Torna al sommario di Comunicazione Filosofica Comunicazione Filosofica n. 10 - maggio 2002
R.M.D. : la centralità metodologica nell’insegnamento della filosofia Cristina Bonelli,
Liceo-Ginnasio “M.Gioia”, Piacenza
Le idee più
importanti vengono trovate per ultime, RMD: aggiornamento come rete. Dopo un primo articolo apparso su Comunicazione filosofica n. 9, del dicembre 2001, ritorniamo sui gruppi di Ricerca Metodologico-Disciplinare (RMD) per precisarne il modo di lavorare, il senso e le ragioni. Essi sono una modalità di svolgere l'aggiornamento professionale in servizio, diversa rispetto alla lettura di una saggio di Heidegger o la partecipazione ad una conferenza su Alberto Magno, modalità tradizionali e nobili che la ricerca RMD non rinnega, ma che ritiene insufficienti, perché tutte centrate sull'accrescimento/perfezionamento del sapere dell'insegnante, ma soprattutto perché spesso hanno difficoltà a tradursi in prassi didattica, in miglioramento dell'efficacia del proprio insegnamento. Più vicine allo spirito RMD sono le forme di aggiornamento legate a seminari o corsi, residenziali o meno, nei quali ad una parte di relazioni/stimolo seguono lavori di gruppo che ne studiano la ricaduta didattica. Tuttavia per la loro durata e il carattere occasionale, questi seminari non possono affrontare con sistematicità i problemi didattici legati alla disciplina, né possono seguire poi il docente coadiuvandolo nella realizzazione del progetto (che spesso nei gruppi di lavoro è solo impostato), sostenendone la spinta innovativa e analizzando con lui la ricaduta formativa. Inoltre, in entrambi i casi si tratta di forme di aggiornamento dall'"alto", che non valorizzano la professionalità e la ricerca dei molti insegnanti motivati e preparati di cui è ricca la scuola. La modalità di aggiornamento proposta dai gruppi RMD è, crediamo, più completa e, speriamo, più efficace e opera dal "basso" attraverso un "modello a rete", ovvero mediante gruppi di aggiornamento permanenti e coordinati. Un aggiornamento che non mette al centro solo l'ampliamento e la precisione del proprio insegnamento, ma la sua qualità, considerata soprattutto come qualità degli esiti formativi. Gli insegnanti (e purtroppo sono ancora molti) che mettono mano alla pistola quando sentono parlare di didattica, che traggono il piacere della propria professione nella narcisistica contemplazione della propria cultura, non condivideranno questa proposta; né la condivideranno gli insegnanti che pensano che tra il sapere e gli studenti ci sia un rapporto diretto e non serva alcuna mediazione, ma basti la semplice comunicazione/trasmissione dei contenuti. Cosa si propone invece l'aggiornamento RMD? Di far uscire l'insegnante da una dimensione autoriferita nella quale sceglie, progetta e conduce, valuta e approva il proprio lavoro in splendido e solipsistico isolamento. Dimensione che spesso ha come corollario la tendenza e perpetuare indefinitamente la propria prassi di insegnamento. Rispetto a questa modalità di vivere la propria professione di insegnante l'aggiornamento RMD propone una ricerca metodologico-disciplinare permanente da attuarsi in forma collaborativa. Potremmo definirla la creazione di centri di aggiornamento disciplinare permanenti sul territorio, aperti a tutti coloro che non solo amano la propria disciplina, ma anche la propria professione. Concretamente la rete RMD si è costituita attraverso la creazione di gruppi di lavoro territoriali di piccole dimensioni, connessi tra loro mediante un coordinamento provinciale e un successivo coordinamento regionale. Il gruppo di lavoro è gruppo di stimolo e di discussione, di confronto e scambio di esperienze/materiali/strumenti, di progettazione condivisa, di ottimizzazione delle forze e dell'impegno, di sperimentazione, nonché centro propulsore per la circolazione delle idee e delle esperienze. I punti di forza della rete sono due: la collaborazione, che permette di affrontare anche i compiti più gravosi di progettazione e di ricerca, e il suo carattere di centro di aggiornamento permanente, nel quale si entra, si esce, si ritorna a seconda delle proprie disponibilità di tempo e di lavoro. Il carattere permanente del gruppo permette di affrontare con i tempi e le forze necessarie problemi come l'impostazione complessiva della disciplina, la sua analisi disciplinare, la riflessione sulle modalità di traduzione in prassi didattica del sapere filosofico, e soprattutto di non limitarsi a gettare semi sperando che germoglino (come molte forme di aggiornamento in