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Comunicazione Filosofica n. 12 giugno 2003

 

STORICITà E CENTRALITà DEL TESTO NEI NUOVI PROGRAMMI DI FILOSOFIA

 

di Domenico Massaro

 

Premessa

 

La pubblicazione presso Le Monnier del testo dei programmi di filosofia (unitariamente ai programmi delle altre materie elaborati della commissione Brocca) segna una svolta di notevole rilievo nel lungo dibattito sull’insegnamento della filosofia in Italia. È il primo documento che affronta in modo organico tutti i nodi, sia contenutistici che metodologici, del problema. Esso dovrà, auspicabilmente, stimolare un’ampia riflessione in ambiente sia scolastico che universitario, per gli inevitabili riflessi che avrà sulla ricerca didattica e scientifica e sull’editoria. Perché nel momento in cui la scuola si avvia a sperimentare in modo rigoroso ed istituzionale un progetto innovativo sia nei contenuti che nelle strategie metodologiche deve essere sostenuta dalla ricerca filosofia a livello universitario, oltre che dalle altre agenzie formative.

Il presente intervento vuole essere un contributo in tal senso, e si propone due obiettivi in particolare:

1)    Dare una chiave di interpretazione del testo dei programmi nell’ambito del progetto complessivo della nuova secondaria.

2)    Illustrare con qualche significativa esemplificazione i nodi problematici in vista della traduzione didattica.

 

 

1.    Il senso del progetto

 

La ridefinizione degli indirizzi della secondaria superiore risponde all’esigenza di rapportare la cultura scolastica al livello delle sfide rappresentate dalla realtà complessa dell’oggi, segnata dal ritmo veloce delle trasformazioni tecnologiche, dalla più rapida obsolescenza cui

sono esposte le conoscenze e le competenze professionali e dal mutato quadro delle discipline. La risposta alle sfide suddette ha puntato ad investire particolarmente sul “capitale umano”, con una proposta formativa qualificata (ma non necessariamente più difficile) per tutti. nella convinzione che la sfida della contemporaneità non si vince rincorrendo le specializzazioni ed i frammenti conoscitivi singolarmente presi, quanto puntando a rinnovare, aggiornare i contenuti ed i metodi in un’ottica prospettica, che sappia discernere l’effimero e le mode dalla direzione più profonda dello sviluppo.

 

2.    L’impianto generale

 

Scaturisce da ciò l’esigenza (e la scommessa) della presenza della

filosofia in tutti gli indirizzi rinnovati. E tale pensiero è bene espresso nel testo dei programmi di Filosofia ove tra le finalità assegnate alla suddetta disciplina compare quella di «sviluppare la capacità di pensare per modelli diversi e di individuare alternative possibili, anche in rapporto alla richiesta di flessibilità “nel pensare” che nasce dalla rapidità delle attuali trasformazioni scientifiche e tecnologiche». In particolare la capacità di pensare per modelli diversi significa: sapere cogliere la logica interna dei differenti sistemi di pensiero, sia dal punto di vista delle regole e delle procedure argomentative che da quello delle idee e dei contenuti storicamente connotati.

Si tratta di una finalità che risponde alla caratteristica della filosofia come disciplina di confine che porta la sua riflessione sulle diverse forme del sapere e che si sforza sempre di esplicitare le questioni di senso. Ed è perciò che essa risponde all’altra grande finalità espressa nel terzo capoverso con le seguenti parole:

 

L’insegnamento della filosofia contribuire alla formazione di soggetti consapevoli della loro autonomia e del loro situarsi in una pluralità di rapporti naturali ed umani; tende a promuovere una nuova responsabilità verso se stessi, la natura e la società, valorizzando l’esperienza vissuta ed esalta l’apertura interpersonale, che rende relativi i punti di vista individuali e produce una feconda e tollerante conversazione umana.

 

La sfida della complessità è così accolta e ricondotta alla dimensione dialogica ed umana, nella consapevolezza “postmoderna” della relatività della razionalità e del nuovo modo di rapportarsi alla natura e alla storia. Ma, nel permanente riferimento a quella razionalità per cui, come ha scritto T. Maldonado, « dire è sovente contraddire, pensare è sovente pensare contro »; ed inoltre: « occorre ammettere che la razionalità ha di fatto questo doppio carattere, un mezzo - è vero - di strutturazione e di legittimazione del potere, ma anche un mezzo di emancipazione » (C. GALLI, a cura di, Logiche e crisi della modernità, Bologna 1991, Il Mulino, p. 19).

 

 

3.    Le scelte di fondo

 

A) Tagli e curvature

Innanzitutto va detto che la Commissione che ha elaborato i programmi ha dovuto risolvere preliminarmente alcuni problemi e fare delle scelte di campo.

Il primo problema era determinato dal fatto che l’insegnamento della filosofia veniva proposto, congruentemente al progetto complessivo della riforma, per tutti gli indirizzi della secondaria superiore, ma con un quadro orario molto differenziato: infatti, mentre nei licei dell’ambito umanistico e scientifico (classico, linguistico, socio-psicopedagogico, scientifico e scientifico-tecnologico) l’orario settimanale non si discosta molto dall’attuale, nell’ambito dei tecnologici e dei due indirizzi economici la filosofia compare con due ore rispettivamente nei due anni conclusivi. La soluzione adottata punta sulla qualità, con ampi tagli (inevitabili) nei contenuti, secondo il seguente schema: a) unitarietà dell’impianto per tutti i nuovi curricoli, espressa con la proposta delle medesime finalità-indicazioni metodologiche e dei medesimi obiettivi per tutti (trasversalità delle competenze); b) articolazione e differenziazione dei contenuti.

