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Comunicazione Filosofica n. 11 ottobre 2002
eXisten
Z di D. Cronenberg: giocare per vivere
lo statuto dell'immagine fra tensione
realista e realtà virtuale
Un gruppo di persone appassionate di giochi virtuali viene convocato per provare un nuovo gioco, "Existenz", basato su un miscuglio tra la più avanzata tecnologia dei microchip e la bioingegneria genetica. Allegra Geller, l'inventrice, illustra ai presenti il prototipo del giocattolo, il 'pod', ricoperto di un materiale simile a carne umana. Il pod si inserisce nel sistema nervoso del giocatore tramite un 'bioport' o connettore spinale. Il pod può accedere ai ricordi del giocatore, cosicché ogni partita procede in modo diverso a seconda della persona che sta giocando. A un certo punto un uomo, che si dichiara delle forze anti-eXistenZ, spara ad Allegra con una pistola fatta di carne e sangue e danneggia gravemente il game-pod. Nel caos che segue, Allegra viene salvata da Ted, un "addetto alla sicurezza". Per controllare lo stato del pod, Allegra convince Ted a collegarsi con un gamepod nel suo stesso corpo, in modo da partecipare al gioco insieme a lei. Dopo non poche difficoltà, Ted e Allegra riescono finalmente ad entrare nel gioco, dando inizio alla partita. I due si ritrovano in uno strano scenario, la Trout Farm, un ex vivaio trasformato in un fabbrica di giocattoli con catena di montaggio. In un intricato succedersi di atti di spionaggio e vendette, la situazione diventa difficile da gestire. Si torna allora al gruppo iniziale, ma il gioco di cui si parla adesso è Trascendenz, ideato dalla Pilgrimage. Allegra e Ted, al grido di "Morte a Trascendenz", uccidono l'ideatore e il suo assistente. Affrontano poi un altro, lo minacciano, e lui chiede: "Siamo ancora nel gioco?".
Questo il plot narrativo di ExsistenZ, film del 1999 firmato da David Cronenberg [1], che in esso riversa tutte le tematiche e le ossessioni della sua formazione culturale, a partire dalle fonti letterarie a lui care - da Borroughs a Pirandello e Kafka - sino a quelle teoretiche - l'arbitrarietà del reale, il 'dietro' del corpo, l'incubo del Senso - più frequentate nella sua filmografia.
È fuori di dubbio che Cronenberg tenda infatti a fare un cinema di spessore filosofico, forse anche eccedendo nei rimandi problematici che affronta con l''indeterminazione' di un autore che si pone come postmoderno nel momento in cui decide di assumere punti di riferimento costantemente 'mobili', vischiosi e 'mutanti' proprio come i personaggi dei suoi film.
ExsistenZ permette di operare sul piano didattico un incontro privilegiato con tali tensioni, tenendo presente le diverse 'esigenze' degli studenti di un triennio al quale può indifferentemente essere presentato in relazione al taglio storico o storico/teoretico che si assume nello sviluppo del corso[2]. Qui si vuole rendere conto di una possibile trasposizione per una classe iniziale di triennio nella quale si stia svolgendo l'onto-gnoseologia platonico-aristotelica e, in particolare, nella quale si sia data lettura del mito della caverna dal punto di vista anche estetico e politico-pratico. Il taglio prescelto presuppone però la possibilità di accogliere contaminazioni cronologiche anche successive e possibilmente novecentesche, senza temere di anticipare - benché con una modalità asistematica ma che l'esperienza dimostra estremamente efficace nello suscitare interesse, motivazione all'apprendimento e spessore di giudizio personale - fasi del programma che saranno oggetto di specifici ulteriori percorsi.
