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Comunicazione Filosofica n. 10  maggio 2002

 

Bachelard e la formazione dello spirito scientifico: una prospettiva di pedagogia della conoscenza *

Gaspare Polizzi

 

Gaston Bachelard è un pensatore poco noto e La formation de l'esprit scientifique (1938) un testo poco frequentato: l'assunto della mia proposta risiede proprio nel dare ragione della attuale significatività della riflessione intorno alla Formazione dello spirito scientifico di Bachelard, in stretto rapporto con l'indagine psicopedagogica ed epistemologica.

È scontato richiamare il ruolo dell’epistemologia nella formazione disciplinare e didattica del docente di filosofia: porre questioni legate ai limiti di validità e ai criteri metodologici del sapere scientifico non è soltanto imprescindibile testimonianza di una delle tracce più ricche della riflessione filosofica del ‘900, ma comporta un’indagine sulle forme della trasmissione del sapere e di conseguenza sui caratteri di una pedagogia della conoscenza e della scienza.

A mio avviso l'epistemologia di Bachelard ha proposto, in un altro contesto e con una profondità filosofica ritengo maggiore, problemi paralleli a quelli, più noti, formulati da Thomas S. Kuhn, in direzione del rapporto storia-scienza, psicologia-scienza, sociologia-scienza, con riflessi rilevanti per una ricerca psicopedagogica sulle forme della conoscenza.[1] A partire dalla fine degli anni Venti e dopo la fase delle origini - ben rappresentata da figure di filosofi-scienziati come quella di Henri Poincaré[2] - Bachelard occupa un posto decisamente centrale nello sviluppo dell'epistemologia francese: la sua ricerca assume, nella cultura filosofica francese, un ruolo propulsivo simile a quello contemporaneamente svolto dall'empirismo logico per quella di lingua tedesca e inglese.

Senza entrare nella prospettiva di una ricostruzione storica complessiva mi limiterò qui a presentare sommariamente alcuni aspetti del pensiero bachelardiano, commentando da vicino La formazione dello spirito scientifico, nella direzione di una pedagogia della conoscenza, sostanziata anche dalla lunga esperienza didattica del filosofo di Bar-sur-Aube.[3]

 

Filosofia e scienza in Bachelard: “nuovo spirito scientifico” e “filosofia del non”

 

Le opere di Bachelard, molto numerose, si presentano suddivise in due ambiti ben distinti, con una ciclicità di produzione che alterna gli scritti più propriamente epistemologici e di storia delle scienze con quelli dedicati all'immaginario poetico e letterario. Fino al 1940 prevalgono gli studi epistemologici, in seguito risultano più numerose le ricerche sull'immaginario e sul sogno.

Ricordo alcune tra le principali ricerche storico-epistemologiche. Dopo la sua tesi di dottorato - Saggio sulla conoscenza approssimata (1928) -, che affronta il tema dell'approssimazione e del rigore in matematica, anche in rapporto alle scienze fisiche, Bachelard pubblica saggi sulla teoria della relatività - Il valore induttivo della relatività (1929) -, sulla chimica - Il pluralismo coerente della chimica moderna (1932) -, sulle teorie atomiche - Le intuizioni atomistiche (1935) -, sui concetti scientifici e intuitivi di tempo e spazio - La dialettica della durata (1936) e L'esperienza dello spazio nella fisica contemporanea (1937). Ma le opere epistemologiche più note e significative sono: Il nuovo spirito scientifico (1934), che presenta il nucleo propositivo dell'epistemologia bachelardiana; La formazione dello spirito scientifico (1938), che porrò al centro del mio intervento; La filosofia del non (1940), che caratterizza la portata innovativa generale della filosofia della scienza di Bachelard in contrapposizione con la gnoseologia classica; e i due volumi Il razionalismo applicato (1949) e Il materialismo razionale (1953), che dialettizzano attorno al razionalismo e al materialismo alcuni concetti-chiave dell'epistemologia della fisica e della chimica.

Nel Nuovo spirito scientifico, manifesto programmatico della sua epistemologia, Bachelard prospetta un nuovo orizzonte dell’epistemologia, in alternativa alla tradizione classica della filosofia della conoscenza: dinanzi alle trasformazioni profonde della conoscenza scientifica del '900 la scienza non ha la “filosofia che si merita”. Il nuovo spirito scientifico, istituitosi simbolicamente per Bachelard nel 1905 con la teoria della relatività, esprime un livello di purificazione razionale che rafforza ed estende l'oggettività della conoscenza scientifica. Per raggiungere la portata filosofica delle nuove teorie fisico-matematiche è innanzitutto necessario abbandonare il terreno delle contrapposizioni gnoseologiche assolute, come quella tra realismo e razionalismo, e dialettizzare i concetti filosofici muovendo dall’interno delle stesse procedure scientifiche. La scienza contemporanea mostra una dialettica aperta dei concetti filosofici, istruita al procedere storico e psicologico delle scienze. Il nuovo spirito scientifico di essa renderà conto, prendendo a modello le svolte prodottesi tra i due secoli nelle scienze matematiche e fisiche e proponendo una sintesi filosofica non cartesiana, nella quale prende corpo una visione attualizzata della scienza. La filosofia non cartesiana sintetizza e dialettizza le polarità classiche della metafisica, procedendo dal razionale al reale, verso la realizzazione del razionale e del matematico, lungo un percorso che collega la realtà spiegata e il pensiero  applicato. Il nuovo spirito scientifico viene così a costituirsi nella dialettica costante, storica e psicologica, tra polarità concettuali, nella negazione e nel superamento delle zone classiche del sapere fisico-matematico: le geometrie non euclidee, la meccanica non newtoniana, la fisica non maxwelliana, l'aritmetica non pitagorica sono discipline che si collocano nella complessità di una scienza che ha abbandonato l'ideale cartesiano della chiarezza e della distinzione. Esso si presenta come un modello di conoscenza relazionale e dinamico che dissolve le essenze e fa sì che i concetti scientifici non si fissino in categorie definite e sostanziali, come ancora in parte avveniva per la scienza classica. Il progetto epistemologico così delineato tiene conto del fatto che la filosofia deve essere "educata" al rigore concettuale e sperimentale delle scienze (naturali), ma non propone - diversamente da quanto farà l'empirismo logico - un criterio rigido di demarcazione scientifica.