Tale differenziazione è minima (semplici “curvature” rispondenti al quadro epistemico dell’indirizzo) nei curricoli del settore umanistico e scientifico (compreso il nuovo indirizzo scientifico-tecnologico), è più significativa negli ambiti tecnologici ed economici ove, ad una superficiale galoppata attraverso i secoli, si è preferito un “taglio” inedito ed interessante, facendo iniziare il programma dall’età moderna, in cui la riflessione filosofica ha fatto i conti con la rivoluzione scientifica. Ma recuperando il pensiero antico, almeno attraverso quelle tematiche ancora presenti nella filosofia moderna anche se come contrapposte al nuovo spirito scientifico.

Le tematiche proposte per i suddetti indirizzi vengono pertanto ricondotte a due quadri fondamentali: a) Il quadro cognitivo-epistemico (“La rivoluzione scientifica: modelli di razionalità antichi e moderni a confronto” - I anno -; “La II rivoluzione scientifica: modelli di razionalità moderni e contemporanei a confronto” - II anno ); b) il quadro etico-politico (“Aspetti etico-politici della modernità: tradizione ed innovazione” - I anno; “Scienza, tecnica e responsabilità etico-politiche” - II anno).

 

B) L’impianto storico-critico problematico

L’altra opzione di fondo concerne l’impianto metodologico generale di tutti i curricoli. Superando tutte le discussioni su cui s”era attardato stancamente il dibattito in Italia, metodo storico o problematico, il testo dei nuovi programmi propone un interessante approccio “storico-critico-problematico”, che individua i “nodi” fondamentali della tradizione filosofica, li inserisce nell’alveo ben temporale proprio, e propone di affrontarli a partire dalla  lettura delle pagine dei filosofi.

L’approccio tradizionale, specie nella versione De Vecchi (1936), era realmente una “filastrocca di opinioni” che spesso sortiva esiti scettici nei giovani, condotti a ritenere che aveva ragione sempre il filosofo che veniva per ultimo; l’approccio per “problemi” - di tanto in tanto proposto anche da noi - aveva il grave svantaggio dell’astrazione del problema (l’etica, la logica, la metafisica, etc.) dal contesto storico. In realtà un problema dell’etica, ad esempio, non è mai esistito, se non nell’ambito di una più complessiva visione del mondo.

D”altronde, è illusorio credere di poter svolgere a scuola l’intera storia della filosofia, non solo per motivi di tempo o di opportunità, ma anche perché ciò contrasta con la necessità della lettura delle opere dei filosofi stessi, e per il fatto che alcuni temi ed autori (specie nell’antichità) sono raggiungibili solo passando per altri filosofi «nodali”: certamente Platone ed Aristotele, ad esempio, sono punto di confluenza rispetto alle filosofie precedenti e di partenza per altri percorsi di pensiero: ad esempio, nel Medioevo e fino alle soglie dell’età moderna, nell’incontro con le religioni bibliche.

La soluzione adottata propone di ancorare i contenuti ai punti nodali, rappresentati da filosofi “oggettivamente” rilevanti per la tradizione filosofica, ed ai “nuclei tematici” che contengono le seguenti tipologie:

 

a) Un pensatore, anche non specificamente filosofo (ad es. Agostino d’Ippona, Darwin, Freud), che permette la progettazione di diversi percorsi testuali;

b) Tematiche di ampio respiro che consentono la costruzione di percorsi anche a carattere pluridisciplinare e che rappresentano comunque una svolta nel pensiero (così, ad esempio, la rivoluzione scientifica nell’età moderna) o, altre volte, percorsi tematici riferibili alla storia della cultura (ad es.: “l’analisi delle passioni”; “libertà e potere nel pensiero moderno”; “le origini delle scienze sociali da Hume a Montesquieu, a Smith, a Tocqueville”; o ad es. nel Novecento: “La filosofia e le scienze umane”; “Sociologia, scienza politica e teorie del diritto”; “La nuova filosofia politica, la scuola di Francoforte, Carl Schmitt, S. Weil, H. Arendt, il neocontrattualismo”).

 

C) La centralità dei testi filosofici

 

La centralità dei testi dei filosofi, nel laboratorio delle pratica didattica quotidiana, costituisce la vera novità di questi programmi. Infatti, in calce alla sezione contenutistica dei programmi è scritto:

tutti gli argomenti dovranno essere affrontati a partire dalla lettura dei testi, secondo una scelta calibrata per ampiezza, praticabilità e leggibilità. Non si potrà, ovviamente, prescindere da un inquadramento storico degli argomenti e dalla ricostruzione dei nessi che li collegano.

 

Ove è evidente la preoccupazione per una scelta di “leggibilità” dei testi, in rapporto al quadro epistemico dell’indirizzo ed, in particolare, alle competenze testuali degli studenti. E rispetto alla scelta dei testi (oltre che delle tematiche) l’insegnante nella sua programmazione preventiva dovrà “coinvolgere gli studenti” (vedi le “Indicazioni Metodologiche”). Dalla lettura delle quattro sezioni dei Programmi (finalità, obiettivi, contenuti, indicazioni metodologiche) risulta che il docente dovrà procedere per tempo (all’atto della scelta dei libri da adottare) a definire una prima ipotesi di programmazione. Le sue scelte dovranno muovere, oltre che dall’analisi dei prerequisiti cognitivi degli studenti, dalla praticabilità delle letture, dovendo affrontare ogni argomento partendo dalle pagine dei filosofi. La didattica deve, in altri termini, mediare il rapporto tra i testi ed “il mondo culturale giovanile, caratterizzato dalla forte presenza dei linguaggi non verbali” (v.: Le indicazioni metodologiche). Questo presuppone un graduale e motivante approccio ai testi, sia specificamente filosofici che di rilevanza filosofica per la presenza in essi di riflessioni scientifiche, etiche o politiche (specie nel Novecento).