servizio), bensì di seguire un progetto didattico dall'ideazione alla valutazione degli esiti formativi, attraverso le tappe intermedie della progettazione e sperimentazione. La progettazione comune permette la suddivisione dei compiti a seconda della proprie attitudini, competenze e disponibilità, mentre la condivisione delle sperimentazioni e dei risultati permette di testare la validità di un modulo, di un percorso, di una impostazione, di una metodologia, in un ambito più vasto, migliorandone la generalizzabilità. Molti di noi hanno partecipato a una "due giorni di aggiornamento", anche full-time, in cui magari nel secondo giorno si sono costituiti gruppi di lavoro che analizzavano le ricadute didattiche delle relazioni del primo. E quanti di noi ne sono usciti pieni di carica, ma poi, rientrando nella quotidianità, si sono spaventati della vastità del compito di ricerca e progettazione che avevano di fronte, sono stati assaliti da dubbi sulla realizzabilità, o sulle proprie capacità, e hanno visto la propria voglia di innovazione spegnersi a poco a poco? L'esistenza di un gruppo collaborativo è anche un antidoto a questo scoramento. Ma come funzionano in concreto i gruppi e la rete? I gruppi RMD sono entità autonome, ma coordinate. I due aspetti, autonomia e coordinamento, convivono senza soffocarsi. Il coordinamento regionale propone all'inizio di ogni anno un progetto di ricerca comune, scelto ovviamente a partire dai bisogni formativi dei colleghi. Questo lavoro comune si riparte tra i gruppi provinciali, i quali affiancano ad esso specifici progetti, anche individuali nella progettazione, ma comunque confrontati e discussi, integrati dal contributo di altri, perché nessuno è onnisciente e anche la creatività ha un limite. Per la rete virtuale di Internet è stata usata la metafora dell'intelligenza collettiva, a maggior ragione questo vale per la rete in presenza RMD. Ma un esempio crediamo possa essere utile per uscire dalla genericità. Quest'anno la rete RMD dell'Emilia Romagna si è data come progetto la prosecuzione dell'analisi disciplinare avviata l'anno scorso e già pubblicata su questa rivista, ampliando la riflessione sulle competenze filosofiche. Essendo state individuate sette competenze portanti, il gruppo regionale ha distribuito nei vari gruppi provinciali l'approfondimento di ciascuna di esse, facendo in modo che tutte fossero trattate da almeno due gruppi. Successivamente le due o tre competenze di un gruppo provinciale, scelte in base alle proprie forze, ai propri interessi e alle proprie specializzazioni, sono state ulteriormente distribuite all'interno di sottogruppi provinciali o trattate collegialmente. Alcuni colleghi non sono interessati all'analisi disciplinare o hanno altre urgenze e invece di occuparsi dell'analisi disciplinare hanno preferito procedere nella costruzione di percorsi tematici sottoponendoli all'analisi del gruppo, ricevendo contributi, etc. La rete ha quindi funzionato sia come luogo di socializzazione dei tempi e delle risorse per progetti comuni, che come luogo di stimolo e confronto per progetti personali, entrambi finalizzati a un miglioramento della propria didattica disciplinare. “Questo lavoro di progettazione lo faccio da sempre e da solo”, qualcuno dirà. Certo, molti di noi producono moduli didattici, costruiscono programmazioni innovative, ma in che tempi, a che prezzi e con quali riscontri? Se quel lavoro fosse invece supportato, condiviso, validato collettivamente, non sarebbe più semplice, più efficace, e, diciamolo, anche più gradevole? E da soli si può pensare di fare anche l'analisi disciplinare completa ad un livello non superficiale? Si può rimettere in discussione finalità e modalità didattiche della materia e affrontarne una completa revisione che porti la filosofia, come disciplina scolastica, e la sua didattica al passo con le trasformazioni della società contemporanea e dell'universo culturale e dei bisogni dei nostri studenti? Noi, personalmente, abbiamo preferito farlo in rete. Ma questa è ancora solo la forma organizzativa della ricerca RMD, il suo valore aggiunto come forma di aggiornamento, ma ovviamente non spiega le ragioni professionali che ci hanno mosso a intraprenderla , né gli obiettivi della sua ricerca. Le ragioni del percorso di ricerca metodologico-disciplinare. Un problema che noi, insegnanti oggi impegnati nei gruppi RMD, abbiamo sempre avvertito, e in forma direi acuta ogni volta che preparavamo il piano annuale di lavoro, era lo iato tra obiettivi meravigliosi quali lo sviluppo di un pensiero