L'epistemologia bachelardiana si risolve quindi in una “filosofia del non”, che fa tesoro delle negazioni prodottesi nei singoli campi disciplinari per condurre a una visione aperta, storica e dialettica della scienza, a un “surrazionalismo” che oltrepassi il razionalismo sintetizzandolo con il materialismo nel procedere concreto e discontinuo delle scienze. Bachelard svilupperà nelle sue singole articolazioni il piano di una “filosofia del non”, muovendosi su tre livelli: intorno a una categoria filosofico-scientifica fondamentale - quella di sostanza -, a una intuizione elementare - quella di spazio -, a una logica - quella aristotelica. L'esito del percorso confermerà, nel superamento di forme di pensiero ritenute immutabili, il valore dialettico e sintetico della “filosofia del non”.[4] Ne consegue che la ragione è il prodotto della conformazione epistemologica delle scienze, di una “filosofia dialogata” nella quale convergono le principali svolte della scienza contemporanea (relatività, quanti, chimica atomica). Lo scienziato è inserito in una “città scientifica” che costruisce la propria oggettività attraverso l’incrocio degli specialismi, in un’opera progressiva di rettificazione e di generalizzazione. La filosofia scientifica che Bachelard auspica introduce nell’epistemologia una componente storica, psicologica e pedagogica non presente nell’empirismo logico: ciò avviene nel segno di una netta rottura tra ragione scientifica e senso comune e di una concezione epistemologica della storia che attualizza le teorie scientifiche del passato.

In definitiva, la filosofia si presenta per Bachelard al punto di confluenza del procedere dialettico e discontinuo della razionalizzazione scientifica: “insomma, la scienza istruisce la ragione. La ragione deve obbedire alla scienza, alla scienza più evoluta, alla scienza che evolve. La ragione non ha il diritto di privilegiare una esperienza immediata; al contrario, deve mettersi in equilibrio con l'esperienza più riccamente strutturata. In tutte le circostanze, l'immediato deve cedere il passo al costruito”.[5] Non è la scienza a conformarsi alla ragione, ma è la ragione a essere riconosciuta come il prodotto mutevole e storico, sempre aperto, dell'attività scientifica.[6]

Il rilevante valore storico dell'opera bachelardiana può essere riconosciuto anche tramite confronti con altre tendenze dell'epistemologia e della psico-pedagogia. La sua epistemologia psicologica e storica non è lontana, ad esempio, dall'epistemologia genetica di Jean Piaget, se non per l'accentuazione discontinuista e "psicoanalitica" della dimensione dell'inconscio prescientifico come fonte degli errori della conoscenza. Richiamando inoltre il pensiero di Karl R. Popper si può riconoscere che l'epistemologia storica di Bachelard appare più ricca e metodologicamente più convincente del fallibilismo popperiano, per l'attenzione rivolta insieme al contesto psicologico e a quello storico in cui si produce la conoscenza scientifica; tale asserzione può essere avvalorata dall'accennato confronto con la "nuova epistemologia" post-popperiana di Kuhn e di P. Feyerabend. Mentre con la riflessione di Feyerabend non troverei un parallelismo troppo stretto: distante appare l'"anarchismo metodologico" di quest'ultimo dal razionalismo aperto, risoluto nell'esaltazione delle svolte della conoscenza scientifica del primo Novecento. Ho rilevato l'interessante analogia con la teoria dei paradigmi di Kuhn, nella quale - oltre alla similarità di indicazioni storiche, sociologiche, psicologiche e pedagogiche - permane il riconoscimento del carattere progressivo e autoconsistente della conoscenza scientifica.

A partire da tali punti di riferimento l'epistemologia bachelardiana mi pare possa presentare i caratteri di una forma originale di indagine epistemologica che, coniugando attenzione storica, precisione del dettaglio e interessi psicologici, si proponga - dopo il tramonto dell'empirismo logico - come un'alternativa rispetto alla linea epistemologica prevalente da esso espressa.

 

La formazione dello spirito scientifico: per una pedagogia della conoscenza scientifica

 

Guardiamo ora ai contenuti della Formazione dello spirito scientifico, opera epistemologica a mio avviso di grande rilievo nel panorama novecentesco, ma anche scritto di pedagogia e di quella che chiamerei "etica epistemologica". Scritta nel 1938, quattro anni dopo Il nuovo spirito scientifico e due anni prima della Filosofia del non, La formazione dello spirito scientifico si presenta – recita il sottotitolo – come un Contributo a una psicoanalisi della conoscenza oggettiva che permetta di cogliere la genealogia della conoscenza razionale nella struttura psicologica dell'individuo, in corrispondenza con la costituzione storica della conoscenza scientifica.

Il carattere metodologicamente innovativo dell'opera verte sulla funzione dell’epistemologia in rapporto alla psicoanalisi. Bachelard mette in atto di una "teoria dell'interferenza" tra epistemologia e psicologia,[7] che può essere letta come un'alternativa metodologica al falsificazionismo popperiano. Non basta distinguere - come aveva proposto Popper[8] - psicologia della scoperta e logica della giustificazione, bisogna rintracciare le radici psicologiche della logica scientifica nei modi di formazione della razionalità stessa, onde permettere una "purificazione" dell'attività razionale, una "recinzione" delle pulsioni inconsce che fanno massa sulla conoscenza oggettiva. Questa attenzione alla miscela di sapere scientifico e di pregiudizi "mitici" permetterà a Bachelard - proprio dal 1938 - la biforcazione degli interessi tra il "giorno" della razionalità lucida e rigorosa e la "notte" della reverie, del vasto continente dell'immaginario.[9] Lo scandaglio nelle profondità irrazionali della psiche serve a "depurare" la razionalità scientifica distinguendo nettamente lo spazio della reverie da quello della ragione. La "teoria dell'interferenza" assume soprattutto un valore metodologico, perché consente di avvicinare due forme di sapere in via di costituzione: la psicoanalisi e l'epistemologia, della quale Bachelard è il primo grande testimone in Francia. In Bachelard il sapere psicoanalitico fluidifica il rapporto tra psicologia ed epistemologia sia attraverso un costante riferimento all'asse storico, sia con lo strumento di una dialettica aperta e approssimata.