Gli obiettivi che si propongono nella lettura dei testi sono indicati nella sezione delle  “Indicazioni metodologiche” ove si dice che

 

le scelte metodologiche rispondono alla convinzione che l’insegnamento della filosofia [...] sia da intendersi come educazione alla ricerca, non trasmissione di un sapere compiuto ma acquisizione di un abito di riflessione e di una capacità do dialogare con gli autori, che costituiscono la viva testimonianza della ricerca in fieri.

 

La sezione II dei Programmi individua operativamente gli obiettivi da proporsi attraverso la lettura dei testi che, comunque, è finalizzata alla comprensione dei “termini e degli interlocutori essenziali del confronto delle idee” (Ind. metodologiche).

In particolare, quali testi scegliere?

 

1) Testi di filosofi e testi di prevalente rilevanza filosofica, questi ultimi        specie per il Novecento ove a volte la linea di distinzione suddetta è molto tenue od inesistente. Si pensi ad esempio alle ricerche di confine tra logica, matematica e linguaggio; o tra etica, economia e politica (una grande pensatrice del 900, Hannah Arendt, si definisce “studiosa di teoria politica” pur avendo prodotto una vasta opera che è centrale nel pensiero filosofico contemporaneo).

2) Nella programmazione annuale dovranno essere scelti testi di diversa tipologia e di differenti registri linguistici, dal dialogo al trattato scientifico all’autobiografia alla storiografia. Tale esigenza nasce da un duplice obiettivo da perseguire:

- obiettivo contenutistico: affrontare contenuti differenziati, di tipo sia logico che ontologico che etico e politico. Consapevoli, comunque, che non è possibile conoscere tutti i contenuti attraverso le pagine dei filosofi, e che, pertanto, sarà sempre necessario rivolgersi a strumenti sintetici (manuali, dizionari, schede, monografia) per ricondurre ciò che si legge direttamente al quadro complessivo del filosofo o delle correnti filosofiche;

- obiettivo di competenza: i diversi generi filosofici non solo trattano differenti contenuti, ma sono da intendersi come contesti operativi che mettono in campo procedure logiche specifiche e strategie espositive funzionali agli scopi della comunicazione ed all’uditorio. Cosi, ad esempio, come hanno messo in evidenza C. Perelman e L.Olbrechts-Tyteca (in Trattato dell’argomentazione, Torino 1939, Einaudi), il campo dell’argomentazione, in quanto si riferisce al “verosimile ed al probabile”, è tipico delle scienze umane e tende alla persuasione; mentre il ragionamento “more geometrico” si riscontra nei trattati scientifici. Ma, ad integrazione del discorso di Perelman, si deve osservare che nei testi filosofici si possono ritrovare sia procedure deduttive che argomentative: la pluridiscorsività dell’universo filosofico avvicina i testi filosofici a quella pluralità di stili che M. Bachtin attribuisce al romanzo.

L’indicazione di affrontare testi di varia tipologia, inserita com’è nel contesto degli obiettivi, vuole significare che alla lettura delle opere si assegna un compito non solo conoscitivo, ma anche operativo e produttivo di abilità logiche.

E, sempre tra gli obiettivi, compare il tema della scrittura in filosofia: “riassumere, in forma sia orale sia scritta, le tesi fondamentali” dell’opera che si legge. È un’indicazione di grande rilievo, in quanto si intende sottrarre la scrittura alla verifica dell’errore (pratica diffusa nel tema tradizionale, e spesso demotivante), individuandola, invece, come procedura in qualche modo conseguente alla pratica testuale. Leggere pagine significative del pensiero antico, moderno e contemporaneo, ricostruire le differenti strategie discorsivi, valutare la qualità di un’argomentazione sulla base di criteri di coerenza e di efficacia rispetto allo scopo, ricondurre le tesi individuate nel testo al pensiero complessivo dell’autore, individuare i rapporti del testo studiato sia col contesto storico che con la tradizione filosofica: dal complesso di queste operazioni sul testo, dovrebbe in qualche modo scaturire una competenza di scrittura più motivante, la parafrasi - ad esempio o la relazione o la recensione di libri (anche in vista della comunicazione ad un uditorio ristretto quale la classe).

 

D) Il Novecento

 

La persuasione di dover riservare un adeguato spazio al Novecento, anche in relazione all’obiettivo di “individuare e comprendere problemi significativi della realtà contemporanea, cogliendone la complessità”, ha determinato una redistribuzione degli argomenti lungo tutto il triennio. A tal proposito si osserva:

- Anche i programmi di Storia e di Letteratura italiana prevedono di dedicare l’ultimo anno del triennio in prevalenza al Novecento.

- La parte riservata alle scelte di programmazione dei docenti è decisamente più ampia nel terzo anno, come più articolate sono le proposte tematiche ed il ventaglio degli autori.