critico, l'autonomia di riflessione, la capacità di ragionare, la flessibilità nell'approccio ai problemi, e i mezzi piuttosto tradizionali che indicavamo per conseguirli: sostanzialmente basati sull'insegnare una serie di autori, o di movimenti, talvolta una serie di tematiche. Più o meno quello che si fa da cinquant'anni. Sembrava quasi che una volta che fossero stati definiti gli obiettivi, questi potessero conseguirsi taumaturgicamente, forse per imposizione delle mani sulla testa dei ragazzi. Sembrava cioè che il semplice "dire" la filosofia hegeliana permettesse ai ragazzi non solo di comprenderla a fondo, ma addirittura di insegnare loro a ragionare, che il semplice presentare due posizioni su un problema equivalesse a farne persone flessibili, capaci magari anche di elaborare autonomamente una propria posizione originale e argomentativamente fondata. Un po' come una volta si pensava che per fare bene un tema ai ragazzi bastasse fare temi. Poi ci si stupiva che in tredici anni di temi scrivessero spesso cose piuttosto banali, e qualche volta anche malino. Ma oggi sappiamo che per saper scrivere bisogna riflettere sull'operazione di scrittura e i ragazzi devono per gradi imparare a fare e controllare una serie di operazioni. Cioè a scrivere non si impara solo perché si scrive, ma perché si segue un processo di sviluppo delle competenze di scrittura. Questo iato tra obiettivi e mezzi con cui si spera di conseguirli, nonché i risultati ottenuti (non parliamo in generale di "sapere" la storia della filosofia, che quello si ottiene, ma di risultati in riferimento agli obiettivi formativi sopra indicati, che sentiamo come più importanti), è sempre stato il problema principale di una didattica consapevole. Un certo rinnovamento della didattica si è conseguito inserendo i testi nel lavoro in classe, ma senza che risultasse chiaro perché e in che modo quel lavoro sui testi conseguiva meglio di altri i magnifici obiettivi che pur tutti sentiamo stanno dentro le potenzialità della materia. Non sono obiettivi retorici, ma velleitaria ci sembra la possibilità di raggiungerli senza una chiara riflessione su cosa insegnare, perché insegnare questo e non quello, come insegnarlo e in che ordine insegnarlo. Si tratta di sviluppare una forte consapevolezza degli obiettivi e dello statuto della disciplina che portino ad una forte razionalizzazione dei contenuti, selezionati e organizzati non in base alla sequenza con cui si presentano nel manuale o nella tradizione scolastica, ma seguendo criteri che permettano di sviluppare appieno la valenza formativa della disciplina. Il lavoro presentato nel numero 9 di Comunicazione Filosofica con il titolo Dai nuclei fondanti alle competenze è appunto il primo risultato di questa riflessione applicata alla filosofia: individuazione, in una prospettiva didattica, degli elementi forti della filosofia che possiamo definire i nuclei fondanti, dati questi nuclei quale pratica didattica consegue, quali competenze conseguono, e infine quali metodologie per svilupparle. In particolare la riflessione sulle competenze - traducibili in obiettivi formativi e disciplinari - è subito apparsa centrale, perché la filosofia non può esaurirsi nella sua storia, ma risiede piuttosto in una modalità, variamente definita e definibile di attività di pensiero; e se pretendere di farla universalmente conseguire, di fare di tutti dei filosofi, è forse chiedere troppo, avviare un percorso didattico che la imposti, capire almeno in cosa consiste, didatticamente, la sua specificità e iniziare a far confrontare attivamente con essa gli studenti, ci sembra un dovere irrinunciabile. Il percorso di lavoro per giungere a questa tappa nella riflessione disciplinare non è stato lineare, ma progressivamente si è meglio definito e ora appare impostato con una sua coerenza e prefigura già il proprio sviluppo centrato, come detto, sull'analisi delle competenze di cui si cerca di individuare l'articolazione, la progressione, i metodi adatti al loro sviluppo e gli strumenti per il monitoraggio e la valutazione del loro processo di apprendimento. Tutto questo grazie alla ricerc-azione condotta da ciascun insegnante RMD in classe, sottoposta alla riflessione collettiva del gruppo di lavoro. E la ricerca metodologico-disciplinare parte proprio da qui: dal lavoro in classe, dal singolo insegnante, e lì deve ritornare, se vuole essere aggiornamento non formale, bensì effettivo. RMD: aggiornamento come ricerc-azione. L’esito di ogni reale processo innovativo nella scuola dipende dalla capacità