Il problema dell'ostacolo è posto con chiarezza da Bachelard fin dalle prime pagine del libro. La conoscenza si organizza attraverso un processo formativo che consiste nel progressivo superamento di "ostacoli epistemologici": “è in termini di ostacoli che bisogna porre il problema della conoscenza scientifica”, in quanto si conosce “contro una conoscenza anteriore, distruggendo conoscenze mal fatte, superando quello che nello spirito stesso fa da ostacolo alla spiritualizzazione” (FSS 11).[10] Il procedere storico e psicologico dello spirito scientifico si configura come il superamento degli ostacoli frapposti dal senso comune, dal pensare metafisico e dal senso comune scientifico al progresso delle scienze. Superare i pregiudizi contenuti nell'opinione per ritrovare lo spirito inventivo, questo il percorso difficile che compie la scienza nel suo cammino storico e psicologico. L'ostacolo epistemologico appare come un vero limite psicologico al prodursi dei concetti scientifici, quasi che soltanto con il superamento della confusione presente nell'opinione comune si pervenga a quel raffinamento intellettuale che le rivoluzioni del pensiero scientifico hanno favorito. Il proposito del volume consiste proprio nel rintracciare - sia sul piano storico che su quello psicologico - la presenza dei più rilevanti ostacoli epistemologici.[11]

Dalla concezione dell'ostacolo epistemologico emerge un'immagine normativa, epistemologica, della storia delle scienze, nella quale il giudizio di scientificità viene assunto a partire dal presente della ragione scientifica; un'epistemologia storica, quella di Bachelard, che tiene in scarsa considerazione le vicende interne della storia delle scienze e la loro spiegazione alla luce del contesto culturale, per valorizzare invece il processo di razionalizzazione come si configura nello stato presente della ricerca. Ogni momento della crescita della conoscenza rappresenta un "salto" rispetto allo stato diffuso delle conoscenze precostituite, nell'opinione comune come nella mente dell'individuo. Si tratta quindi di sviluppare un metodo di analisi psicologica che permetta di individuare gli "ostacoli" impliciti nella mente e sedimentati dal processo storico della crescita della conoscenza.

Seguiamo ora la trama progettuale che sottende l’opera, a partire dal Discorso preliminare, nel quale Bachelard individua come compito primario dello spirito scientifico quello di “rendere geometrica la rappresentazione, vale a dire descrivere i fenomeni e ordinare in serie gli eventi decisivi di un’esperienza” (FSS 1). L'astrazione è la pratica normale e feconda dello spirito scientifico: l'ordine astratto è un ordine provato, sottoposto ad attenta verifica. Seguendo una prospettiva esplicitamente comtiana, Bachelard individua tre periodi del pensiero scientifico: “il primo periodo, che rappresenta lo stato prescientifico, dovrebbe comprendere a un tempo l’antichità classica, il Rinascimento e i secoli dei nuovi sforzi, ossia il XVI, il XVII e persino il XVIII secolo. Il secondo periodo, che rappresenta lo stato scientifico, in preparazione già dalla fine del XVIII secolo, potrebbe esten­dersi a tutto il XIX secolo e agli inizi del XX. In terzo luogo, fisseremo con estrema precisione l’inizio dell’era del nuovo spirito scientifico nel 1905, quando la relatività ­einsteiniana deforma a1cuni concetti primordiali che si credevano ormai fissati per sempre” (FSS 3). Ne scaturisce una legge dei tre stati per lo spirito scientifico: “nella sua formazione individuale, uno spirito scientifico passerebbe necessaria­mente per i tre stati seguenti, assai più precisi e particolari delle forme comtiane: 1) lo stato concreto, dove lo spirito si diverte con le prime immagini del fenomeno e si basa su una letteratura filosofica che esalta la natura, cantando stranamente insieme l’unità del mondo e la sua ricca diversità; 2) lo stato concreto-astratto, dove lo spirito aggiunge degli schemi geometrici all’esperienza e si basa su una filosofia­ della semplicità. Lo spirito, però, si trova ancora in una situazione paradossale: è tanto più sicuro della sua astrazione quanto più tale astrazione è chiaramente rappresentata da un’intuizione sensibile; 3) lo stato astratto, dove lo spirito mette in atto informazio­ni volontariamente sottratte all’intuizione dello spazio reale, volutamente separate dall’esperienza reale e persino apertamente in polemica con la realtà primitiva, sempre impura e sempre informe” (FSS 5). E in parallelo una legge dei tre stati d'animo per una psicologia della pazienza scientifica: “delineare la psicologia della pazienza scientifica significherà allora aggiungere alla legge dei tre stati dello spirito scientifico una specie di legge dei tre stati d’animo seguenti, caratterizzata da interessi diversi: 1) anima puerile o mondana, animata da una curiosità inge­nua, colpita dallo stupore di fronte al più piccolo fenomeno strumentale; anima che si diletta con la fisica per distrarsi e per avere un pretesto per assumere un atteggiamento serio, e che accoglie, come un collezionista, qualsiasi occasione gli si presenti, passiva fino alla felicità di pensare; 2) anima professorale, fiera del suo dogmatismo, immobile nella sua prima astrazione, basata per sempre sui successi sco­lastici della sua giovinezza; anima che ripete ogni anno il suo sapere, che impone le sue dimostrazioni, rivolta solo all’inte­resse deduttivo, sostegno comodo dell’autorità, e che dà inse­gnamenti al suo domestico, come fa Descartes, o al borghese qualunque, come fa l’abilitato dell’Università. 3) infine, l’anima nello sforzo di astrarre e di quintessenzia­re, coscienza scientifica dolorosa, consegnata agli interessi in­duttivi che sono sempre imperfetti e che gioca il gioco perico­loso del pensiero senza uno stabile sostegno sperimentale; disturbata in ogni momento dalle obiezioni della ragione, essa mette costantemente in dubbio il diritto particolare. all’astrazione, ma è altrettanto certa che l’astrazione sia un dovere, il dovere scientifico, il possesso infine purificato del pensiero del mondo !” (FSS 6-7).

Tale modello interpretativo di stampo comtiano permette a Bachelard di tracciare una evoluzione della psicologia della conoscenza scientifica in base alla quale stabilire il compito precipuo della filosofia scientifica, di una filosofia che vede nella scienza “l'estetica dell'intelligenza”: “psicoanalizzare l'interesse, distruggere ogni forma di utilitarismo per quanto mascherato esso sia e per quanto elevato si pretenda, quindi volgere lo spirito dal reale verso l'artificiale, dal naturale verso l'umano, dalla rappresentazione verso l'astrazione” (FSS 7).

A questo punto viene posto nel primo capitolo - La nozione di ostacolo epistemologico: piano dell'opera - il nucleo teorico intorno al quale ruota l'intera epistemologia storica e psicologica di Bachelard: la nozione di ostacolo epistemologico. Per Bachelard “lo spirito non è mai giovane”, anzi esso è tanto vecchio quanto lo sono i suoi pregiudizi e non può farsi scientifico senza opporsi “in modo assoluto all'opinione”, senza saper porre i problemi, senza focalizzare il senso del problema, in direzione di un istinto formativo che impedisce il blocco della crescita spirituale.[12] Nelle crisi di crescita del pensiero non è sufficiente una testa ben fatta (come voleva Montaigne), in quanto la testa deve essere continuamente rifatta in direzione di un rigore sempre più cogente: “in tutte le scienze rigorose, un pensiero in ansia diffida delle identità più o meno apparenti, e reclama continuamente più precisione, dunque più occasioni di distinguere. Precisare, rettificare, diversificare: ecco i vari tipi di pensieri dinamici che si liberano da certezza e che trovano nei sistemi omogenei più ostacoli che stimoli” (FSS 15).