- Più evidenti sono anche le «curvature», per rispondere alla fisionomia del quadro epistemico dei singoli indirizzi. Si ritiene, infatti, giusto ipotizzare che - specie a fine ciclo, quando il percorso disciplinare volge a compimento ed in vista della costruzione di un’area di progetto frutto dell’apporto di conoscenze e di competenze pluridisciplinari - la programmazione dell’ultimo anno promuova la riflessione sulle diverse forme e condizioni del sapere e ponga in questa ottica le problematiche di “senso” che sono tipiche della filosofia. Pertanto, il programma dell’indirizzo socio-psico-pedagogico propone la riflessione sugli sviluppi della sociologia, della psicologia e delle scienze dell’educazione; ma anche il confronto interculturale e la psicoanalisi, da Freud a Jung a Melanie Klein. Mentre per gli indirizzi scientifico e scientifico-tecnologico si propongono riflessioni sulle nuove tecnologie, sull’intelligenza artificiale, sulla dimensione planetaria dei problemi dell’uomo, nell’intersezione tra scienza, tecnica, economia, etica e politica. E nei tecnologici ed economici, oltre alla problematico epistemologica, assumono rilievo le questioni della “crescita economica e valori etico-politici”, della “innovazione, sviluppo e compatibilità ambientale”, delle “tecnologie biologiche ed etica”.

- In questa ottica viene proposta un’ampia scelta di autori, anche di pensatrici, sia nel versante filosofico in senso stretto che nel versante della riflessione di confine tra più saperi (Nietzsche, Bergson, Croce, Husserl, etc.; ma anche Einstein, Russell, Popper, Kuhn, H. Arendt, H. Jonas, Aron, Bachelard, Gadamer, Keynes, Schumpeter, A. Sen (indirizzi Tecnologici ed Economici).

 

 

4.         I contenuti

Nel mentre la proposta concernente le finalità, gli obiettivi e le indicazioni metodologiche costituisce la parte vincolante per tutti gli indirizzi e per tutte le realtà, in quanto si ritiene necessario far maturare, sia pure a livelli differenziati, in tutti gli alunni talune competenze tipiche dell’attività riflessiva e del “filosofare”, per quanto riguarda i contenuti sono stati identificato argomenti obbligatori e comuni ed argomenti proposti alla scelta dei consigli di classe e dei docenti in sede di programmazione.

Lo schema seguito per tutti gli indirizzi dell’area umanistica e scientifica (compreso : il nuovo indirizzo scientifico-tecnologico) è il seguente:

Per ogni anno, la classe dovrà studiare:

A) Alcuni autori (almeno due, nel I anno, quattro negli altri anni). Per  il I anno di corso non vi sono state difficoltà nell’individuare Platone ed Aristotele come due nuclei fondamentali (obbligatori per tutti) nella millenaria storia del pensiero filosofico (la rete). Più difficile era individuare prescrittivamente (per programmi) filosofi nodali nel l’età moderna e contemporanea. Per cui si propone un’ampia rosa autori da cui attingere, ad eccezione di Kant ed Hegel considerati “nodi” (quindi obbligatori per tutti nel Il anno). Ancora più ampi il ventaglio delle scelte nell’ultimo anno, dedicato prevalentemente al Novecento, ove era difficile stabilire punti fermi ed imporre scelte non ancora confortate dalla distanza storica.

 

B)    Alcuni “nuclei tematici” (almeno due o tre, a seconda degli indirizzi e del quadro orario) da scegliere ad inizio anno tra quelli proposti a titolo di esempio, ferma restando la possibilità di costruire altri percorsi da aggiungere, anche ispirandosi alle proposte contenutistiche degli altri indirizzi. Infatti è consigliabile che il docente conosca ed usi in qualche modo l’intero dossier dei programmi, articolati per indirizzo.

 

Negli indirizzi tecnologici ed economici, come s’è detto, i contenuti si ripartiscono attorno ai due assi rappresentati dalle due rivoluzioni scientifiche e si propongono come confronto tra modelli di razionalità antichi e moderni (sia rispetto al quadro epistemico che a quello delle responsabilità etico-politiche) nel quarto anno, e come confronto dei modelli di razionalità moderni e contemporanei, nel quinto anno.

Tutti gli argomenti dovranno essere affrontati “a partire dalla lettura dei testi, secondo una scelta calibrata per ampiezza, praticabilità e leggibilità”, senza prescindere ovviamente dal necessario inquadramento storico e dalla ricostruzione, dei nessi che collegano i testi alla tradizione. Occorre chiarire che l’indicazione sopra citata circa l’obbligo di “partire” dai testi non intende essere una prescrizione metodologica temporale (‘una ricetta’) nel senso che i testi si debbano leggere prima di ogni interpretazione od introduzione al pensiero dell’autore. Ciò dipenderà dalla sapienza didattica (dal buon senso) del docente che terrà conto sia dei testi (non tutti si prestano ad una lettura immediata) che del contesto. Certo è che l’azione didattica in genere deve curare di “riscaldare” e motivare il clima in cui vengono a cadere le varie attività. In tal senso va inteso l’approccio “problematico” di cui si parla nella I parte dei programmi dedicata alle Finalità, da collegarsi anche con la “valorizzazione del vissuto” e la necessità di “individuare e comprendere problemi significativi della realtà contemporanea, cogliendone la complessità” (ultimo punto degli Obiettivi). L’approccio problematico, infatti, lungi dall’indicare una trattazione astratta dei problemi filosofici (pure presente in qualche programma europeo), intende riferirsi alla necessaria azione di motivazione della pratica didattica che deve farsi carico di rapportare criticamente la tradizione filosofica, i suoi linguaggi ed i suoi protagonisti, all’orizzonte dei problemi attuali, in particolare del mondo giovanile. Nella consapevolezza che le grandi opere sono tali appunto perché trattano problematiche e distanze in qualche modo ancora vive e, comunque, significative per l’oggi, e che il loro linguaggio non sempre è più difficile di quello di tanti commenti e di tante sintesi. Inoltre, l’aspetto problematico non deve essere riferito necessariamente all’esperienza ed al vissuto ma può rapportarsi alle problematiche teoriche rappresentate dall’insieme delle discipline che sono oggetto di studio: ad esempio, la problematizzazione di un argomento di fisica come il concetto di “forza” o di “gravità” può dar luogo ad un itinerario di ricerca filosofica che comprenda la tematica delle “cause” nell’età moderna, anche in antitesi con la visione finalistica della natura della filosofia antica.

