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Comunicazione Filosofica n. 11 ottobre 2002
Reale e virtuale: il body-mind problem e gli universi paralleli di The Matrix
Già cult movie fin dall'uscita preannunciata sugli schermi, The Matrix rappresenta una pellicola di grande sfondo filosofico che, se da un lato si carica di un'eccedenza di riferimenti, dall'altra, però, presenta una molteplicità di spunti problematici che, percorsi, originano altrettanti itinerari teoretici nella storia della filosofia. La semantica e la sintassi del suo linguaggio cinematografico è inoltre particolarmente accattivante e motivante l'interesse di una popolazione studentesca che è facilmente attratta dalle immagini digitalizzate versione videogame.
La narrazione diegetica si colloca cronologicamente in un tempo sospeso, quello di un anno 1999 che sembra non trapassare mai al 2000[1]: Thomas/neo è un Hacker che lavora in una ditta di software e diventa protagonista di un'avventura allucinante quando gli agenti di una polizia segreta non ben identificata - ma chiaramente espressione di un sistema autoritario e inespugnabile - decidono di servirsi di lui per localizzare Morpheus, capo di una banda di ribelli[2]. Colpevole di avere scoperto il segreto che li circonda, ovvero che una intelligenza artificiale ha creato il mondo apparente in cui si vive, anche Neo diviene un perseguitato e intuisce che le macchine hanno preso il sopravvento dopo una catastrofe - siamo in realtà nel 2009- . Viene accolto nel gruppo dei ribelli come fosse un eletto, un 'redentore' destinato a vincere Matrix, la grande mente artefice della finzione esistenziale di uomini che, mai nati, sono tenuti allo stato larvale in grandi 'uteri' artificiali entro i quali sono costretti a 'sognare' una vita 'reale' in un universo/mondo globale ma virtuale. La regia è dei fratelli Wachowsky, assurti alla notorietà con Bound, torbido inganno: sono autori che amano produrre un cinema visionario, fatto di suspance e di attesa, di ricerca e di coinvolgimento attivo dello spettatore. Per questo film, che pure ha mantenuto alcune delle caratteristiche noir del precedente, i registi si avvalgono di una nuova tecnica di ripresa; la bullet-time photography o flow motion, che permette di riprendere ogni secondo12.000 fotogrammi che poi vengono assemblati dal computer con lo scanner[3].
Il film permette inanzitutto un aggancio di tipo letterario che si lega alla cyberletteratura: l'analisi mirata di brani tratti da Blade runner di Ph.Dick - il problema dell'automa 'perfetto', il Nexus 6, alla ricerca della propria origine - , da Il pasto nudo di W. Burrougbs - il tema dell'incubo-sogno - e da Crash di J. Ballard - il corpo organico e la protesi/inorganica - permette di dare avvio ad una lettura del film sulla scorta di una prima pista: la questione epistemologica del realismo[4] e la verità del reale e della conoscenza. Il 'genere' cyber è riconoscibile attraverso alcuni 'segni' che lo contraddistinguono nella pellicola: in primo luogo si ha a che fare con una catastrofe di portata apocalittica[5], che vede l'umanità versare in una condizione di alienazione e, nel contempo, di affannosa ricerca di autenticità - l'origine, la paternità, la 'mente' ordinatrice - . La finzione è assunta a categoria dell'essere e dell'esistenza - inautentica - dalla quale, pur determinata da una robotica-cibernetico-informatica, è possibile la fuga solo attraverso l'adattamento o l'utilizzo 'rovesciato' della stessa tecnologia alienante. La vita si riassume nella pratica ludico/bellica: infatti, la vita in gioco si trasforma nel gioco per vivere - o sopravvivere - in bilico fra predestinazione e libero arbitrio[6]. Il gioco/rischio/combattimento è forse una delle cifre più importanti di lettura del film[7], che propone lo stereotipo 'cyber-letterario' del giocatore: si tratta di un adulto in fase iniziatica[8], di