Una volta delineato il concetto di ostacolo epistemologico, esso viene rintracciato da Bachelard sia nello sviluppo storico del pensiero scientifico che nella pratica educativa. L’epistemologia storica si costituisce proprio in relazione alla questione metodologica: la specificità dell'epistemologo consiste nel vagliare i documenti dello storico alla luce della ragione evolutiva. In tal modo l'epistemologo coglie i concetti scientifici in sintesi psicologiche progressive, considerando i fatti come idee: un fatto mal interpretato acquista per l'epistemologo il carattere di un contro-pensiero.[13] Appare particolarmente rilevante, in questa prospettiva, l’indicazione psicopedagogica conseguente alla nozione di ostacolo, quale è espressa nel passaggio seguente: “anche in campo educativo la nozione di ostacolo pedagogico è ugualmente misconosciuta. Sono stato spesso colpito dal fatto che i professori di scienze, più degli altri se possibile, non capiscano che non si capisca. Poco numerosi sono quelli che hanno indagato la psicologia dell'errore, dell'ignoranza e della mancanza di riflessione. [...] I professori di scienze immaginano che lo spirito cominci come una lezione, che sia sempre possibile rifare una cultura indifferente ripetendo una classe, che si possa fare capire una dimostrazione ripetendola punto per punto. Non hanno riflettuto al fatto che l'adolescente arriva alla classe di fisica con delle conoscenze empiriche già costituite: insomma, non si tratta di acquisire una cultura sperimentale, ma di cambiare cultura sperimentale e di rovesciare gli ostacoli già accumulati nella vita quotidiana. Basti un esempio: l'equilibrio dei corpi galleggianti è l'oggetto di un'intuizione familiare tutta intessuta di errori. In un modo più o meno preciso, si attribuisce un'attività al corpo che galleggia, o meglio al corpo che nuota. Se con la mano si cerca di far affondare nell'acqua un pezzo di legno, questo resiste; ma tale resistenza non la si attribuisce facilmente all'acqua. Di conseguenza, è piuttosto difficile far capire il principio di Archimede nella sua sorprendente semplicità matematica, se non si è prima criticato e disorganizzato l'impuro complesso delle intuizioni primitive. In particolare, senza una tale psicanalisi degli errori iniziali, non si riuscirà mai a far capire che il corpo che emerge e il corpo completamente immerso obbediscono alla medesima legge” (FSS 17) .[14] Ritengo che tale indicazione costituisca un modello cristallino di come intendere l’ostacolo in pedagogia e di come proporre una conseguente psicologia dell'errore. Bachelard ne desume una serie di considerazioni generali sul carattere della cultura scientifica, segnata da una catarsi intellettuale e affettiva e sempre in stato di mobilitazione permanente. In definitiva, riconoscere gli ostacoli epistemologici contribuisce a costituire i rudimenti di una psicoanalisi della ragione e correlativamente di una psicopedagogia dell’apprendimento rigoroso.

È quanto viene proposto nei successivi dieci capitoli del libro, ricchi di modellizzazioni ed esemplificazioni di ostacoli epistemologici tratti dalla storia delle scienze naturali, soprattutto del ‘600 e del ‘700. Indico soltanto la delimitazione tematica dei capitoli per fornire un cenno sulla varietà degli ostacoli riconosciuti da Bachelard nella pratica scientifica e cognitiva. Il primo ostacolo consiste nell’esperienza primitiva, in quella presunta accettazione della natura contro la quale lo spirito scientifico deve formarsi e riformarsi: “la tesi filosofica che sosterremo è la seguente: lo spirito scientifico deve formarsi contro la natura, contro ciò che, in noi e fuori di noi, sono l’impulso e l’istruzione della natura, contro l’impeto naturale, contro il fatto colorito e vario. Lo spirito scientifico deve formarsi riformandosi” (FSS 23). Bachelard sviluppa tale indicazione con interessanti distinzioni tra la dimensione della curiosità e della facile evidenza dell’empirismo e quella della conoscenza scientifica, sostenendo che non vi sono legami tra conoscenza scientifica e curiosità, tra idee e immagini: lo spirito scientifico lotta contro le immagini, le analogie e le metafore e il libro scientifico moderno si presenta come organico e costitutivamente lontano dal senso comune. Lo scienziato e il docente di scienze sanno bene che bisogna estrarre l’astratto dal concreto e tornare all’esperienza costruita soltanto dopo una raffinata astrazione. Bachelard arricchisce le sue osservazioni sull’ostacolo dell’esperienza primitiva richiamando proprio le riforme dell’insegnamento secondario delle scienze in Francia, responsabili, a suo avviso, di aver ridotto la difficoltà dei problemi in fisica, fino a proporre a “una fisica senza problemi”.[15]

In termini cognitivi, Bachelard asserisce il carattere politropo dell’attività razionale, di per sé discorsiva e complessa, grazie al quale un’esperienza viene razionalizzata se inserita in un gioco di ragioni multiple. Ma riconosce anche come sia impegnativo dissolvere la dimensione “alchemica” che si addensa nell’immaginario dello studente, separare l’osservatore dal proprio oggetto, difendendolo dalla profonda e inconscia affettività che lo lega alle esperienze non meditate. Su questo punto fornisce un altro interessante ricordo didattico personale: “un educatore dovrà quindi sempre pensare a separare l’osservatore dal suo oggetto, a difendere l’alunno dalla massa di affettività che si concentra in certi fenomeni simbolizzati troppo velocemente e, in un certo senso, troppo interessanti. Questo genere di consigli non è fra l’altro così inattuale come sembra a prima vista. Insegnando la chimica, mi è capitata qualche volta l’occasione di seguire le tracce di alchimia che persistono ancora negli animi giovani. Per esempio, mentre in una mattina d’inverno facevo un amalgama di ammonio, del burro di ammonio come diceva ancora un mio vecchio maestro, e mentre impastavo il mercurio sovrabbon­dante, scorgevo della passione negli occhi attenti di chi assi­steva. Di fronte a questo interesse per tutto ciò che aumenta e cresce, per tutto ciò che si impasta, mi sono ricordato delle vecchie parole di Ireneo Filalete: “Rallegratevi dunque se vedete la vostra materia infiammarsi come della pasta, perché lo spirito della vita vi è rinchiuso e a suo tempo, col permesso di Dio, restituirà la vita ai cadaveri”. Mi è sembrato anche che la classe fosse tanto più contenta di questo piccolo romanzo della natura, quanto più questo fi­niva bene, restituendo al mercurio, così simpatico agli alunni, il suo aspetto naturale e il suo mistero primitivo. E così, tanto in una classe moderna di chimica quanto nel laboratorio dell’alchimista, l’alunno e l’adepto non si presen­tano in prima istanza come dei puri spiriti. La materia stessa non è una ragione sufficiente perché siano tranquillamente oggettivi. L’uomo, naturalmente, si reca con tutti i suoi desideri, con tutte le sue passioni e con tutta l’anima allo spettacolo dei fenomeni più interessanti e più sorprendenti. Non biso­gna stupirsi quindi, che la prima forma della conoscenza og­gettiva sia anche un primo errore” (FSS 61-62).