È da escludere una lettura orientata a rintracciare nei testi taluni problemi prefissati, perché - come ha mostrato J. Robbeck (Imparare a filosofare, in ‘Paradigmi’, n. 6, 1990, pp. 411-422) - essi il più delle volte sono nascosti nel testo. Quindi, l’indicazione di “partire” dai testi vuole significare che:

 

a)      Il docente, nel procedere alla programmazione, deve individuare dei testi filosofici, o di rilevanza filosofica, che siano “leggibili” per i suoi studenti, relativamente ampi (meglio un’opera breve intera) in modo che se ne possa cogliere il procedere argomentativo, e che rispondano agli obiettivi del programma.

b)      I testi costituiscono il primum logico: pertanto, pur leggendoli secondo le strategie di analisi testuale, non vanno eccessivamente sovraccaricati di note e spiegazioni che ne renderebbero demotivante la lettura.

c)      Non è corretto usare i testi o frammenti di essi, per illustrare giudizi ben confezionati in anticipo.

d)     C’è indubbiamente un’attesa preventiva ed una naturale anticipazione di senso nell’affrontare la lettura; ma essa va resa problematica nella pratica didattica per evitare che sfugga l’alterità del testo rispetto al bagaglio conoscitivo già posseduto.

e)      Tenere ampio ed articolato il ventaglio conoscitivo del testo: superando la pigra giustapposizione di tesi preconfezionate alle pagine che si leggono.

f)       Rilevanza delle procedure argomentative ed attenzione particolare alle posizioni problematiche.

 

 

5.         Storia e linguaggio

 

Un nodo problematico dei programmi è rappresentato dalla conciliazione dell’impianto storico con la centralità dei testi. Nella pratica didattica può risultare difficile tenere insieme i due aspetti, in quanto chi intendesse seguire lo sviluppo storico delle idee potrebbe incontrare serie difficoltà nel dare anche ampio spazio alle letture.

I programmi offrono alcuni criteri orientativi, su cui mi soffermerò, ma la conciliazione pratica dei due aspetti è lasciata alla responsabilità del docente.

Innanzitutto va detto che l’obiettivo da tutti riconosciuto di “andare ai testi” richiede una drastica selezione dei contenuti e delle opere da leggere. Pertanto nella programmazione per obiettivi sarà necessario tener conto dei seguenti criteri:

 

a)      Gli obiettivi da perseguire (cfr. II sezione dei Programmi) vanno intesi come proposti per ciascun anno di corso, anche se ovviamente a livelli diversi. C’è insomma una circolarità dei vari obiettivi ed un rapporto di reciproca implicazione tra di essi.

b)      È possibile logicamente distinguere tra obiettivi a prevalente carattere di conoscenza, dagli obiettivi di competenza (ad esempio, comprendere la logica argomentativa specifica del testo). È ovvio che il testo va letto sia per quello che dice (contenuto) che per “come” dimostra o argomenta i suoi enunciati (in qualche modo, “il medium è il messaggio”).

c)      Per cogliere la struttura argomentativa sarà necessario leggere possibilmente opere brevi, ma intere; o brani molto ampi.

d)     La conoscenza dei contenuti, oltre che alla lettura diretta dei filosofi, dovrà essere affidata ad agili schede di sintesi, ai manuali o alle monografia (da leggere selettivamente in connessione ai temi scelti), alle sintesi introduttive di opere intere o di antologie.

e)      Va segnalata l’opportunità di selezionare, nella programmazione, testi di differente tipologia sia per rispondere all’obiettivo di contribuire alla formazione di uno stile cognitivo poliedrico e pluridimensionale, sia per far affrontare agli studenti molteplici problematiche culturali.

f)       Come indicazione didattica si potrebbe assumere la pratica (peraltro già presente in talune sperimentazioni) della compilazione da parte degli studenti di un “quaderno” di filosofia che contenga anche un “vocabolario” dei termini e dei concetti che s’incontrano nel lavoro testuale. Potrebbe essere una pratica più motivante di scrittura in quanto finalizzata all’ermeneutica testuale.

 

 

6.         Un percorso testuale

 

Ciò premesso, resta comunque il problema della esplicitazione della dimensione storica dei testi che si leggono. La seguente esemplificazione potrà servire ad illustrare un percorso, didatticamente fattibile, in cui siano verificate i criteri suddetti in una logica di programmazione che tenga conto degli obiettivi dell’insegnamento.

Assumendo come punto di riferimento una classe terminale di liceo ad indirizzo scientifico, e cercando di attuare le “finalità” del Programma nella parte ove si propone all’insegnamento della filosofia di “promuovere la riflessione critica sulle diverse forme e condizioni del sapere e sul  loro senso” ed inoltre di  “problematizzare conoscenze, idee e credenze, riconoscendone la storicità “, è possibile proporre un itinerario di testi, ed esplicitare sia i livelli argomentativi che lo spessore storico.