di mobilitare, nel processo di cambiamento, quel consistente numero di insegnanti che, nonostante l’assenza d’incentivi professionali, continua a mostrare alti livelli d’impegno e competenza professionale. Sono questi gli insegnanti su cui puntare e da valorizzare, stimolandoli verso un’attività maggiormente consapevole e visibile. La “questione insegnanti” (della loro formazione, aggiornamento, identificazione del ruolo e della professionalità) risulta per noi cruciale, perché nessuna riforma reale passa attraverso la semplice elaborazione di una legge, ma cammina sempre “sulle gambe (e la testa) degli insegnanti”. Altrimenti, come già spesso è capitato, resta la solita operazione gattopardesca. Ci preme allora mutare non tanto la normativa istituzionale quanto la vita quotidiana della scuola: l’aula e i suoi soggetti; insomma, deve migliorare la didattica concreta, attraverso metodologie adeguate, capacità d’interazione, flessibilità curricolare e strumentale, apprendimenti/insegnamenti riflessivi. Infatti un nodo critico della scuola italiana è il suo dilettantismo didattico, poiché nessun docente ha studiato didattica prima d’insegnare, e per questo "impara a insegnare" sul campo, tramite l’esperienza e le occasioni di confronto professionale, ma senza un apparato strutturale di supporto, aiuto, scambio, verifica/valutazione che aiuti a crescere la sua professionalità. Ne consegue che spesso ci assestiamo su un modello didattico standard "di sopravvivenza" che poi applichiamo a tutti i contesti. Eppure non è affatto vero che tutte le metodologie didattiche siano uguali, che l'incontro del sapere con lo studente raggiunga gli stessi esiti (ritenuto dai più dipendente solo dalle capacità e dall'impegno dello studente) qualsiasi strada si segua per farli entrare in contatto. Operare per modelli o attraverso tipologie differenziate di analisi di testi, per concettualizzazioni o per discussioni guidate, mediante la costruzione di glossari e ipertesti o praticando in altri modi il laboratorio filosofico, produce risultati diversi e più o meno adeguati a seconda degli obiettivi di competenza che vogliamo raggiungere. L'unico elemento comune a tutte le metodologie dovrebbe essere - se l'ansia di programma non ci travolge - una didattica attiva, che non "dica", ma permetta di provare a "fare" filosofia, che insegni a problematizzare attraverso l'esercizio da parte dello studente della pratica della problematizzazione, a concettualizzare attraverso un sistematico esercizio di elevazione della propria esperienza, a confrontarsi con un autore o una tradizione attraverso un vero dialogo con il testo. Ovvio, nell'insegnamento della filosofia, come in ogni altra disciplina, centrali sono le finalità, ma nella nostra riflessione in quanto insegnanti, centrali devono essere i metodi e gli strumenti attraverso cui possiamo conseguirle. E i mezzi dipendono dal contesto di partenza, dagli obiettivi che mi propongo in questo segmento di programmazione, dai contenuti che veicolo in esso. Se scrivere un riassunto o un saggio breve, e insegnare a scriverli, richiede tecniche diverse, perché problematizzare o argomentare no? L'autonomia didattica non può continuare a essere spontaneistica: la libertà d’insegnamento che esce dall’autonomia deve considerarsi come responsabilità professionale che si misura sugli esiti dell’apprendimento di ogni allievo. I curricoli sono fatti per insegnare e per apprendere, non sono più, come i vecchi programmi, il dominio dei contenuti. E’ quindi necessario e decisivo investire sulla nascita di reti di comunicazione, confronto, scambio di esperienze didattiche e di valorizzazione delle pratiche migliori, sulla consapevolezza delle strumentazioni e sulle metodologie finalizzate all’apprendimento al massimo livello di potenzialità per ognuno. Allora non basta conoscere bene la disciplina, ma è indispensabile anche saperla insegnare e saper insegnare una disciplina significa sapere come la si apprende. La didattica non è un’arte estemporanea, ha invece propri statuti, proprie competenze ed è determinante per i risultati. Ecco perché il contesto d’apprendimento (i tempi, i luoghi, le metodologie) risulta il cuore della nostra riflessione. Questo contesto deve essere consapevole, flessibile, centrato su un apprendimento reale e non passivo, possibile in situazioni positive e motivanti di ricerc-azione. Interroghiamoci sul senso, in termini sia scientifici che di sviluppo delle competenze professionali, del lavoro docente concepito come ricerc-azione. Consideriamo