All’ostacolo dell’esperienza primitiva segue quello della conoscenza generale (o generica). Spesso proprio la filosofia si installa nel luogo tanto ampio quanto vacuo della generalità. La generalità, con la sua seduzione di facilità, corrisponde al fallimento dell’empirismo inventivo, si sofferma sulle parole, immobilizza il pensiero. Viceversa, la ricchezza di un concetto scientifico si misura nella sua capacità di deformazione, di incorporare le condizioni della sua applicazione tramite quella “fenomenotecnica” che Bachelard intende come una concreta estensione della fenomenologia tramite la quale la scienza realizza i suoi concetti.[16]

Bachelard procede nella direzione di costruire un repertorio dei principali "ostacoli" che - un po' come gli idola baconiani - bloccano la conoscenza oggettiva. In successione vengono individuati come ostacoli l'estensione abusiva delle immagini familiari (come avviene nel caso di oggetti e strumenti semplici - leva, specchio, pompa - che conducono a generalizzazioni fisiche); la conoscenza unitaria e pragmatica (l'unità è un principio a buon mercato e trascendente che produce una sovradeterminazione dell'unità armonica del mondo, come mostra l'astrologia; mentre il razionalismo pragmatico, con le sue generalizzazioni pragmatiche esagerate, espunge ogni carattere scientifico privo di utilità come irrazionale); il sostanzialismo (vero ostacolo polimorfo che pervade l’intero sapere scientifico nel suo costituirsi); il realismo (unica filosofia “innata”, che richiede una psicoanalisi del sentimento dell’avere); l’animismo (costituito da un feticismo che poggia sulla parola magica della “vita”, sottesa all’intuizione inconscia del voler vivere). Vengono quindi analizzati in termini di psicoanalisi della conoscenza oggettiva il mito della digestione e il ruolo della libido, non senza stigmatizzare i limiti della psicoanalisi classica (specie freudiana), che – sostiene Bachelard – non si è interessata alla conoscenza oggettiva, sostenendo in qualche modo l’idea di un fallimento della scienza[17]. A tale proposito, viene ribadito l’obiettivo centrale del libro: riconoscere nei dettagli della conoscenza oggettiva la resistenza degli ostacoli epistemologici, anche in funzione terapeutica, ovvero per guarire dall’ansia ancestrale dirigendosi verso una conoscenza tanto scientifica quanto tranquilla. La serenità della conoscenza scientifica ispira un’altra riflessione ad elevato valore pedagogico: “purtroppo, però, gli educatori non lavorano affatto in nome di questa tranquillità ! Di conseguenza, non guidano i loro allievi verso la conoscenza dell’oggetto. Piuttosto che insegnare, giudicano ! E non fanno nulla per guarire dall’ansia che coglie qualsiasi spirito di fronte alla necessità di correggere il proprio pensiero e di uscire da se stesso per trovare la verità oggettiva” (FSS 247).

In ultima istanza vengono passati in rassegna gli ostacoli della conoscenza quantitativa, che poggiano sulle certezze premature rette dal fascino del matematismo preciso. Fedele a una sua concezione della conoscenza approssimata, Bachelard sottolinea come la misura scientifica stia nel grado di approssimazione e descrive l’angoscia di una precisione mal fondata nel contesto di un “esame di maturità”: “i problemi di fisica posti all’esame di maturità potrebbero fornire una miniera inesauribile d’esempi di questa precisione mal fondata. La maggior parte delle applicazioni numeriche vengono condotte senza preoccuparsi del problema degli errori. Basta una divisione che “riesce male” o una serie di calcoli che “non vengono bene” per precipitare un maturando nell’angoscia. E allora eccolo accanirsi in divisioni interminabili sperando in un risultato preciso. Quando si ferma, pensa che il merito della soluzione venga valutato in base al numero dei decimali indicati. Non riflette al fatto che la precisione di un risultato, quando supera la precisione dei dati speri­mentali. non è altro che la determinazione del nulla. I decima­li del calcolo non appartengono all’oggetto. Quando due di­scipline interferiscono, come per esempio la matematica e la fisica, allora si può esser certi che gli studenti non armonizze­ranno le due “precisioni”. Ecco perché per educare a delle sane approssimazioni ho dato spesso il semplice problema che segue: calcolare quasi al centimetro il raggio medio di una quercia con una circonferenza di 150 centimetri. La maggior parte della classe utilizzava per il calcolo il valore stereotipo del numero p = 3,1416, il che allontana visibilmente dalla precisione possibile. Nello stesso ordine d’idee e commentando un’illuminante pagina di Borel ho mostrato altrove la disarmonia fra le precisioni, per cui a Parigi un terreno fabbricabile viene pagato quasi al centimetro, mentre in genere lo si calcola tutt’al più a decimetro quadrato circa, e il suo prezzo raggiunge la cifra dei franchi. Questa pratica ricorda la battuta di Dulong, che diceva a proposito di uno sperimentatore: del terzo numero dopo la virgola è sicuro, è sul primo che esita” (FSS 252-253). I limiti di un matematismo ottuso rendono più evidente la ricchezza della microfisica, nella quale Bachelard vede fissata una tecnica operatoria che regola la fenomenologia strumentale tramite l’approssimazione operativa.

Nel capitolo conclusivo - Oggettività scientifica e psicoanalisi – vengono tratte alcune conclusioni dalla ricognizione sugli ostacoli scientifici, il cui aspetto psico-pedagogico risulta particolarmente evidenziato. Non viene soltanto ribadito come non ci sia verità senza errori rettificati, come siano necessarie una logica e una psicologia dell’errore e come sia inevitabile la rottura tra conoscenza sensibile (non oggettiva) e scientifica (oggettiva), ma viene anche sottolineato – secondo un Leit Motiv che ricorre spesso nella riflessione bachelardiana – il quantum sempre maggiore di razionalità strumentale e socializzata implicato nell’oggettività scientifica moderna. Gli operatori scientifici moderni operano in società scientifiche, nelle quali vige la reciprocità tra strumento e teoria, sia nella direzione della scienza quantitativa che in quella della scienza socializzata.