In particolare propongo di intendere la dimensione storica come:

a)      risposta alle problematiche del proprio tempo, consegnate a pratiche discorsivi extra-filosofiche;

b)      dialogo e confronto con testi interni alla tradizione filosofica;

c)      storia degli “effetti” o della “fortuna” dell’opera.

 

Il saggio di K. Popper dell’estate del 1953 dal titolo Congetture e confutazioni può costituire un buon punto di partenza in quanto, a conclusione di un ciclo liceale caratterizzato dalla forte presenza delle discipline scientifiche, si pone come riflessione sul modo di procedere tipico della scienza, in contrapposizione a ciò che è “nonscienza”. Si può quindi allargare il discorso dall’epistemologia alla logica ed alla filosofia (anche etica e politica) proponendo la conferenza dello stesso autore dal titolo Le fonti della conoscenza e dell’ignoranza (1960) e la Prefazione di K. Popper all’edizione italiana di Congetture e confutazioni. Lo sviluppo della conoscenza scientifica (Bologna 1972, Il Mulino).

 

A)   Esposizione sintetica del pensiero.

 

1)      La ‘demarcazione’ non riguarda il problema del “senso”, ma stabilisce il confine tra ciò che è ‘scienza’ e ciò che non è scienza (arte. poesia, metafisica, etc.).

2)      Il metodo empirico (induzione) non può essere criterio di demarcazione.

3)      Il criterio di demarcazione è costituito dalla “falsificabilità”.

4)      La conoscenza è “congettura” (doxa), non episteme techne.

5)      Fallibilismo, ma non soggettivismo (razionalismo critico). Molto bella, a tale proposito, la metafora dello “scalatore” della Prefazione popperiana (1985) all’edizione italiana (p. X):

 

Una conseguenza di tale conclusione è che dobbiamo distinguere chiaramente tra verità e certezza. Aspiriamo alla verità, e spesso possiamo raggiungerla, anche se accade raramente, o mai, che possiamo essere del tutto certi di averla raggiunta (un uomo può scalare una montagna nella nebbia, e può non essere certo di avere raggiunto la vetta, ma egli può averla effettivamente raggiunta, e raggiungere la vetta può non essere impossibile). La certezza non è un obiettivo degno di essere perseguito dalla scienza. La verità lo è.

 

B) Quadro interpretativo storico:

 

Tre scenari:

 

1) Lo scenario neopositivistico (interno alla tradizione filosofica):

 

Popper, è noto, fu ritenuto un neopositivista dissidente ed il suo falsificazionismo fu interpretato come criterio di significazione (almeno fino all’apparire dell’edizione inglese della Logik, 1959).

 

Dagli anni Sessanta in poi la sua posizione venne interpretata sostanzialmente come una critica al neopositivismo.

L’interrogativo di fondo che ci poniamo è il seguente: può l’epistemologia popperiana ricondursi unicamente allo scenario interpretativo neopositivistico, sia pure nei termini del dissenso e della critica radicale ad esso? Come è stato recentemente notato, la risposta è negativa. Ma intanto, nel saggio preso in considerazione, Popper affronta nel cap. 3 in particolare il rapporto col neopositivismo, con il Wittgenstein del Tractatus (cfr. per es. le proposizioni 6.53; 6.54; 5).

In questo capitolo Popper ci rivela che il suo criterio di “demarcazione” l’aveva già formulato nel 1920, quando gli “sembrava quasi banale”, anche se l’aveva “aiutato a risolvere un problema intellettuale che [l’]aveva preoccupato profondamente e che aveva anche ovvie conseguenze pratiche, per esempio, in politica. Non mi rendevo tuttavia conto compiutamente delle sue implicazioni, o del suo rilievo filosofico”. Da cui s’intravvede l’origine indipendente (in connessione con il rifiuto del marxismo per il suo carattere arrogante e dogmatico) del suddetto criterio.

L.    Wittgenstein, nel Tractatus, aveva cercato di mostrare che “tutte le cosiddette proposizioni filosofiche, o metafisiche, non sono in effetti proposizioni, bensì pseudoproposizioni: esse sono senza senso, ovvero prive di significato”. La critica di Popper a Wittgenstein (ed ai membri del Circolo di Vienna) è sintetizzabile in questi termini: “[...] il criterio di demarcazione di Wittgenstein - per usare, in questo contesto, la mia terminologia - è la verificabilità, o deducibilità da asserzioni osservative. Ma tale criterio è troppo stretto e troppo largo: esso esclude dalla scienza, praticamente, tutto ciò che le è peculiare mentre non riesce, di fatto, ad escludere l’astrologia. Nessuna teoria scientifica può mai essere dedotta da asserzioni osservative, o venire descritta come funzione di verità di asserzioni osservative”. Ed infine chiarisce l’equivoco: “Ma poiché sono normalmente ricordato come uno di essi [del Circolo di Vienna], desidero ripetere che, sebbene sia stato io a creare questa confusione, non ne fui tuttavia mai partecipe. Né la falsificabilità, né la controllabilità furono da me proposte come criteri di significato; e anche se posso dichiararmi colpevole di aver introdotto i due termini nella discussione, non fui io a introdurli nella teoria del significato”. (Le citazioni sono tratte dal citato saggio di Popper).