la ricerc-azione come strategia di conoscenza da una parte e pratica di formazione continua dall’altra, concetto complesso dunque, in quanto teorico-pratico, interazione e feedback tra teoria e prassi didattica: è ricerca in continua definizione, revisione, riflessione, sulla base di sempre diverse e successive sperimentazioni, calibrate e variate all’interno dei diversi contesti-classe. E’ didattica flessibile ma non priva di riferimenti e obiettivi consapevoli individuati nell’analisi della struttura disciplinare, che sostanzia e salvaguarda la qualità dell’insegnamento pur calibrandolo sulla specificità del contesto classe. Il significato della ricerc-azione ci sembra condurre alla valorizzazione, da una parte, della pratica didattica come conoscenza valida e pienamente apprezzabile e, dall’altra, della collaborazione degli insegnanti ricercatori come motivo di crescita professionale. Il suo principio basilare consiste nella convinzione che è possibile ottenere conoscenza consapevole (e verificabile) attraverso l’azione, e la collaborazione scientifico-professionale degli insegnanti sul campo diventa, in tal senso, una risorsa fondamentale. Nella ricerc-azione partecipata, allora, ci si avvale del recupero dell’esperienza, delle abilità procedurali-metodologiche e della sensibilità al contesto che l’insegnante è in grado di esprimere ed esercitare. Nello stesso tempo, tale attività/esperienza, rigorosamente documentata, viene sottoposta a riflessività critica, in quanto la ricerc-azione non è semplice descrizione/documentazione della pratica, ma consiste soprattutto nel suo trattamento cognitivo ai fini di elaborare una proposta sensata in quanto esplicitata nei suoi costrutti teorici, fattibile in quanto sperimentata e innovativa nell’impianto progettuale e metodologico. In ogni caso lo stesso prodotto finale di una ricerc-azione non va tanto valutato per il suo contenuto di merito (sempre più o meno condivisibile, sempre più o meno perfettibile), quanto per le dinamiche innovative (di approccio teorico e di soluzione pratica) che la ricerca ha innescato nei soggetti coinvolti, chiamati a misurarsi su un terreno inedito, con la consegna di formulare proposte sensate (ordinate teoricamente) e fattibili (didatticamente sperimentate). In conclusione riteniamo che la ricerc-azione, privilegiando l’attività di ricerca/sperimentazione come agente di cambiamento, evidenzi alcune fondamentali caratteristiche dell’R.M.D.: l’implicazione diretta, personale, soggettivamente rilevante nei confronti della didattica; la stretta relazione tra riflessione teorica/epistemica ed esperienza didattica, nel senso che l’analisi disciplinare intorno a nuclei/competenze della filosofia struttura la progettazione/sperimentazione della didattica modulare in classe e viceversa la riflessione sugli esiti d’apprendimento ottenuti conduce a modificare/convalidare la riflessione teorica disciplinare; la verifica/valutazione del lavoro di ricerca avviene per via intersoggettiva, dialettica, propositiva e produce effetti già nel suo corso stesso e non in termini dilazionati rispetto alle sue conclusioni (anzi non si dà conclusione, ma ogni proposta assume un carattere tipicamente aperto e perfettibile); infine si definisce l’insegnante come ricercatore e si spera che chi opera nella didattica ne assuma come significativo il punto di vista. Tali connotati della ricerc-azione ci hanno poi condotto a trovare nella didattica modulare la cornice più funzionale a conseguire il traguardo delle competenze e l’esplicitazione dei nuclei fondanti disciplinari. Tramite la programmazione per moduli è infatti possibile strutturare segmenti di programma metodologicamente e tematicamente omogenei, individuando gli obiettivi formativi ad essi ottimali, nonché le metodologie di lavoro più idonee a conseguirli: se crediamo che imparare a dialogare filosoficamente sia una competenza che ogni studente deve raggiungere crediamo ovvio che si cerchi di strutturare un percorso per svilupparla all'interno di un modulo sulla filosofia socratica piuttosto che su quella hegeliana, così come l'argomentazione logica si sviluppa più facilmente facendo lavorare gli studenti su Aristotele o Spinoza piuttosto che su Nietzsche, maggiormente adatto invece per sviluppare la consapevolezza della propria soggettività. L'insegnamento modulare quindi permette di ottimizzare il metodo didattico rispetto ai contenuti e agli obiettivi di diversi segmenti di programma. Noi insegnanti di solito ci atteniamo a uno, massimo due, metodi privilegiati