Il primo contributo filosofico offerto dal film coinvolge la tematica esistenziale: già dal titolo si pone con chiarezza la curvatura esistenzale del 'sistema' di giochi immaginato in eXistenZ e che pone il gioco come esistenza/impulso e l'esistenza in gioco all'interno di un'escatologia ludica[3] della quale fanno parte integrante il senso di l'incertezza e la fluttuazione dell'identità. I personaggi del 'gioco' sono tutti in cerca di autore, sospesi fra la Verità del reale e realtà del virtuale: "Cosa ti sembra della vita reale, per la quale sei tornato indietro? " - chiede Allegra al partner dopo il primo 'trip' in eXistenZ [4]- "Mi sembra completamente irreale" - gli risponde, sottolineando la contaminazione fra sogno/incubo e realtà definendo un orizzonte onto-epistemologico incerto, debole di 'demarcazioni' facilmente riconoscibili. L'esistenza viene ancora proposta sotto forma dell'heideggeriana autenticità: la 'chiacchiera' stereotipa si alterna alla comunicazione profonda, l'autenticità dell'esistenza viene messa in gioco come una 'posta' per la quale combattere e anche morire: non a caso le fazioni che interagiscono nel 'gioco' - o è la realtà - vede contrapporti i realisti ai giocatori, questi ultimi incastrati in una dimensione non più rassicurante per la labilità del suo statuto ontologico. In tale contesto - di postmoderna indeterminazione - assume un senso ambiguo anche la collocazione di eXistenZ in un altro 'gioco', quello di transCendenZ. Si noti innanzitutto che di primo acchito verrebbe da credere che il 'gioco' rischioso - Pascal - dell'esistenza sia posto metaforicamente in un rapporto necessario con la trascendenza : anche lo spazio diegetico del plot - che non corrisponde necessariamente, come abbiamo detto, al luogo reale della vita di veglia dei giocatori - è infatti una chiesa sconsacrata, quasi a porre il problema dell'immanenza rispetto alla trascendenza anche teologicamente intesa[5] - più vera? luogo di identità ritrovate, come sembrerebbe nel finale? - . Pure, proprio la chiusa del film tende a vanificare una tale lettura, poiché nel riproporre il 'gioco' come categoria esistenziale che impedisce la definizione del reale/vero rispetto alla finzione, essa lascia aperta la possibilità che si stia preparando l'allestimento di un ulteriore livello di gioco virtuale senza alcuna soluzione di continuità e rotture rispetto alla virtualità dei tempi e degli spazi sino a quel momento agiti dai personaggi. Insomma, il problema non è più quello classico - nel senso teoretico e metafisico del termine - dell'immanenza di contro alla trascendenza - Platone disponeva di ben altro orizzonte ontologico, di una trascendenza 'certa' di contro ad un altrettanto evidente, per quanto imperfetta, immanenza - , ma di un 'fuori' e un 'dentro' rispetto a vari livelli di irrealtà - o realtà virtuale - che assorbono, non solo 'copiano, annullandola del tutto, la vita reale. E qui la virtualità significa davvero molto, a partire dal tema dell' incubo-immaginazione sino a quello della finzione, dei ruoli inautentici messi in gioco in un'esistenza 'rappresentata' - Pirandello - o alienante - Kafka: Georg Samsa sta sognando la propria mutazione o essa è 'vera', reale?[6] - . Ecco dunque una sintesi interpretativa di elementi esistenzialisti e postmoderni: l'indeterminazione[7], resa da un montaggio che si sviluppa ad incastro, aprendo sempre nuove scatole cinesi, costringe lo spettatore a operare 'costruzioni' di senso e nello stesso tempo rende assurda ogni pretesa di dare 'un' senso: nel momento in cui 'misuriamo' la grandezza/il 'segno' di un elemento diegetico, tutti gli altri sfuggono alla determinazione che operiamo per 'mettere in chiaro', per ritrovare certezze ed evidenze perdute anche in merito allo sviluppo della narrazione cinematografica.
Il rapporto 'dentro/fuori' innesta un secondo livello di problematicità del film, che comporta la riflessione sul corpo e sul suo rapporto con la mente ancora una volta a partire da suggestioni contemporanee. Sembra infatti che la vera rivoluzione stia oggi avvenendo dentro il corpo: appendici, protesi, innesti, rendono gli "umani" sempre meno umani nel contempo rimettendo in gioco la questione dell'identità: infatti, i corpi possono mutare, divengono fondando una dis-identita' o, meglio, un seosno dell'io mutante o addirittura multipla. La mutazione del corpo è divenuta anche nella body art una forma estrema di riflessione sulla materia: il corpo per Orlan diviene materiale grezzo da maniplare, poiché il corpo può farsi e dis-farsi attraverso l'artificio/arte della chirurgia estetica - ma di un'estetica del disgusto - alla quale si sottopone facendo di sé l'oggetto della propria creazione - o distruzione - Così, anche Cronenberg in Crash espolrava la bellezza del dolore e del 'farsi' di un corpo che non ha più un destino anatomico dato nella convergenza fra biotecnologie , chirurgia estetica, computer che ha fatto nascere la possibilità di un corpo reversibile e quindi risignificato. In questa rivoluzionata condizione umana ed artistica, il corpo non è solo pensato come superficie di riscrittura, ma come rapporto: rapporto carne- metallo , carne- informazione, carne - dissoluzione. Così anche in eXistenZ viene dato ampio spazio al tema del corpo mutante ma soprattutto del suo innestarsi ai confini fra organico e inorganico: i corpi sono - o rischiano - la contaminazione, accolgono inserti meccanici e tecnologici - il pod - che divengono parte della loro organicità - come protesi organiche, 'porte' di accesso all'irreale inorganico ma organiche per struttura, come la Bioporta - così che viene a cadere un'altra demarcazione, essendo evidente la labilità fra organico e non. L'invasione meccanica dei corpi è anche posta sul piano della sessualità, espressa solo nella dimensione virtuale che impone la 'regole' di una libertà istintuale ed irrefrenabile. La posizione di Cronenberg in merito al rapporto body/mind sembra essere quella di mondi paralleli che interferiscono l'uno sull'altro, e, in particolare, sembra che la dimensione della mente prenda il sopravvento - ancora una vittoria degli antirealisti? - su quella del corpo, significato come luogo di verità e di realtà ma anche di impedimento. La mente libera, sembra dunque affermare Allegra, perché nel 'gioco', nell'immaginario, vengono meno tutti i limiti alle scelte dell'uomo, aprendosi infinite forme di possibilità: pure, 'dentro' le 'regole' del gioco, la 'libertà' del possibile si scontra con la necessità della 'regola' stessa, che si impone con i propri loops e 'bug' al giocatore[8].