Per un approfondimento della questione si propongono le seguenti letture abbastanza accessibili: Il Manifesto del Circolo di Vienna (in: La concezione scientifica del mondo, Bari 1980, Laterza); R. CARNAP, Il superamento della metafisica mediante l’analisi logica del linguaggi (in “Erkenntnis”, 1932), in AA. VV., Il neoempirismo, a cura di  A. Pasquinelli, Torino 1969, Utet.

 

2)    Lo scenario extra-filosofico:

 

Il tema della scienza e della sua distinzione dagli altri enunciati, pur dotati di senso, ma non scientifici, si esplicita in Popper attraverso un secondo scenario che si può definire “extrafilosofico”. I termini essenziali della problematica sono leggibili in particolare nei primi due capitoli del saggio preso in esame. In sintesi, Popper giunge alla formulazione della “demarcazione” sulla scorta delle riflessioni sulla pratica delle scienze, in particolare della fisica di Einstein che segnò la crisi definitiva della meccanica classica.

Il momento decisivo fu rappresentato da una circostanza: “Tutti noi - nel piccolo circolo di studenti cui appartenevo - ci esaltammo per il risultato delle osservazioni compiute da Eddington nel corso dell’eclisse del 1919, osservazioni che offrirono la prima importante conferma alla teoria einsteiniana della gravitazione. Fu per noi una grande esperienza, tale da esercitare una durevole influenza sul mio sviluppo intellettuale” (K. POPPER, Congetture e Confutazioni, cit., p. 62). E contemporaneamente, proprio durante l’estate del 1919, Popper incomincia a sentirsi “sempre più insoddisfatto” della teoria marxista della storia, della psicoanalisi, della psicologia individuale di Adler: fu allora che egli cominciò a dubitare delle loro “pretese di scientificità”. Ecco delineato lo scenario concreto in cui si costruisce il falsificazionismo di Popper, che è colpito dalla massa enorme di conferme nel caso delle teorie di Marx, Freud e Adler (come peraltro dell’astrologia) e dalla difficoltà di essere confermata da parte della teoria einsteiniana della gravitazione. Leggiamo la pagina molto chiara di Popper (in Congetture e falsificazioni, op. cit., pp. 64-66):

 

[...] ogni caso concepibile poteva essere interpretato alla luce della teoria di Adler, o parimenti di quella di Freud. Posso illustrare questa circostanza per mezzo di due esempi assai differenti di comportamento umano: quello di un uomo che spinge un bambino nell’acqua con l’intenzione di affogarlo; e quello di un uomo che sacrifica la propria vita nel tentativo di salvare A bambino. Uno di questi casi può essere spiegato con la stessa facilità in termini freudiani e in termini adleriani. Per Freud, il primo uomo soffriva di una repressione, per esempio, di una qualche componente del suo complesso di Edipo, mentre il secondo uomo aveva raggiunto la sublimazione. Per Adler, il primo soffriva di sentimenti di inferiorità determinanti forse il bisogno di provare a se stesso che egli osava compiere un simile delitto, e lo stesso accadeva al secondo uomo, che aveva bisogno di provare a se stesso il coraggio di salvare il bambino. Non riuscivo a concepire alcun comportamento umano che non potesse interpretarsi nei termini dell’una o dell’altra teoria. Era precisamente questo fatto - il fatto che dette teorie erano sempre adeguate e risultavano sempre confermate - ciò che agli occhi dei sostenitori costituiva l’argomento più valido a loro favore. Cominciai a intravedere che questa loro apparente forza era in realtà il loro elemento di debolezza.

Nel caso della teoria di Einstein, la situazione era notevolmente differente. Si prenda un esempio tipico - la previsione einsteiniana, confermata proprio allora dai risultati della spedizione di Eddington. La teoria einsteiniana della gravitazione aveva portato alla conclusione che la luce doveva essere attratta dai corpi pesanti come il sole, nello stesso modo in cui erano attratti i corpi materiali. Di conseguenza, si poteva calcolare che la luce proveniente da una lontana stella fissa, la cui posizione apparente fosse prossima al sole, avrebbe raggiunto la terra da una direzione tale da fare apparire la stella leggermente allontanata dal sole; o, in altre parole, si poteva calcolare che le stelle vicine al sole sarebbero apparse come se si fossero scostate un poco dal sole ed anche tra di loro. Si tratta di un fatto che non può normalmente essere osservato, poiché quelle stelle sono rese invisibili durante il giorno dell’eccessivo splendore del sole: nel corso di un’eclissi è tuttavia possibile fotografarle. Se si fotografa la stessa costellazione di notte è possibile mi le distanze sulle due fotografie, e controllare così l’effetto previsto.

Ora, la cosa che impressiona in un caso come questo è il rischio implicato in una previsione del genere.

 

All’origine del criterio di falsificabilità c’è, quindi, la considerazione della pratica scientifica in confronto col procedere di altre pratiche teoriche non scientifiche. In particolare, anche la teoria della storia di Marx all’inizio presentava le caratteristiche della scienza e fu infatti confutata nella sua previsione del crollo del capitalismo; ma in seguito a tale sconfitta, anzicché essere abbandonata, fu sottoposta a varie reinterpretazioni che intendevano sottrarla alla confutazione: ma tali operazioni di “salvataggio” hanno distrutto il suo statuto scientifico.

 

3) Lo scenario tipicamente filosofico: dalla logica all’etica, alla politica.

 

C’è un terzo livello da rintracciare nei testi popperiani proposti, che in definitiva connota lo scenario specifico del filosofare e, contemporaneamente, esprime la dimensione della storicità dei testi nel senso del rapporto con le problematiche del periodo storico di cui sono in qualche modo documento.