E viene ancor più focalizzato il fine pedagogico di un insegnamento socialmente attivo della scienza, tramite il quale si potranno spingere gli studenti all’istinto dell’oggettività sociale: “i maestri, soprattutto nella incoerente molteplicità dell’insegnamento secondario, offrono delle conoscenze effimere e disordinate segnate dal marchio nefasto dell’autorità. I compagni, al contrario, permettono il radicarsi d’istinti indistruttibili. Occorrerebbe quindi spingere gli studenti, presi in gruppo, alla coscienza di una ragione di gruppo; in altre parole all’istinto dell’oggettività sociale, istinto che viene in genere tralasciato per sviluppare invece di preferenza l’istinto contrario, quello dell’originalità, senza preoccuparsi del carattere falso di quest’originalità appresa nelle discipline letterarie. In altri termini, perché la scienza oggettiva sia pienamente educativa occorrerebbe che il suo insegnamento fosse socialmente attivo” (FSS 289). Le riflessioni più rilevanti presentate in questo capitolo sono proprio connesse all’esigenza di un insegnamento socialmente attivo della scienza. Viene descritto un insegnamento vivo, che realizza il principio di reciprocità pedagogica secondo il quale colui a cui si insegna deve insegnare, che accetta la dualità psicologica di un atteggiamento razionalista ed empirista, di un flusso e riflusso di empirismo e razionalismo, che si colloca allo stato nascente dell’oggettività, individuando la scoperta oggettiva come il risultato di una rettificazione soggettiva, che, in definitiva esprime il carattere rivoluzionario della complessità del pensiero scientifico nella sua dimensione psicologicamente formativa: “ma ecco che il pensiero astratto e matematico prolunga la tecnica. Ec­co che ii pensiero scientifico riforma il pensiero fenomenologico. La scienza contemporanea è sempre più una riflessione sulla riflessione. Per mostrare il carattere rivoluzionario di questa complessità, si potrebbero riprendere tutti i temi dell’evoluzione biologica studiandoli dal solo punto di vista delle relazioni fra l’interno e l’esterno: si vedrebbe allora che, man mano che l’evoluzione avanza, come è stato mostrato molto bene da Bergson, il riflesso immediato e locale a poco a poco si complica, si estende nello spazio e si sospende nel tempo. L’essere vivente si perfeziona nella misura in cui può collegare il suo punto di vita, fatto di un istante e di un centro, a delle durate e a degli spazi più grandi. L’uomo è uomo perché il suo comportamento oggettivo non è né immediato né locale. La preveggenza è una prima forma di previsione scientifica. Ma, fino alla scienza contemporanea, si trattava sempre di prevedere il lontano in funzione del vicino, la sensazione precisa in funzione della previsione grossolana. Il pensiero oggettivo si sviluppava comunque a contatto del mondo delle sensazioni. Ora, col ventesimo secolo sembra che cominci un pensiero scientifico volto contro le sensazioni e che si debba costruire una teoria dell’oggettivo contro l’oggetto. Un tempo la riflessione resisteva al riflesso primitivo. Ora il pensiero scientifico moderno richiede che si resista, alla riflessione  primitiva” (FSS 297).

Tale esigenza di insegnamento socialmente attivo della scienza, afferente alla svolta teorica e complessa della scienza del '900 e richiesta dal valore sociale della conoscenza astratta e disinteressata, conduce Bachelard a una riflessione conclusiva tanto lucida quanto attuale sull’esigenza di riformare l’insegnamento scientifico per integrarlo nella cultura, in un ideale di scuola permanente grazie al quale la società sarà fatta per la scuola e non viceversa: “se, oltre i programmi scolastici, ci spingessimo fino alle realtà psicologiche, capiremmo che l’insegnamento delle scienze è da riformare completamente, e ci renderemmo conto che le società moderne non sembrano affatto aver integrato la scienza nella cultura generale. In genere, si cerca una scusa affermando che la scienza è difficile e che le scienze si specializzano. Ma più un’opera è difficile più è educativa. Più una scienza è speciale, maggiore è la concentrazione spirituale che richiede, e più grande dev’essere il disinteresse che l’anima. Il principio della cultura continua è d’altronde alla base di una cultura scientifica moderna. Più che a chiunque altro, è allo scienziato moderno che si adatta l’austero consiglio di Kipling: “Se puoi veder crollare improvvisamente l’opera della tua vita e rimet­terti al lavoro, se puoi soffrire, lottare e morire senza mormo­rare, allora tu, figlio mio, sei un uomo”. Solo nell’opera della scienza è possibile amare ciò che si distrugge, continuare il passato negandolo e venerare il proprio maestro contraddi­cendolo. Allora sì che la scuola continua per tutta una vita. Una cultura bloccata su un periodo scolastico è la negazione stessa della cultura scientifica. Non c’è scienza che grazie a una scuola permanente. Ed è questa la scuola che la scienza deve fondare. Solo allora gli interessi sociali verranno definitivamente rovesciati: la società sarà fatta per la scuola e non la scuola per la società” (FSS 299).

Bachelard tiene molto, in definitiva, alla razionalità del sapere scientifico, contrapponendola a un sapere diffuso contaminato dai pregiudizi e dalle ingenuità del senso comune e riconoscendola nel senso di una maturazione progressiva, astratta e rigorosa. Niente di più utile nella formazione metodologica ed epistemologica di un futuro docente e di riflesso nella formazione di un'attitudine alla ricerca e all'indagine in uno studente liceale, che nella maggior parte dei casi dovrà proseguire i suoi studi in forme più rigorose.


* L'occasione che si trova all'origine di questo scritto è costituita da una lezione tenuta presso il secondo anno di filosofia della Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario di Firenze.

[1] La più nota opera di Kuhn è La struttura delle rivoluzioni scientifiche. Come mutano le idee della scienza, tr. it. di A. Carugo, Torino, Einaudi, 1969; al confronto tra Kuhn e Bachelard ho dedicato il saggio Sul metodo nella storia delle scienze. Note per una lettura delle metodologie di Bachelard e Kuhn, in “Nuova Corrente”, n. 85, maggio-agosto 1981, pp.349-376.

[2] Per una visione didatticamente fruibile dell'epistemologia francese contemporanea rinvio al mio Scienza ed epistemologia in Francia (1900-1970), Loescher, Torino 1979; tra le opere di Poincaré ricordo la più nota: Il valore della scienza, intr. e tr. it. di G. Polizzi, La Nuova Italia, Firenze 1994.

[3] Bachelard ha insegnato fisica e chimica dal 1919 al 1930 presso l'Istituto Tecnico di Bar-sur-Aube.

[4] In un recente studio - Il razionalismo di Gaston Bachelard, A. Siciliano, Messina 2000, p. 14 - Maria Rita Abramo ha riconosciuto nella “filosofia del non” una logica della complementarità che sfuma il realismo e moltiplica il razionalismo nel razionalismo applicato e rettificato con il determinismo della tecnica (“razionalismo applicato” e “materialismo razionale” sono i concetti-chiave degli ultimi due importanti volumi epistemologici di Bachelard).

