Parmenide, Frammenti 1. 7 – 8 (trad. F. Trabattoni, Parmenide. I frammenti, marcos y marcos, Milano 1990)

1. Cavalle che mi conducono quanto soddisfa il mio desiderio guidandomi come scorta, vennero lungo la molto famosa via della dea, che il mortale sapiente conduce per ogni città. In quelle parti io ero condotto. In quelle parti infatti mi portavano le cavalle molto assennate tirando il cocchio, fanciulle indicavano la via. L'asse nei mozzi, incandescente, mandava lo stridore di un sibilo (su entrambi i lati veniva infatti sospinto da due cerchi torciti), allorché le fanciulle affrettavano la loro guida, lasciando la dimora  della Notte, verso la luce, con le mani scostandosi il velo dal capo. Ivi è la porta che apre i sentieri della Notte e del Giorno, incorniciata da un' architrave e da una soglia di pietra. La porta stessa, poi, è occupata da enormi battenti: di essi la Dea che molto punisce tiene le chiavi alterne. Essa persuasero le fanciulle, con accortezza e il consiglio; di dolci parole, a togliere dalla porta velocemente il paletto del chiavistello. Spalancata allora la porta produsse una vasta apertura dei battenti, facendo girare a vicenda i perni di bronzo nel cavo dei cardini, fissati con viti e fermagli. Traversando dunque la porta in quel punto, guidarono le fanciulle cocchio e cavalle diritto per la strada maestra. Mi accolse la Dea con mente benevola, la mano destra mi prese con la sua destra, e così mi rivolse parole dicendo: «o fanciullo, compagno di aurighi immortali, che giungi alla nostra casa condotto dalle cavalle, salute! . Perché non certo una Moira malvagia ti spinge a percorrere questa via (è infatti lontana dalla via battuta dagli uomini) ma Temis e Dike. È necessario perciò che tu apprenda ogni cosa, tanto l’immobile cuore della verità perfettamente rotonda quanto le opinioni dei mortali, cui non si può concedere vera fiducia. Ma nondimeno imparerai anche queste, poiché facendo esperienza completa di tutte le cose è necessario che le apparenze siano vagliate.»

7 – 8. Mai in nessun caso questo principio può essere imposto, che esistono cose che non sono. Ma tu da questa via di ricerca allontana il pensiero né l'abitudine delle molte esperienze ti costringa su questa via, a muovere l'occhio che non vede e l'orecchio che rimbomba, e la lingua; giudica invece con il ragionamento la molto pugnace confutazione che io proferisco. Non rimane che il solo discorso della strada che esiste; Vi sono lungo di essa segni moltissimi che l'essere è ingenerato e incorruttibile; è infatti un intero, immobile e senza fine; né aveva, o avrà, le caratteristiche di un insieme, ma ha la sola natura di un tutto. Quale essere in divenire potresti infatti cercare di lui? In che modo e da dove cresciuto? Dal non essere io non permetterò che tu lo dica né che lo pensi: non dicibile infatti e non pensabile è che non sia. Quale bisogno lo avrebbe mai spinto a generarsi, prima o dopo, iniziando dal nulla? Così è necessario che assolutamente esista o non esista affatto. Né la forza dell' argomento concederà che qualcosa si generi mai dal non essere, in aggiunta a lui. Per questo Dike non lo lasciò libero di generarsi né di perire, allentandone i ceppi, ma saldo lo tiene. In tali argomenti la scelta vette dunque su questo, se è o se non è; e si è giudicato, come necessità, di abbandonare la via impensabile indicibile (infatti non è la via della verità), così da affermare, invece, l'esistenza e la realtà di quell' altra. Come potrebbe mai esistere l'essere in un futuro? O come potrebbe nascere? Se infatti nacque, non è, e così pure se dovrà esistere in un futuro. Così sono cancellate una nascita e una morte al tutto ignote. Neppure è divisibile, poiché è tutto identico; né vi è qualcosa di più, né qualcosa di meno che lo storni dalla sua. coerenza con sé, ma è tutto pieno di essere. È dunque un tutto continuo, poiché l'essere tocca l'essere da vicino. Immobile è inoltre nei limiti di immense catene, senza inizio né fine, poiché nascita e morte sono state respinte lontano, le ha scacciate una veritiera dimostrazione. Rimanendo medesimo in sè medesimo se ne sta di per sé, e in questo modo quivi rimane, inconcusso; la salda necessità, infatti, lo tiene incatenato nei termini che lo circondano. Di conseguenza è legge ché l'essere non sia interminato, infatti di nulla è manchevole, mentre il non essere mancherebbe di tutto. Identico è poi il pensare e ciò a causa del quale pensiero. Non troverai infatti il pensiero, senza l'essere nel quale fu proferito; nulla infatti esiste od esisterà fuori dall' essere, poiché la Moira lo strinse in catene per rimanere intero ed immobile. Perciò saranno tutte dei nomi, quante cose i mortali hanno posto, persuasi che fossero vere, il nascere ed il perire, l'essere e il no, e cambiare luogo, e mutare lucente colore, E ancora, poiché esiste un limite ultimo, è dovunque compiuto pari a una sfera perfettamente rotonda, di ugual forza dal centro in ogni parte. È necessario infatti che non sia in nulla più grande e in nulla più piccolo in questa o in quest'altra parte: poiché non esiste alcun ente che possa rimuoverlo da raggiungere l'identità, né esiste un essere che sia in una parte o in un' altra più o meno dell' essere, poiché tutto è inviolabile. In ogni luogo, dunque, identico a sé, tocca ugualmente nei limiti con adesione perfetta. Con questo ho finito di esporti il ragionamento sicuro e il pensiero che illustra la verità; da qui in avanti apprendi le opinioni mortali, ascoltando l'adeguata finzione delle mie parole. Composero infatti i mortali le loro opinioni nel nominare due forme, senza credere necessaria la loro unità: in questo si sono smarriti; opposte le giudicarono nell'aspetto, e posero segni per tenerle lontane l'una dall'altra, da un lato il fuoco volatile della fiamma, benevolo, sottile molto e leggero, in ogni verso identico a sé e non identico, invece, con l'altro. E anche l'altro per sé come opposto, notte oscura, d'aspetto denso e pesante. lo ti manifesto l'ordine così com'è nella sua ragione completa, così che mai l'opinione dei mortali ti faccia smarrire.