un alter ego che si 'fa' attraverso le potenzialità nascoste e l'assunzione consapevole dei propri limiti; il suo 'gioco' si riversa in un mondo ignoto, governato da leggi apparentemente arbitrarie[9], entro il quale mondo egli vive un'esperienza esplorativa, un viaggio in territorio ostile finalizzato alla ricerca della risoluzione di un enigma, quello del senso dell'esistenza [10]. Neo, nome del protagonista della narrazione filmica, è infatti un individuo - One - alla ricerca dell'affermazione della propria identità all'interno di una Wanderung che lo porta a rinnovarsi - New - diventando se stesso: lo è già, ma non lo è ancora, lo è ma deve divenirne consapevole attraverso un disvelamento progressivo che lo porta a dissolvere il velo di Maja - o quello di Sais? - per identificare, al di là di esso, il proprio volto. Realtà e apparenza[11]: Schopenhauer (il velo di Maja) e Novalis (I Discepoli di Sais), ma anche tutto il modello della 'coscienza' che si fa 'ragione' di matrice idealistica trovano qui un'efficace rappresentazione. L'ambiguità del rapporto sogno/realtà è data inoltre dalla figura di Morpheus - colui che da' il sonno, forse la morte, o l'illusione di un'esistenza più 'vera' - che in effetti costituisce la cerniera fra i due universi, ma anche l'accompagnatore, il demiurgo della mutazione di Neo: suo 'padre' spirituale, ne diviene 'figlio' nel momento in cui gli riconosce il ruolo salvifico. Persino la chiusa[12] non impedisce di mantenere il dubbio in merito alla 'veridicità' del vissuto di Neo, che potrebbe essere del tutto relegato in un sogno o in un incubo vissuto a tavolino e talmente vivido da creare l'effetto del cartesiano inganno sensoriale. Il rapporto reale/virtuale[13] si sviluppa ancora nell'insistenza sulla possibilità di bi-locazione: la simultaneità è posta come sintesi assoluta di velocità e di immobilità, laddove il massimo di velocità genera lentezza o immobilità.
L'aspetto linguistico più interessante del film riguarda del resto proprio la rappresentazione degli slittamenti spazio-temporali: il tempo diegetico, infatti, è 'giocato' - è il caso di dirlo - proprio sul duplice registro di un tempo lineare intervallato da un tempo circolare e parallelo[14]: gli universi paralleli ai quali corrispondono i relativi' tempi' sono peraltro luogo delle dinamica body/mind, cui corrisponde quella reale/virtuale. Il messaggio che si ricava è quello dell'indissolubilità dell'elemento fisico e di quello psichico: laddove viene meno la 'vita' interiore della mente, anche il corpo soccombe, e viceversa.
Un'ultima traccia di percorso teoretico è rinvenibile nel risvolto teologico del film. Il rapporto fra Neo e Thrinity - una sorta di 'angelo nero' che condivide e 'guida' Neo alla vittoria - permette infatti anche una lettura escatologica: la ricerca del padre -Dio/Matrix (utero, matrice del tutto)- si accompagna alla riproduzione di un rapporto 'trinitario' fra il padre Morpheus, il figlio Neo e lo 'spirito' Thrinity -, proprio come le vicenda di Neo ripercorre le tappe di un 'figlio' che dapprima dubita ma poi 'sceglie il padre', acquistando consapevolezza. Questo stesso 'figlio', peraltro, resuscita dopo essere 'flagellato' e ucciso, ritorna dal suo metaforico 'viaggio agli inferi', sa operare miracoli, come quello della la traslazione [15].
Infine, non può sfuggire la portata postmodernista dell'operazione dei Wachowsky: non si tratta solo dell'utilizzo del modello dell'assemblaggio[16] , ma soprattutto del linguaggio filmico prescelto in fase di montaggio, esemplare nell'ottica di un principio di indeterminazione che, tanto caro ai Cohen[17], costringe lo spettatore a 'farsi' il proprio film, operando scelte di 'significato' nella consapevoleza che quanto più si concentra lo sguardo su un aspetto del sistema osservato, tanto meno la misurazione delle altre grandezze sistemiche sarà esatta.