[5] G. Bachelard, La filosofia del non, tr. it. di A. Vio, Pellicanolibri, Catania 1978, p.137 (vedi ora la nuova edizione a cura di G. Quarta, Armando, Roma 1998).

[6] Così Bachelard esemplifica la necessaria obbedienza della ragione alla scienza: “L'aritmetica non è fondata sulla ragione. E' la dottrina della ragione che è fondata sull'aritmetica elementare. Prima di saper contare, non sapevo cosa fosse la ragione. In generale, lo spirito deve piegarsi alle condizioni del sapere. Deve creare in sé una struttura corrispondente alla struttura del sapere. Deve mobilitarsi attorno ad articolazioni che corrispondano alle dialettiche del sapere. Cosa sarebbe una funzione senza occasioni di funzionare ? Cosa sarebbe una ragione senza occasione di ragionare ? La pedagogia della ragione deve dunque profittare di ogni occasione di ragione. Deve cercare la varietà del ragionamento, o meglio le variazioni del ragionamento. Ora, le variazioni del ragionamento sono oggi numerose nelle scienze geometriche e fisiche; sono tutte solidali con una dialettica dei princìpi di ragione, di una attività della filosofia del non. Bisogna accettarne la lezione. La ragione, ancora una volta, deve obbedire alla scienza. La geometria, la fisica, l'aritmetica sono scienza; la dottrina tradizionale di una ragione assoluta e immutabile è solo filosofia. E' una filosofia sorpassata”, Ibid., pp.137-138.

[7] Faccio uso delle puntuali osservazioni proposte da Enrico Castelli Gattinara nella Postfazione a G. Bachelard, La formazione dello spirito scientifico. Contributo a una psicoanalisi della conoscenza oggettiva, ed. it. a cura di Enrico Castelli Gattinara, Cortina, Milano 1995, pp.301-318 (testo dal quale traggo tutte le citazioni).

[8] A partire dalla Logica della scoperta scientifica (1934, 19592).

[9] Ricordo che gli ostacoli qui riconosciuti come limiti per lo sviluppo dello spirito scientifico vengono valorizzati da Bachelard nella dimensione della reverie, nella quale assumono una valenza psichica creativa e produttiva, quali fonti primarie della produzione poetica e artistica. Lo stesso scavo tra gli ostacoli di una scienza superata proposto in quest'opera con l'ironia fredda dell'epistemologo psicoanalitico verrà utilizzato nelle opere dedicate alla reverie, quali La psicoanalisi del fuoco (1938), L'acqua e i sogni (1942), L'aria e i sogni (1943), La poetica dello spazio (1960).

[10] Le citazioni sono seguite nel testo dalla sigla FSS e dal numero di pagina.

[11] Abramo sintetizza efficacemente il significato teorico dell'ostacolo in Bachelard: “L'ostacolo epistemologico è una struttura della conoscenza la cui costituzione non dipende tanto dalla complessità del reale o da difficoltà intrinseche alle facoltà conoscitive, cioè dalla de­bolezza dei sensi e dello spirito umano. Esso si configura piut­tosto, come una certa "resistenza del pensiero al pensiero", radicata su un tessuto percettivo nutrito dalle pulsioni dell'inconscio, ordinata ad ostacolare la dinamica conoscitiva della scien­za e contro cui interviene l'urto dirompente della coupure epistemologica che, attraverso la negazione di principi e categorie tradizionalmente ritenuti fondamentali per la stessa teorizzazione scientifica, spezza vecchi equilibri e ne stabilisce di nuovi, favorendo la crescita storica della raison scientifique che, in quanto ragione polemica, oppone alla chiusura delle intuitions prèmieres l'apertura dei concetti scientifici e la pluralità dei loro significati rispetto ai diversi tipi di esperienza”; Il razionalismo di Gaston Bachelard, cit., pp. 77-78.

[12] Riporto la significativa pagina iniziale del primo capitolo: “quando si cercano le condizioni psicologiche dei progressi della scienza, ci si convince ben presto che è in termini di ostacoli che bisogna porre il problema della conoscenza scientifica. E non si tratta di considerare ostacoli esterni, come la complessità e la fugacità dei fenomeni, oppure d'incolpare la debolezza dei sensi e dello spirito umano, perché è all'interno dell'atto stesso del conoscere che, per una specie di necessità funzionale, appaiono lentezze e confusioni. E' qui che mostreremo alcune cause di stagnazione e persino di regresso della scienza: qui ne riveleremo le cause di inerzia; e tutte queste cause le chiameremo ostacoli epistemologici. La conoscenza del reale è una luce che proietta sempre anche delle ombre; non è mai immediata e piena. Le rivelazioni del reale, infatti, sono sempre ricorrenti. Il reale non è mai "ciò che si potrebbe credere" ma sempre ciò che si sarebbe dovuto pensare. Il pensiero empirico è chiaro a posteriori, quando il meccanismo delle ragioni è già stato messo a punto. Tornando su un passato di errori, la verità la si trova in un vero e proprio pentimento intellettuale. Si conosce, infatti, contro una conoscenza anteriore, distruggendo conoscenze mal fatte, superando quello che nello spirito stesso fa ostacolo alla spiritualizzazione. L'idea di partire da zero per fondare e accrescere i propri beni non può venire che a culture basate sulla semplice giustapposizione, dove un fatto conosciuto è immediatamente una ricchezza. Ma di fronte al mistero del reale l'anima non può farsi ingenua per decreto. E' impossibile quindi fare d'un colpo tabula rasa delle conoscenze usuali. Di fronte al reale, ciò che si crede di sapere chiaramente offusca ciò che si dovrebbe sapere. Quando si presenta alla cultura scientifica, lo spirito non è mai giovane. E' anzi molto vecchio, perché ha l'età dei suoi pregiudizi. Accedere alla scienza significa ringiovanire spiritualmente, accettare una mutamento brusco che deve contraddire un passato. La scienza, nel suo bisogno di compimento come nel suo principio, si oppone in modo assoluto all'opinione. E se, su un punto particolare, le accade di legittimare l'opinione, è per ragioni diverse da quelle che la fondano; di modo che, in linea di principio, l'opinione ha sempre torto. L'opinione pensa male; anzi, non pensa; traduce dei bisogni in conoscenze. Designando gli oggetti in base alla loro utilità, essa si impedisce di conoscerli. Non si può fondare nulla sull'opinione: bisogna prima di tutto distruggerla. Essa è il primo ostacolo da superare. Non sarebbe sufficiente, per esempio, rettificarla su alcuni punti particolari, mantenendo una conoscenza volgare provvisoria, come una specie di morale provvisoria. Lo spirito scientifico ci vieta di avere opinioni su questioni che non comprendiamo e che non siamo in grado di formulare con chiarezza. Bisogna innanzitutto saper porre i problemi. E per quanto se ne dica, nella vita scientifica i problemi non si pongono da soli. E' precisamente questo senso del problema a contraddistinguere il vero spirito scientifico. Per uno spirito scientifico, ogni conoscenza è una risposta a una domanda. Se non c'è stata domanda, non ci potrà essere conoscenza scientifica. Nulla va da sé. Nulla è dato. Tutto è costruito. Ma anche una conoscenza acquisita in seguito a uno sforzo scientifico può declinare. La domanda franca e astratta si logora; la risposta concreta resta. E allora l'attività spirituale si inverte e si blocca. Un ostacolo epistemologico si incrosta sulla conoscenza inindagata. Abitudini mentali che furono utili e salutari possono alla lunga intralciare la ricerca. […] L'idea assume così una chiarezza intrinseca abusiva. Con l'uso, le idee si valorizzano indebitamente. Un valore in sé si oppone alla circolazione dei valori, il che è un fattore d'inerzia per lo spirito. Qualche volta accade che un'idea dominante polarizzi lo spirito nella sua totalità. Circa vent'anni fa, un epistemologo irriverente affermava che i grandi uomini sono utili alla scienza nella prima metà della loro vita, ma nocivi nella seconda. L'istinto formativo è così tenace in certi uomini di pensiero che non bisogna preoccuparsi di questa battuta. Alla fine però l'istinto formativo finisce per cedere all'istinto conservativo. Giunge un tempo in cui lo spirito preferisce ciò che conferma il suo sapere a ciò che lo contraddice, in cui preferisce le risposte alle domande. Allora lo spirito conservativo domina e la crescita spirituale si ferma” (FSS 11-13).

