortemente concentrata sulla lettura dei testi e sulla selezione drastica degli autori (ma ancora all’interno di un asse storico), si è rivelata piuttosto macchinosa e poco produttiva.
Resta il fatto. tuttavia, che, nel dibattito attuale – ed è così da decenni – i presupposti di tipo idealistico e storicista propri dell’impostazione gentiliana trovano ben pochi sostenitori. Di essi, si deve tuttavia salvare almeno l’intuizione fondamentale: quella secondo cui, come si è accennato, il nucleo della filosofia rimane il medesimo, pure nella variazione delle risposte offerte ai problemi che la costituiscono, mentre appare del tutto astratta e insostenibile l’idea che nell’evoluzione della filosofia sia possibile selezionare un percorso dotato di senso e che esso sia lo specifico della filosofia, identificata per altro con la sua storia.
Con ciò, non si propone di abbandonare l’idea che la filosofia possieda una propria “storia”: in termini diversi da quelli, ideologici, proposti da Gentile, si può anzi dire che davvero la filosofia coincide con il suo percorso, almeno in quanto il suo repertorio di idee, termini, stili argomentativi ecc. è quello venutosi a determinare nel corso dei secoli nel dibattito tra i filosofi.
Esiste dunque un patrimonio – quello della filosofia, o, se si preferisce, quello emerso dalla storia della filosofia – che costituisce il proprium della disciplina, il campo entro cui la filosofia si è esercitata e si esercita. Nella definizione del profilo in uscita sarebbe perciò utile prevedere – al di là delle diverse metodologie adottate, che possono svilupparsi entro un range di soluzioni che realizzino un grado più o meno ampio di inquadramento storico della materia – la presenza di vaste e precise competenze nel ricorso agli strumenti logici e concettuali della disciplina maturate in rapporto con la tradizione della filosofia e in modo tale da implicare il rapporto con i suoi episodi salienti, al di fuori però di una rigida segmentazione in periodi (che risponde alla lettura hegeliana della storia della filosofia) e alla pretesa di attribuire alla loro successione un significato filosofico.
3. Anche l’identificazione della filosofia (o della sua storia) con la storia (civile) rappresenta un lascito della impostazione neo-idealista di cui oggi si stenta condividere, o addirittura a comprendere, il senso. Pur prescindendo dal fare riferimento alle implicazioni proprie del dibattito su storia e storiografia che ha attraversato una buona parte del XX secolo, occorre osservare come la tesi che vede la storia come “storia dello spirito”, ovvero il processo di civilizzazione come riassunto nella consapevolezza dei filosofi, non corrisponde alla coscienza contemporanea, né è condivisa dai docenti a cui è attualmente affidato l’insegnamento delle due discipline.
L’abbinamento di storia e filosofia appare dunque come un anacronismo difficilmente sostenibile e come un aspetto su cui la ristrutturazione del ciclo secondario dovrebbe intervenire. In questo senso, sarebbe auspicabile che all’insegnamento storico venisse abbinato l’insegnamento della geografia (in particolare della geografia “politica”) come momento di ricognizione di tipo orizzontale che esplori i processi di formazione del mondo contemporaneo sia in chiave storica sia nella dimensione della contemporaneità.
Alla filosofia, invece, andrebbe restituita la propria specificità e il proprio carattere di disciplina critica, al di fuori di qualsiasi impostazione di tipo ideologico. Va detto che se, fino ad oggi, l’abbinamento tra le due discipline ha retto, è perché la forza di inerzia della cultura gentiliana e la sua pervasività nella coscienza di insegnanti a loro volta formati entro tale cornice si sono integrate con un pregiudizio storicista presente anche in altre aree culturali (in particolare quella marxista), inclini a considerare la filosofia come una forma di (falsa) coscienza, come l’espressione mediata del quadro storico delle diverse epoche.
4. L’impostazione proposta al punto precedente consente all’insegnamento della filosofia di tendere contemporaneamente a garantire il possesso delle conoscenze ritenute essenziali, la maturazione di competenze specifiche, nonché il contributo della disciplina alla maturazione di competenze generali (in particolare nel campo logico-espressivo) e al perseguimento delle finalità formative del corso di studi.
Mette conto di porre l’accento sulla necessità che, in ogni caso, sia salvaguardato il possesso di un tessuto comune di conoscenze. Al di là del valore strumentale che esse assumono nella costruzione di competenze e di abilità (specifiche e generali), la condivisione di un quadro di conoscenze comuni rappresenta un forte elemento dell’identità culturale che la scuola ha il compito di preservare e aggiornare, oltre che di riconoscimento reciproco tra i soggetti che si candidano a costituire una parte della classe dirigente del Paese.
Il profilo in uscita dovrebbe contenere (con un ordine logico e di priorità inverso) le indicazioni specifiche, sia pure nell’ambito della necessaria flessibilità, in modo tale da garantire l’apporto del curricolo locale e gli spazi di libertà di insegnamento dei docenti. La risultante dovrebbe essere costituita dal Piano dell’offerta formativa dell’Istituto, il quale dovrebbe obbligatoriamente contenere la specificazione del curricolo sulla base degli elementi costitutivi (lo schema nazionale, articolato attraverso l’integrazione locale, la programmazione individuale dei docenti, il quadro degli indirizzi dell’Istituzione scolastica).
5. La definizione del profilo in uscita deve operare il contemperamento delle esigenze di garantire livelli omogenei nelle competenze e nelle conoscenze essenziali, di fornire risposta agli stimoli localizzati, di aderire alle specificità dei percorsi formativi dei diversi indirizzi e dei singoli alunni, di rispettare la libertà di insegnamento e il pluralismo culturale e metodologico dei docenti. Per questo, esso deve essere al tempo stesso limitato negli aspetti prescrittivi e preciso nelle indicazioni vincolanti.
Accanto alla flessibilità, il principio che deve presidiare le azioni proprie del livello centrale – di indirizzo, coordinamento e verifica – è quello della responsabilità. Essa va affermata ad ogni livello: da quello degli utenti del servizio a quello dei docenti, da quello dei dirigenti a quello dell’Amministrazione. La realizzazione operativa di tale principio richiede, ad esempio, che la natura e la struttura dei Piani dell’offerta formativa vengano precisate con legge e che il sistema sia in grado di gestire costantemente un flusso di informazioni sull’articolazione dei profili a livello di ogni Istituzione scolastica e sull’effettivo conseguimento degli standard fissati. Per questo, appare assolutamente indispensabile, tra l’altro, che il sistema si doti di un data base e di un corpo ispettivo in grado soprattutto di operare il coordinamento e di gestire la comunicazione tra i vari livelli, che si ridefinisca l’ordinamento degli Esami conclusivi in modo tale da rilevare la qualità delle prestazioni dei candidati in termini oggettivi ed omogenei, che l’attività di monitoraggio e di valutazione affidata all’INVALSI si sostanzi rapidamente in atti concreti e si articoli dal punto di vista dei diversi campi disciplinari, che alla valutazione sia collegato un sistema di sanzioni (incentivi, diffusione dei risultati e delle esperienze e penalità) sia a livello di unità scolastica che a livello individuale.