A cura di Cristina Boracchi
[1] Molto spesso negli ultimi anni il cinema si è ìcollocatoì sulla soglia del millennio, a partire da Strange days di K. Bigelow.
[2] Questo aspetto ha dato adito a una lettura 'no-global', o meglio, antineoliberista, del film, che in effetti porta a riflettere anche sul principio di omologazione del villaggio globale e sul fenomeno sociale degli hackers
[3] Molte le citazione, dal cinema orientale di azione erede dei kung-fu-movies al cybermovie più classico. Si notano inoltre ascendenze zen e new age, mischiate alle dinamiche del wuxiapian, romanzo di cappa e spada di matrice orientale del quale si è recentemente avvalso anche Ang Lee per il suo La trigre e il dragone.
[4] "La nostra realtà è costituita dal confluire di una miriade di perdite d'acqua… Una goccia qui, uno spruzzo là, in quell'angolo. Una macchia d'umido che si forma in mezzo al soffitto. Ma da dove filtra? E cosa significa?" (Ph. Dick, Out of time)
[5] Cfr. incipit di Blade Runner di Ph. Dick, ma anche P. Auster, Il paese delle cose dimenticate.
[6] "Il caso è quando ilo destino ha deciso di salvarti" (Ph. Dick, Il disco di fiamma)
[7] Altri riferimenti cinematpgrafici sul tema del 'gioco' sono, per la cybercinematografia, Nirvana di G. Salvatores, ed eXistenZ di D. Cronemberg; inoltre, più recentemente, il videogioco ha sostanziato di sé film come Tomb Rider, Armageddon etc.
[8] Non è un caso il rimando continui, soprattutto nell'incipit, all'Alice nel paese delle meraviglie di L. Carroll, del quale si citano 'icone' come lo specchio del mondo alla rovescia, il Bianconiglio etc.: la fiaba è sempre 'iniziatica' (Cfr. Il mondo incantato di B. Bettelheim), e proprio il modello delle fiabe di trasformazione e di iniziazione ha sostenuto il 'fenomeno' Pokemòn e Digimon sul piano cartoonistico.
[9] Altro tema interessante: l'imperfezione del sistema e gli Hackers come 'virus ' dei sistemi. Il loop. Il bug, il déja vu (glitch) sono i segni del fatto che la virtualità non può del tutto sconfiggere la mente umana che l'ha creata: sono smagliature nel tessuto dell'apparenza dal quale traluce la realtà: cfr. The Truman show.
[10] Si confronti con l'altro cyber-cult movie, Dark City.
[11] Le illusioni degli altri, di Ph. Dick: "La creazione di una illusione concretizza nello spazio-tempo fa sì che non si tratti più di illusioni. A meno di non riuscire a portarsi ad una certa distanza, una notevole distanza, e fare un paragone tra la sua area alterata e la realtà vera e propria"
[12] L'interpretazione del finale: videogame, sogno, fantasia, liberazione, allucinazione (Trip)?
[13] Superfluo dire che su questo tema si sviluppa tutto un altro percorso relativo allo statuto delle immagini, in biblico fra tensione realista e virtualità: il cinema quando anche si ponga come virtualità, non è mai pura finzione, ma parla della realtà almeno come suo paradigma, essendo vero benché non oggettivo.?
[14] Si vedano anche L'esercito delle 12 scimmie, Terminator 1 e 2, Ritorno al futuro etc.
[15] Le illusioni degli altri, di Ph. Dick : "La traslazione è l'attimo quasi sacro in cui gli oggetti e le persone smettono di essere mera rappresentazione della Terra per divenire Terra". Ibidem.
[16] Ci riferiamo al citazionismo e all'aforisma, accanto alla cultura del frammento che vede mischiare filosofia, fiaba, letteratura, immagini culto, trendy e ipertestualità in una forma di cinema-fumetto-spot.
[17] Si veda The man who wasn't there, di J. Cohen, che ruota attorno al postmodernismo collegandosi appunto all'heisemberghiano principio di indeterminazione.