Dopo la critica al metodo induttivo ed a Hume, nel cap. VII Popper scrive:

 

La scienza, pertanto, deve prendere avvio dai miti e dalla loro critica; non dunque dalla collezione di osservazioni, né dall’invenzione di esperimenti, bensì dalla discussione critica dei miti, delle tecniche e pratiche magiche. La tradizione scientifica si distingue da quella prescientifica perché ha due livelli. Come quest’ultima, essa trasmette le proprie teorie; ma trasmette anche un atteggiamento critico nei loro confronti. Le teorie vengono trasmesse, non come dogmi, ma piuttosto come la sfida a discuterle e a migliorarle. Questa tradizione è greca: può ricondursi a Talete, fondatore della prima scuola, (non intendo dire “della prima scuola filosofica”, ma semplicemente della “prima scuola”) che non aveva per scopo principale la conservazione del dogma.

L’atteggiamento critico, la tradizione della libera discussione delle teorie al fine di scoprirne i lati deboli, per poterla migliorare, è l’atteggiamento stesso della ragionevolezza, della razionalità (op. cit., pp. 90-91).

 

Così, dall’epistemologia si passa alla logica, nell’identificazione di un “razionalismo critico”, all’atteggiamento “liberale” a livello etico-politico, alla “società aperta” in quegli anni così calpestata dai suoi «nemici”. (Popper scrive La società aperta e i suoi nemici durante la II guerra mondiale).

Nella conferenza del 1960 dal titolo Le fonti della conoscenza e dell’ignoranza, di agile lettura, dopo un’interessante ricostruzione della filosofia antica e moderna (che è anche uno specimen del modo di argomentare tipico della filosofia nella critica delle posizioni degli altri filosofi), Popper ricorre ad una analogia tra l’epistemologia tradizionale, che s’interroga solo circa “le fonti della conoscenza” e trascura la questione della “validità” e non mette mai “alla prova” le conoscenze (si noti l’influenza kantiana sul pensiero di Popper), e la teoria politica tradizionale, che si chiede “chi deve governare”, ma non quali controlli dobbiamo mettere in atto per evitare i danni dei governanti corrotti.

Lo spirito dell’epistemologia e della teoria politica tradizionale è egualmente autoritario e dogmatico. Queste domande sull’origine (empirica o meno) della conoscenza e su “chi" deve governare sono mal poste e, tra l’altro, suggeriscono

 

alternative piuttosto sciocche, quali: “Chi dovrebbe comandare? i capitalisti o i lavoratori? “, che è analoga a: “Qual è la fonte prima della conoscenza? L’intelletto o i sensi?”. Questo interrogativo politico è mal posto [...]. Esso dovrebbe essere sostituito da una questione completamente differente, quale: “In che modo possiamo organizzare le istituzioni politiche affinché i governanti cattivi o incompetenti, che dovremmo evitare di procurarci, ma che in ogni caso è cosi facile ottenere, non possano fare troppo danno?”. Credo che solo cambiando la nostra domanda in questo modo possiamo sperare di procedere verso una teoria ragionevole delle istituzioni politiche (op. cit., pp. 49-50).

 

 

C)   Per una storia degli «effetti".

 

Tralascio la storia della “fortuna" dell’epistemologia popperiana e dei suoi esiti più recenti da Kuhn a Lakatos a Feyerabend, etc. Mi soffermo brevemente sugli sviluppi del pensiero politico impliciti nel “razionalismo critico”. La lettura di La società aperta e i suoi nemici (1945) esprime l’ottimismo con cui il Nostro guarda ai regimi liberi dell’Occidente. E nella prefazione all’edizione italiana di Congetture e confutazioni egli contesta la moda “di accettare l’idea che viviamo in un mondo terribile, che viviamo in condizioni sociali terribili e in un mondo completamente ostile, e che anche l’evoluzione e il progresso sono conseguenze (in conformità alle idee di Darwin) di tale ostilità: una lotta di tutti contro tutti”. Si tratta di un mito. “In breve, la mia tesi è che noi, che viviamo in Occidente, nell’Europa occidentale ed in America, viviamo nella migliore società della quale si abbia storicamente notizia. Non ho mai incontrato, né ho sentito qualcuno che potesse ragionevolmente sostenere il contrario” (op. cit., p. XI).

Sulla stessa lunghezza d’onda è R. Dahrendorf di cui è interessante proporre alla discussione la “Lettera immaginaria a un amico di Varsavia, 1990”, dal titolo 1989. Riflessioni sulla rivoluzione in Europa (Bari 1991, Laterza), che riconduce esplicitamente la sua adesione alla “società aperta” all’insegnamento popperiano che scriveva la sua opera pubblicata nel 1945 proprio durante la II guerra mondiale. Un utile chiave di lettura dei due testi può essere data dal termine-concetto di “società aperta” e di “liberale" che ricorre anche nell’opera di R. Rorty, il filosofo liberale americano, particolarmente nei saggi Contingenza, ironia, solidarietà (tradotti in italiano da Laterza col titolo La filosofia dopo la filosofia).

In conclusione, le proposte suddette vogliono essere l’esemplificazione di un percorso didattico centrato sulla lettura di opere del Novecento, a conclusione di un ciclo di studi liceali (da affiancare ovviamente ad altri percorsi). Si tratta di una proposta che s’inserisce nella logica della programmazione perché cerca di prendere in esame sia il quadro epistemico complessivo dell’indirizzo di studi sia la leggibilità dei testi (alcuni dei quali potranno essere affidati alla lettura individuale e/o differenziata da parte di gruppi di alunni).