[13] Riporto un'altra pagina particolarmente nota e interessante per la descrizione della nozione di ostacolo epistemologico: “la nozione di ostacolo epistemologico può essere studiata nello sviluppo storico del pensiero scientifico e nella pratica dell'educazione. Nell'uno e nell'altro caso lo studio non è facile. La storia è infatti per principio ostile a ogni giudizio normativo. Eppure bisogna pur porsi da un punto di vista normativo, se si vuol giudicare l'efficacia di un pensiero. Infatti, tutto quanto si incontra nella storia del pensiero scientifico è ben lungi dal servire effettivamente alla sua evoluzione. Vi sono conoscenze, anche giuste, che però pongono termine troppo presto a utili ricerche. L'epistemologo deve dunque vagliare i documenti raccolti dallo storico, deve giudicarli dal punto di vista della ragione, e persino da quello della ragione evoluta: perché è solo ai giorni nostri che possiamo giudicare pienamente gli errori del passato spirituale. D'altro canto, anche nelle scienze sperimentali è sempre l'interpretazione razionale a collocare i fatti al posto giusto. Rischio e successo si trovano insieme sia sull'asse esperienza-ragione, sia nel senso della razionalizzazione. Solo la ragione dinamizza la ricerca, perché solo lei suggerisce l'esperienza scientifica (indiretta e feconda), al di là dell'esperienza comune (immediata e speciosa). Di conseguenza, è lo sforzo della razionalizzazione e della costruzione che deve attirare l'attenzione dell'epistemologo. E qui si può vedere quanto distingue il mestiere dell'epistemologo da quello dello storico delle scienze. Lo storico delle scienze deve considerare le idee come dei fatti. L'epistemologo invece deve considerare i fatti come delle idee, inserendoli in un sistema di pensiero. Un fatto mal interpretato da un'epoca resta un fatto, per lo storico. Per l'epistemologo, invece, è un ostacolo, un contro-pensiero” (FSS 15-16).

[14] Ricordo la definizione del principio di Archimede: un corpo immerso in un liquido riceve una spinta dal basso verso l'alto pari al peso del volume del fluido spostato.

[15] “Non bisognerebbe mai smettere di consigliare al professore di passare ininterrottamente dalla tavola delle esperienze alla lavagna ed estrarre il prima possibile l'astratto dal concreto. Tornerà poi all'esperienza con un armamentario migliore per ricavare i caratteri organici del fenomeno. L'esperienza è fatta solo per illustrare un teorema. Negli ultimi dieci anni, le riforme dell'insegnamento secondario in Francia misconoscono il senso reale dello spirito scientifico, perché riducono la difficoltà dei problemi di fisica e in certi casi instaurano persino l'insegnamento di una fisica senza problemi, tutta basata su questioni orali. E allora l'ignoranza completa sarebbe sicuramente migliore di una conoscenza priva del suo principio fondamentale” (FSS 44).

[16] “Essa [la concettualizzazione] ricerca nell’esperienza delle occasioni per complicare il concetto, per applicarlo malgrado la sua resistenza e per realizzare le condizioni di applicazione che la realtà non riuniva. È allora che ci si rende conto che la scienza realizza i suoi oggetti, e non li trova mai già belli e fatti. La fenomenotecnica estende la fenomenologia. Un concetto diventa scientifico nella misura in cui diventa tecnico, o viene accompagnato da una tecnica di realizzazione” (FSS 71).

[17] “La psicoanalisi classica, infatti, che si è occupata soprattut­to di interpsicologia, vale a dire delle reazioni psicologiche individuali determinate dalla vita sociale e dalla vita familiare, non ha orientato la sua attenzione sulla conoscenza oggettiva. Non ha visto quello che c’era di speciale nell’essere umano che abbandona gli uomini per gli oggetti, nel super-nietzscheano che, abbandonando persino la sua aquila e il suo ser­pente, se ne va a vivere fra le pietre della montagna più alta. Eppure, che strano destino, ancora più strano del secolo in cui ci troviamo ! In questo periodo, quando tutta la cultura si “psicologizza”, quando l’interesse per l’umano si estende alla stampa e ai romanzi, senz’altra esigenza che quella di un racconto originale, sicuro di trovare dei lettori assidui e quotidiani, ecco che si trova ancora qualcuno che pensa a un solfato ! Agli occhi degli psicologi, questo ritorno a un pensiero della pietra è senza dubbio la regressione di una vita che si mineralizza. A loro l’essere e il divenire, a loro l’umano gonfio di avvenire e di mistero ! Ci sarebbe un lungo studio da fare su questa svalutazione della vita oggettiva e razionale che proclama dall’esterno il fallimento della scienza, senza partecipare mai al pensiero scientifico. La nostra esigenza però è più modesta. È nei dettagli della conoscenza oggettiva che dobbiamo far sentire la resistenza degli ostacoli epistemologici” (FSS 216).