Nel film di Cronenberg la rappresentazione del gioco diviene infine metafora stessa del cinema[9]: il regista, come Allegra, allestisce per noi un videogame[10] che nella sua irrealtà - o virtualità - ci costringe a 'giocare', assecondandone le regole - altrimenti non vivremmo l'incanto della narrazione - ma nel continuo riferirci alla nostra realtà di spettatori - quella vera, oggettiva, non irreale e proiettata dentro lo schermo - . Pure, i temi che il regista mette in gioco pone il cinema proprio come l'irreale che tende al reale, che nella sua non oggettività - estrema, specie se siamo di fronte ad una fiction non solo linguistica ma di genere - sa divenire pregnanza di esistenza e di vita reale, paradigma che va al fondo delle questioni di senso.
A cura di Cristina Boracchi
[1] Nato a Toronto nel 1943 da padre giornalista e madre pianista, Cronenberg cominciò presto scrivere racconti di fantascienza e a mandarli a diverse riviste. Si iscrisse alla facoltà di scienze dell’Università di Toronto, ma dopo un anno passò a Lingua e Letteratura inglese, laureandosi nel 1967. Ancora studente universitario, cominciò ad interessarsi al cinema. In quelli anni gira i suoi due primi cortometraggi in 16mm seguiti da due film in 35mm, "Stereo" (1969) e "Crime of future" (1970); opere diventate ormai dei cult. Grazie all'aiuto di Mel Brooks riesce a girare il suo primo successo "La mosca" del 1986.
[2] Infatti, le tematiche trattate dalla pellicola di Cronenberg autorizzano uno sviluppo che può essere contestuato nel programma di II anno di triennio - il tema cartesiano del rapporto sogno/illusione e realtà, magari con agganci a Shakespeare e Calderon De La Barca; il concetto di gioco/esistenza e rischio in Pascal - il body/mind problem da Cartesio a Leibniz - o in una classe terminale - l'esistenzialismo contemporaneo, da Sartre a Heidegger sul tema dell'autenticità esistenziale; ancora il body/mind problem nelle tangenze contemporanee con la cibernetica e il virtuale, la dimensione etica come luogo di libertà o determinismo degli appetiti etc. -. Questi suggerimenti sono ad uso di chi utilizza una scansione classica del programma al fine di operare le opportune scelte antologiche dei testi, che costituiscono sempre il riferimento fondamentale della nostra didattica. Nel nostro caso, tuttavia, cercheremo di mostrare una possibile determinazione di percorsi che seguano linee tematiche meno vincolate alla cronologia. e pertanto capaci di accogliere contaminazioni cronologiche anche novecentesche.
[3] Sussistono possibili diverse letture del 'gioco' nel film di Cronenberg: ne indichiamo alcune: Il gioco di prestigio - Cinema come illusione (Il cinema, sogno collettivo o allucinazione autoriale?); Il gioco di specchi - Cinema come ripetizione e ossessione (Il cinema e l’eterno ritorno. Il loop: cosa succede quando il cinema ricomincia da capo?); Il gioco di parole - Cinema come enigma (Le parole e le cose nel cinema di Cronenberg. Nomen omen?) - Il gioco di ruolo - Cinema come rappresentazione (Il gioco delle parti: gli attori sono persone della memoria?); Il gioco nel gioco - Cinema come mise en abîme (Cinema e realtà virtuale oppure cinema come realtà virtuale?); Il corpo in gioco - Cinema come presenza/assenza del corpo (Dove finisce l’organico nel cinema di Cronenberg?); Il gioco elettronico - Cinema come effetto speciale (Il cinema è ri-creazione?) ; Gioco d’amore - Cinema come affetto speciale (Davvero “each man kills the thing he loves”? ); La vita in gioco - Cinema, morte e morale (Se “i buoni lo sognano e i cattivi lo fanno” cosa succede se non so più distinguere il sogno dalla realtà?).
[4] W. Borroughs: l'incubo, l'apocalisse, il viaggio fine a se stesso, proprio come il 'gioco'.
[5] Allegra stessa è definita anche in senso teologico come 'dea' o 'demone' a seconda della 'setta' con la quale ha a che fare.
[6] Altrettanto kafkiano è il costante senso di spaesamento, di 'fuori spazio' e di 'fuori tempo' entro cui operano i personaggi.
[7] R. Barthes: il 'gioco' e le incognite esistenziali (S/Z, Torino, Einaudi, 1973 p.100 e segg.)
[8] Uomo e tecnologia: l'uomo è strumento della realtà virtuale? Si perviene ad una sorta di determinismo etico (Hobbes): le 'regole' del gioco non sono alla fine diverse dalle 'regole' di vita, e la libertà si configura solo come maggiore possibilità.
[9] Cfr. nota 3
[10] Conviene fare attenzione al lessico utilizzato da Allegra per spiegare il suo gioco: è un gergo propriamente cinematografico!