consolidati dalla tradizione e dalla formazione pregressa (usualmente la lezione frontale, integrata dalla lettura di testi o qualche discussione più o meno consapevolmente guidata e finalizzata a obiettivi precisi), ma sperare che lo stesso metodo possa ottenere lo sviluppo di competenze diversificate, è come utilizzare un'unica tecnica pittorica sperando di ottenerne ogni tipo di effetto e di poter lavorare su ogni tipo di superficie. E così come noi individuiamo diverse competenze nell'allievo collegandole a vari metodi funzionali al loro conseguimento, altrettanto riteniamo che la professionalità docente sia costituita anche da una varia e diversificata padronanza di metodi. Il metodo è la via, la strada attraverso cui dal contesto di partenza si cerca di ottenere il massimo risultato, perché ogni esito d’apprendimento, siamo convinti, è direttamente condizionato dal percorso scelto per ottenerlo. L'insegnante RMD vorrebbe non essere solo un insegnante colto (precondizione necessaria, ma non sufficiente), ma soprattutto un insegnante efficace, capace di raggiungere il successo formativo nella propria disciplina, e raggiungerlo per tutti e non solo per i "soliti bravi", che spesso sono tali anche senza di noi. In questo consiste fondamentalmente la ricerca metodologico-disciplinare: cercare dentro la disciplina, attraverso i suoi contenuti, le metodologie più efficaci per ottenere gli obiettivi che noi docenti di filosofia ci proponiamo e che essa permette. E' una ricerca che si lega direttamente, senza peraltro farsi condizionare, all’esperienza della Didattica Breve che, per prima, si è posta l’obiettivo di sviluppare competenze, fino a individuare “nella capacità di trasferire ciò che si apprende da un campo all’altro del sapere” (F. Piazzi), vale a dire nell’acquisizione procedurale e metodologica transdisciplinare, il vero traguardo formativo. Richiamiamo i concetti-chiave della DB e decliniamoli nella modularità: la “distillazione verticale” opera la selezione dei contenuti significativi che nel modulo costituiscono altrettante fasi/unità di apprendimento, vale a dire la distillazione corrisponde all’analisi disciplinare volta a individuare i nuclei fondanti del sapere in base ai quali operare la selezione contenutistica; così la “distillazione orizzontale” riguarda la focalizzazione/strutturazione del modulo su elementi specifici in grado di esibire la struttura epistemologica della disciplina nei suoi modelli costitutivi, le sue rilevanze; Ciampolini è poi il primo a proporre la figura dell’insegnante sempre meno ripetitore e sempre più “ricercatore di metodologie”, al fine di produrre uno “sfoltimento riorganizzato di contenuti” disciplinari, a parlare di razionalizzazione dell’atto didattico (come fasi della progettazione controllabili e finalizzate al raggiungimento di risultati distinti e verificabili) , di chiarezza metodologica e di valorizzazione delle sinergie. Come ben ha già evidenziato A. Girotti, “la DB è un invito rivolto a tutti i docenti di farsi ricercatori di metodi nuovi all’interno della propria disciplina. Costringere i docenti alla razionalizzazione del proprio lavoro, sollecitarli alla riflessione critica circa il senso del fare scuola, circa il modo in cui programmare, incoraggiare ad operare una selezione ragionata sui contenuti della disciplina, individuare nuove strategie” , tutto questo ci pare costituire una significativa e rilevante eredità che a tutt’oggi ci stimola verso un ripensamento complessivo della funzione docente. La didattica modulare e la sua strategia fortemente centrata sull’analisi/riflessione disciplinare, sull’uso di operatori cognitivi, sulla strutturazione/segmentazione di fasi d’apprendimento, sulla flessibilità come punto fondante metodologico ci paiono declinare e aggiornare la logica della DB e del suo decostruire/ricostruire la disciplina in un percorso che dal sapere codificato sviluppa il “pensiero circolare”, dal prodotto deriva il processo, dalla parola il pensiero. Un progetto forse ambizioso quello RMD, una sfida, ma che noi riteniamo valga la pena di raccogliere, sempreché se ne condivida il presupposto fondamentale: che l'incontro dello studente con la filosofia debba lasciare qualcosa di più che il ricordo di chi era quello della cicuta o dell'aneddoto sul mattacchione che guardava il cielo e poi cadeva nel pozzo, e anche qualcosa di più consapevole, più duraturo e più frequente del romantico innamoramento per Pascal o per Rousseau che ancora per troppi di noi segna il massimo risultato da conseguire. |